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Bandiere nazionali di fronte al Parlamento britannico Bandiere nazionali di fronte al Parlamento britannico  

Un’Europa unita senza Londra

Via libera dal Parlamento europeo al piano di uscita del Regno Unito dall'Ue. A oltre tre anni e mezzo dal referendum, i britannici si preparano alla Brexit effettiva

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dal 1 febbraio inizia il periodo di transizione che durerà fino alla fine del 2020. Almeno fino al 31 dicembre di quest’anno, il Regno Unito continuerà a operare in base alle norme europee e non sono previsti cambiamenti immediati nella libera circolazione delle persone. I cittadini europei potranno, quindi, continuare a entrare e uscire dal Regno Unito come sempre, con passaporto o carta d’identità. Le patenti di guida, ad esempio, manterranno la propria validità. Per quanto, invece, accadrà alla fine del periodo di transizione restano incertezze. Bisognerà capire se Londra e Bruxelles raggiungeranno un nuovo accordo commerciale o meno. Delle prospettive concrete e delle incognite, abbiamo parlato con Carlo Altomonte, docente di Politiche economiche all’Università Bocconi:

Ascolta l'intervista con Carlo Altomonte

R. – Abbiamo sicuramente la necessità di chiudere un accordo con il Regno Unito per evitare una serie di costi molto alti, sia per quel che riguarda la Gran Bretagna sia anche per quello che riguarda l’Europa, in particolare la Germania. Diciamo che ci sono in ballo diverse centinaia di migliaia di posti di lavoro tra l’Europa e il Regno Unito, qualcuno in più ancora nel Regno Unito. Sicuramente la questione è quella di provare a chiudere il negoziato commerciale che generi un’area di libero scambio da qui a dicembre di quest’anno, perché, se non si chiude questo negoziato commerciale, avremo quella che chiamiamo “hard Brexit”, cioè l’uscita dal Regno Unito comunque, senza un accordo e quindi con le tariffe che l’Unione Europea applica normalmente a tutti i Paesi del mondo.

Che cosa succede in questo anno di transizione?

R. – Fino a dicembre 2020 non cambia niente; l’unico problema è che, appunto, questa scadenza non sembra rinviabile: un po’ perché le parti non hanno più intenzione di rinviare la questione e un po’ perché comunque nel nuovo accordo che è stato fatto dev’essere il governo britannico a chiedere il rinvio e deve farlo entro giugno di quest’anno. E, a quanto ne sappiamo, il premier Boris Johnson ha detto che non ci sarà assolutamente nessun rinvio e che quindi o si chiude un accordo commerciale con l’Unione Europea entro dicembre 2020, quindi durante il periodo di transizione, oppure il Regno Unito uscirà: uscirà dall’accordo con l’Unione Europea, perché in realtà è già uscito dall’Ue.

Abbiamo visto alcune aziende spostare la propria sede centrale, il quartier generale dalla City. Di fatto, che cosa è successo dal punto di vista economico?

R. – Sì, sì: tante aziende statunitensi e non solo hanno già lasciato la City soprattutto per la parte relativa a quei servizi finanziari che non si potranno comunque più fare da Londra nel momento in cui il Regno Unito esce dall’Unione Europea: quindi in realtà abbiamo già avuto diverse migliaia di persone che hanno lasciato la City di Londra per spostarsi a Parigi, Francoforte e Dublino: sono queste tre le città che hanno ricevuto i “fuoriusciti” dalla City di Londra. Ovviamente, in funzione del tipo di accordo che andremo a scrivere con l’Unione Europea, potranno seguire altre aziende. Punto chiave del negoziato è: in che misura, oltre al libero scambio con gli altri e le abolizioni delle tariffe, l’Ue consente al Regno Unito di avere in qualche modo una continuità legislativa con il mercato interno europeo? Cioè, nei prossimi anni il Regno Unito si impegna o no all’armonizzazione delle regole con il mercato europeo, o vuole andare per la sua strada? L’Unione Europea chiede che ci sia questo impegno legislativo in maniera tale che gli standard e tutto il nostro commercio avvenga sulla stessa base giuridica. Il Regno Unito sembra meno disposto a concedere questa cosa; vorrebbe solo zero-tariffe ma poi seguire i suoi standard. Su questo punto si determinerà quanto commercio effettivo poi si potrà fare tra i due Paesi, perché dal punto di vista manifatturiero io posso esportare un bene e non avere nessuna tariffa, ma da un punto di vista, per esempio, di un servizio finanziario devo essere sicuro che lo standard di produzione di quel servizio sia lo stesso, come dal punto di vista dell’Ict, del software o quant’altro: c’è tutta una serie di requisiti che devono essere in qualche modo corroborati tra le due sponde della Manica.

Chi ci perde e chi ci guadagna?

R. – Dal 31 gennaio non succede niente, quindi siamo “amici” come prima. Da fine dicembre 2020, se non ci sarà l’accordo, nel breve periodo ci perderà il Regno Unito, nel medio periodo ci perdiamo tutti e due.

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30 gennaio 2020, 15:36