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In forte aumento i minori migranti dall'America centrale In forte aumento i minori migranti dall'America centrale 

Migrazioni in America: minori 'intrappolati' da politiche di respingimento

Allarme dell’Unicef sulla condizione dell’infanzia migrante nell’America centrale, in Messico e negli Stati Uniti, dove decine di migliaia di bambini sono privati dei diritti fondamentali per la loro sicurezza ed istruzione. Intervista a Lucia Capuzzi

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Severo richiamo dell’Onu, attraverso l’Unicef, alla responsabilità dei Paesi interessati dai flussi migratori nell’America centrale e negli Usa, perché provvedano ad offrire la giusta protezione alle decine di migliaia di bambini e ragazzi migranti che attraversano soli o con le loro famiglie i confini nazionali, spinti da povertà, conflitti interni, disoccupazione e mancanza di opportunità e prospettive di vita migliori.

Nuovi accordi politici restrittivi sull'immigrazione

L’agenzia specializzata per l’infanzia lancia in particolare un grave allarme sulla situazione di 32 mila minori che - tra gennaio ed agosto di quest’anno - sono stati riportati dagli Stati Uniti e dal Messico in El Salvador, Guatemala ed Honduras, un numero doppio rispetto allo stesso periodo del 2018. Nuovi accordi politici sull’immigrazione sono stati infatti siglati nella regione percorsa da instabilità politiche e violenze. “Questi sviluppi – denuncia l’Unicef – stanno avendo profonde conseguenze per i bambini e i ragazzi, molti dei quali sono rimasti senza opportunità sicure per sfuggire alla violenza e all’estorsione e cercare protezione o ricongiungersi con i familiari all’estero”.

I respingimenti da soli non frenano i flussi che prendono altre vie

Una situazione che aggrava la disperazione di popoli costretti dentro confini nazionali che divengono ‘prigioni’ mentre gli Stati hanno sempre più difficoltà a gestire questi enormi flussi migratori cercando più che altro di respingerli. Una strategia difensiva che non risolve il problema, ci spiega Lucia Capuzzi, collega di “Avvenire”, esperta di America Latina.

Ascolta l'intervista a Lucia Capuzzi

R. – Assolutamente no, perché qualsiasi muro legale o reale non frena una migrazione che è più che altro una grande fuga dallo stato di devastazione in cui versa l’America Centrale. Devastazione dovuta a violenza che è eredità di conflitti antichi che hanno visto forti responsabilità da parte del Nord del mondo, ma che è anche fuga da una povertà sempre più diffusa anche a causa del cambiamento climatico. Per esempio, in Guatemala un forte aumento della migrazione è dovuto proprio al fenomeno del Niño, che si è intensificato a causa del cambiamento climatico devastando un’intera regione dove la siccità non permette ai campi di portare raccolto.

L’infanzia naturalmente come sempre in situazioni di crisi è quella più colpita

R. - Soprattutto per il fatto che la migrazione – questa grande fuga dall’America Centrale -  è dovuta ad una situazione di violenza endemica, ereditata dai grandi conflitti del passato. Questa violenza si accanisce con particolare ferocia sui minori che vengono reclutati forzatamente da parte di bande criminali e i genitori – per evitare questo -  cercano in tutti modi di farli fuggire verso Nord, quindi Messico e Stati Uniti. Questo spiega il fortissimo aumento che c’è stato negli ultimi anni di minori non accompagnati che tentano il viaggio verso gli Usa.

Questi nuovi accordi normativi per spostare queste povere persone da un Paese all’altro che cosa possono ottenere poi alla lunga?

R. - Negli ultimi tempi, in particolare da quest’anno, la politica migratoria del presidente Usa si è orientata alla costruzione di un muro legale. Dato che il muro reale è ‘impantanato’ in Congresso, il quale non permette di proseguire la costruzione, Trump si è orientato a realizzare una serie di leggi, che esternalizzino il problema migratorio. Gli Stati Uniti hanno esercitato pressione in primis sul Messico, sotto la minaccia dell’aumento dei dazi sulle esportazioni, per ampliare il programma “Remain in Mexico” che prevede che i richiedenti asilo negli Usa possano essere mandati nelle zone di frontiera del Messico, in attesa che il giudice decida sulla loro domanda. Molto spesso questi richiedenti asilo sono famiglie con minori, che restano intrappolate in queste zone di frontiera per mesi, ma molto più spesso per anni, in attesa che il giudice decida, con problemi di sicurezza non indifferenti per la zona nord del Messico; stanno addirittura mandando le persone nella zona orientale, uno dei grandi ‘buchi neri’ per la presenza fortissima del controllo militare e territoriale da parte della criminalità organizzata. Al contempo, il Messico sempre su pressione di Washington ha intensificato i controlli per impedire ai migranti di passare sul proprio territorio diretti verso gli Stati Uniti. Quindi ha aumentato la presenza di controlli sul territorio, ma ha anche velocizzato le espulsioni verso l’America Centrale. Un ulteriore elemento di preoccupazione futura sono gli accordi diretti tra Stati Uniti e Paesi dell’America Centrale - Guatemala, Honduras e El Salvador - per rimandare direttamente i richiedenti asilo non solo in Messico, ma in questi Paesi che vengono considerati sicuri, anche se per paradosso questi sono i Paesi più violenti al mondo.

Insieme a queste politiche di chiusura non vediamo però politiche di aiuto a questi Paesi in evidenti difficoltà, perché se la gente scappa certamente non sta bene dove si trova.

R. - Questo è il punto centrale. L’unica politica efficace che potrebbe attenuare la fuga dall’America Centrale sarebbe un piano di aiuti, tipo un Piano Marshall per questa regione, dato che sui conflitti, che hanno devastato l’America centrale per decenni, c’è una responsabilità degli Stati Uniti, ormai dimostrata dai documenti storici. Una volta terminati questi conflitti non c’è stato però da parte degli Usa, ma anche da parte del resto della comunità internazionale, un aiuto di ampio respiro perché questi Paesi potessero ricostruirsi e rigenerare le proprie istituzioni. Questo non è stato fatto e fino a quando non ci sarà una presa in carico della comunità internazionale di questa zona del mondo, che continua ad essere la più violenta, la grande fuga continuerà.

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27 novembre 2019, 13:13