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Coronavirus, il Libano e l’esperienza della solidarietà

L’aiuto spirituale e sociale della Chiesa in Libano in questo momento difficile nelle parole del rettore del Seminario “Redemtopris Mater” di Beirut, don Guillaume Bruté de Rémur

Debora Donnini – Città del Vaticano

Sono saliti a 187 i contagiati da Covid-19 in Libano, dove la pandemia è arrivata in piena crisi economico-politica. Nel Paese dei cedri si moltiplicano, intanto, le iniziative di solidarietà. Nei giorni scorsi monsignor Michel Aoun, vescovo di Jbeil-Byblos dei Maroniti, ha messo a disposizione per i malati di coronavirus, costretti all’isolamento, una residenza estiva. A seguire, poi, padre Fadi Tabet, dell’ordine dei Missionari libanesi “Kreimisti”, responsabile del santuario di Nostra Signora del Libano a Harissa, ha reso disponibile una struttura di solito riservata ai pellegrini, il Betania Harissa Hotel, per le persone messe in quarantena. Intanto, nella comunità dei gesuiti, 11 padri sono risultati positivi ai test del Covid-19, fa sapere l’agenzia Fides. “Tutti i padri della comunità vivono isolati ognuno nella propria stanza, nella casa gesuita di Monot, e hanno iniziato un tempo di ritiro spirituale”. Sulla situazione in Libano, abbiamo fatto il punto con don Guillaume Bruté de Rémur, rettore del Seminario “Redemptoris Mater” di Beirut:

Ascolta l'intervista a don don Guillaume Bruté de Rémur

R. - La crescita in questi ultimi giorni è progressivamente più numerosa. Certamente i numeri sono molto più bassi in Libano perché siamo una popolazione di solo 4 milioni di abitanti e dunque, proporzionalmente, sono più piccoli. Le scuole e le università sono chiuse da già tre settimane. Da 15 giorni siamo fortemente incoraggiati al confinamento e ormai da 10 giorni tutti i negozi non di prima necessità sono chiusi, come in Italia.

La Chiesa in Libano ha offerto alcune residenze per assistere i malati…

R. - Questo è un Paese in cui le strutture private sono quelle meglio dotate mentre quelle pubbliche, che devono prendere in carica nome dello Stato tutte le persone malate, sono più fragili. Quindi, di fronte al rischio di avere difficoltà a mettere persone in quarantena, la Chiesa ha offerto la possibilità di usare alcune loro case, un po’ isolate, ad esempio per persone che hanno il virus - malati ma non casi gravi - che non sono arrivati a dover avere l'assistenza respiratoria, ma che non possono essere tenuti negli ospedali. La Chiesa, in questo senso, si mostra molto cooperativa con lo Stato. Un altro aspetto è che ci sono moltissime chiamate, sui social network, per aiutare in particolare la Croce Rossa che fa un lavoro ammirabile, e tutte le ong, la gente della protezione civile, tutte queste associazioni che hanno anche ambulanze per poter portare i malati. In questo senso c'è una grande solidarietà, c'è una coscienza collettiva, però ancora è difficile perché di fatto ci sono alcune zone dove non sappiamo bene quale sia il numero dei contagiati.

Anche voi sacerdoti state utilizzando i mezzi di comunicazione, anche i Social, per essere vicini ai fedeli con creatività, come ha chiesto Papa Francesco?

R. - Sì, si sta cominciando. Adesso ho pensato che la Messa che celebrerò in Seminario domani mattina, la diffonderò in diretta sulla pagina Facebook del Seminario in modo che tutte le persone che vogliono connettersi con il Libano possano seguirla. Noi domani la faremo in arabo in modo che la gente possa seguirla facilmente mentre a volte facciamo la Liturgia in francese. Non riceviamo gente da fuori da più di 10 giorni, siamo confinati, abbiamo un orario di preghiera con i seminaristi, anche con Veglie notturne davanti al Santissimo, con preghiera notturna durante la settimana, con una giornata di digiuno in più proprio per pregare e aiutare le persone anche spiritualmente. La gente però ha molto paura e dunque sicuramente l’uso dei Social in questo senso aiuta molto e sta cominciando ad avviarsi in Libano.

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21 marzo 2020, 15:00