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Inondazioni (foto d'archivio) Inondazioni (foto d'archivio) 

Inondazioni in Sud Sudan: l’emergenza non è finita

Intervista a Alberto Zerboni, coordinatore delle operazioni in Sud Sudan per Medici Senza Frontiere. Il Sud Sudan, dice, rimane un Paese “estremamente fragile”: le inondazioni minacciano di aggravare una crisi umanitaria già catastrofica

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Nella parte settentrionale e in quella orientale del Sud Sudan sono centinaia di migliaia le persone colpite nelle ultime settimane da inondazioni senza precedenti. Nella contea di Maban, nel nord est, sono già 200 mila i disastrati, compresi 150 mila rifugiati provenienti dal Sudan, secondo un comunicato dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). A Pibor, nell’est del Paese africano, l’ospedale è stato completamente allagato, informa Medici Senza Frontiere (Msf).

La guerra civile

Il Sud Sudan, per il quale Papa Francesco ha organizzato nell’aprile scorso in Vaticano un ritiro spirituale delle autorità civili ed ecclesiastiche, sta gradualmente riprendendosi da una sanguinosa guerra civile, iniziata nel dicembre 2013 e con un bilancio di quasi 400 mila vittime e milioni di sfollati. Mentre a livello politico il leader dell'opposizione Riek Machar ha fatto sapere che non sosterrà la formazione di un governo di unità nazionale con il presidente Salva Kiir, previsto dagli accordi di pace per la prima metà di novembre, il Paese si trova ora a dover affrontare un’ennesima emergenza, in un contesto in cui già sette milioni di persone - circa due terzi della popolazione - hanno bisogno di assistenza umanitaria.

La testimonianza

Al momento la situazione purtroppo “non è per niente buona”, spiega a Vatican News Alberto Zerboni, coordinatore delle operazioni in Sud Sudan per Medici Senza Frontiere.

L'intervista ad Alberto Zerboni di Msf

R. - All'inizio della scorsa settimana, gli operatori del nostro progetto a Maban ci hanno chiamato allarmati perché c'era un'inondazione in corso e praticamente tutta la base è stata sommersa, come tutte le nostre strutture sanitarie e le altre che ci sono in zona per assistere i rifugiati del Sudan riparati lì da anni. A Maban ora c'è stata una tregua e siamo riusciti a riattivare alcuni servizi. Mentre a Pibor l'acqua persiste e sta ancora aumentando.

Le inondazioni da cosa sono state causate?

R. - Questa è la stagione delle piogge, anche se pensavamo fosse ormai passato il picco più alto. Invece è arrivata una grossa ondata d'acqua causata dalle ingenti precipitazioni su tutta l'area, particolarmente copiose e insistenti. Neppure la popolazione locale se le aspettava così.

Qual è la situazione dei soccorsi? Ci sono stati problemi per raggiungere queste zone?

R. - Ci sono stati e ci sono tuttora problemi notevoli. Tutti i voli d'aeroplano su Maban - di MSf, ma anche della Croce Rossa e delle Nazioni Unite - sono stati sospesi, perché la pista era completamente inondata. E adesso stiamo fornendo via elicottero tutti i supporti necessari. Il difficile è anche capire quanto siano estese le zone alluvionate, per poter poi raggiungere tasche di popolazione che non ricevono assistenza e non si possono muovere.

I pericoli al momento sono l'acqua contaminata e le epidemie. Come sta operando Msf?

R. - In una situazione del genere ci sono diversi pericoli. C'è un pericolo di annegamento per l'alto livello delle acque e c’è il rischio per la gente di essere travolta. Poi c'è tutta una questione di contaminazione delle fonti d'acqua, quindi bisogna andare a pulire i pozzi, bonificarli, disinfettarli. Inoltre c'è la questione del cibo e degli alloggi: tutto è stato inondato, la gente non ha più un riparo. Quindi tutto ciò innesca un circuito di precarietà in cui non si mangia, si beve acqua contaminata e ci si espone alle malattie respiratorie, perché comincia a far freddo e quindi le persone più vulnerabili si ammalano più facilmente.

E' alto il rischio di epidemie?

R. - C'era un'allerta colera in Sudan, nella zona del Blue Nile State, che è vicinissimo a Maban, con il rischio che il colera si potesse poi propagare. Per adesso non abbiamo notizie in tal senso ma la prevenzione dev'essere molto alta.

Le inondazioni potrebbero far salire i tassi di malnutrizione?

R. – Il Sud Sudan è un Paese martoriato dalla guerra, in cui ci sono stati notevoli movimenti di popolazione, gente che è scappata dalle violenze, e quindi c'è tutto un tessuto economico che è distrutto. A chi vive di agricoltura, queste inondazioni hanno potenzialmente distrutto i raccolti, altri invece - che fanno raccolti sott'acqua, come il riso, il sorgo - ne hanno forse anche beneficiato. Mentre chi aveva delle scorte s'è visto portare via tutto, non ha neanche da mangiare nell'immediatezza. E se manca pure l'acqua nella dieta alimentare, manca tutto e la malnutrizione può diventare un fenomeno letale.

Un quadro che può aggravarsi ulteriormente, in un Paese che dovrebbe arrivare a un governo di unità nazionale a novembre ma al momento restano le incognite...

R. - Spero che questo processo di pace dia dei buoni frutti, anche se ci sono notevoli perplessità. Questo è un quadro drammatico perché è un Paese estremamente fragile nonostante abbia delle risorse, soprattutto petrolio, ma è uno dei Paesi dov’è più duro sopravvivere.

Qual è l'appello di Medici Senza Frontiere alla comunità internazionale?

R. - Coprire i danni di quest'alluvione e i danni che si possono ripercuotere sul medio e lungo termine. Pensare ai raccolti persi e cercare di ricuperare questo gap. E soprattutto di non abbandonare il Sud Sudan non appena passi l'emergenza. Questo Paese ha bisogno enormemente di supporto, in un contesto di mancanza di infrastrutture e fragilità politica e insicurezza, viste le vicende degli ultimi anni.

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23 ottobre 2019, 20:05