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Il ghiacciaio islandese quasi completamente disciolto visto dal satellite Il ghiacciaio islandese quasi completamente disciolto visto dal satellite  

L'Islanda ricorda il ghiacciaio scomparso. Trincardi (Cnr): segnale preoccupante

Nel luogo del ghiacciaio disciolto è stata posta una targa che esorta ad un maggiore impegno contro i cambiamenti climatici. Oggi si apre la Settimana climatica dell’America Latina, il primo di una serie di summit internazionali che porteranno alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in programma a dicembre

Marco Guerra – Città del Vaticano

In Islanda è stata posta una targa ai piedi della montagna che conteneva il ghiacciaio Okjokull, scomparso dopo 700 anni a causa del riscaldamento globale. “Questo monumento testimonia che noi siamo coscienti di ciò che sta accadendo e di ciò che va fatto”, recita la scritta sulla placca che è stata inaugurata ieri in una cerimonia presenziata dal primo ministro islandese, Katrin Jakobsdottir, dall'ex presidente dell'Irlanda, Mary Robinson, e da attivisti ambientalisti.

Il messaggio alle future generazioni

La targa reca una "Lettera al futuro", scritta dall'autore islandese Andri Snaer Magnason. Nel testo si legge: "Ok è il primo ghiacciaio a perdere il suo status di ghiacciaio. Nei prossimi 200 anni è previsto che tutti i nostri principali ghiacciai faranno la stessa fine". Il messaggio rivolto alle generazioni future si chiude con una cifra: "415ppm CO2", cioè 415 parti per milione di anidride carbonica, la quantità critica presente nell'atmosfera terrestre che determina un innalzamento globale della temperatura.

A rischio tutti i ghiacciai dell’Islanda

Secondo quanto riferisce l’Ansa, nel 2000 fu fatto un inventario dei ghiacciai dell'Islanda e ne furono elencati ben 300 grandi e piccoli su tutta l'isola. Nel 2017 di questi se ne erano già persi ben 56. Le cose non vanno meglio sulle Alpi, dove negli ultimi cento anni i ghiacciai hanno dimezzato la loro estensione.

La Settimana climatica dell’America Latina

I capi di governo e i maggiori esponenti dell’economia mondiale saranno presto chiamati a partecipare ad una serie di summit tematici sulla lotta al cambiamento climatico. Il primo, in ordine temporale, è la Settimana climatica dell’America Latina e dei Caraibi (19-23 agosto) che si apre oggi a Salvador, seguirà la Settimana climatica Asia-Pacifico del 2-6 settembre a Bangkok, poi sarà la volta del vertice sul clima del 23 settembre a New York e la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2-13 dicembre in Cile. 

Le ripercussioni sulla biodiversità

I cambiamenti climatici hanno ripercussioni anche sulla fauna e la flora, che mettono a rischio la biodiversità dei vari habitat terrestri. Proprio in questi giorni a Ginevra si è aperta la 18.esima Conferenza delle parti della Convenzione ONU sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione. Sino al 28 agosto, i rappresentanti di circa 180 Nazioni concorderanno protezioni per le specie vulnerabili, affrontando questioni tra cui il commercio di avorio. Le misure da intraprendere mirano a rendere sostenibile il commercio internazionale di specie selvatiche e a contrastarne il commercio illegale. L'Unione Europea insiste per un'attuazione più efficace delle norme in vigore.

Arretramento generale di tutti i ghiacciai

“La destabilizzazione dell’Artico è pericolosa, influisce su tutto il clima globale”: intervistato da Vatican News, Fabio Trincardi, direttore del dipartimento di Scienze del sistema terra del Cnr, spiega perché lo scioglimento dei ghiacciai islandesi è un evento che dice quando sia urgente una riconversione di tutto il sistema di sviluppo:

Ascolta l'intervista a Fabio Trincardi

R. – Ci sono molti segnali regionali, locali, che se fossero specifici solo di un’area ristretta potrebbero interessare solo un piccolo numero di ricercatori. Il problema è che questi segnali sono coerenti e diffusi su quasi tutti i ghiacciai della Terra. Quando James Cook è arrivato in nuova Zelanda, i due ghiacciai della Nuova Zelanda Meridionale arrivavano in mare; oggi si trovano a decine di chilometri all’interno del loro fronte. Quindi c’è un arretramento generale di tutti i ghiacciai delle aree temperate. Questo però non è l’unico problema del sistema climatico e dei ghiacci terrestri: c’è la destabilizzazione della Groenlandia, dell’Antartide Centrale e la forte riduzione del ghiaccio marino nell’Artico destinato alla sparizione.

Questi cambiamenti climatici sono quindi imputabili all’azione dell’uomo; c’è un grande dibattito in questo senso, visto che dei grandi cambiamenti climatici ci sono stati anche in passato. Cosa può fare l’uomo per rallentare questa azione?

R. - Ciò che vediamo oggi è in gran parte colpa dell’uomo che in una parola sola deve “rinunciare”. La nostra società di consumo esasperato, con l’idolatria della crescita, può funzionare se solo una piccola parte del pianeta segue questo e l’altra parte paga il prezzo. In merito alla prima parte della sua domanda: è vero che il sistema climatico è sempre cambiato - è un sistema complesso -, ma questo non vuol dire che noi siamo ininfluenti, anzi! Ancora peggio: stiamo intervenendo su un sistema che è complicato. C’è un argomento che taglia la testa al toro: ci sono dei carotaggi nel ghiaccio che raccontano la storia delle ultime otto glaciazioni. Si vede che ci sono periodi “interglaciali”, come quello che stiamo vivendo noi oggi, cioè periodi caldi, in mezzo a decine di migliaia di anni che sono stati invece prevalentemente freddi. Gli “interglaciali” che sono simili al nostro hanno un contenuto di CO2, nelle bolle d’aria trattenuta nei ghiacci, che si ferma a 280, qualche volta arriva 300 parti per milione. Noi siamo sopra le 400 parti per milione.

Per semplificare possiamo dire che si è constatato che l’aumento del carbonio nelle varie epoche corrisponde ad un aumento delle temperature e ad una diminuzione dei ghiacci. Quindi se non si abbassa l’anidride carbonica non si tornerà indietro come temperature?

R. - Esattamente. Quello è il nodo principale. Quindi bisogna far ricrescere le foreste oppure fare progetti di “sequestro” di Co2 e soprattutto fare in modo che non si destabilizzino altre parti del sistema climatico che sono in bilico. Torno un attimo all’Artico, perché è qui che si fanno i giochi. È importante che mettano questa targa in Islanda, perché siamo vicini all’Artico. Il vero gioco è il seguente: la riduzione del ghiaccio marino porterà ad una diminuzione della capacità della Terra di riflettere calore verso lo spazio. Quindi l’oceano assorbe radiazioni infrarosse e ghiaccio la riflette. Se non abbiamo più il ghiaccio il prezzo che paghiamo è un ulteriore riscaldamento dovuto all’assorbimento del calore da parte dell’oceano. L’altro elemento dell’Artico pericolosissimo è la destabilizzazione al permafrost, il suolo ghiacciato che contiene grandissimi volumi di metano. Il ghiaccio marino che si sta sciogliendo e il metano che si sta rilasciando sono probabilmente degli amplificatori del cambiamento climatico, quanto meno ci dicono quanto sia urgente una riconversione di tutta la nostra       economia.

Proprio in questi giorni si svolge a Ginevra la Cites, la Conferenza sulle specie a rischio estinzione. Ovviamente i cambiamenti climatici influiscono anche sulla biodiversità…

R. - Sì, in vari modi. Intanto influiamo direttamente sulla biodiversità togliendo habitat; quando bruciamo le foreste per poi coltivare, stiamo distruggendo ecosistemi interi portando all’estinzione delle foreste, con ripercussioni sul clima. Poi c’è un altro aspetto. Ad esempio, per quanto riguarda le specie marine, c’è il problema legato alla della cosiddetta fenologia, cioè il momento in cui una specie cresce, sviluppa, diventa adulta. Il cambiamento climatico fa cambiare i momenti in cui queste fasi avvengono. Cioè ci sono delle specie che effettivamente iniziano prima a svilupparsi. Una specie che pochi decenni fa era predata da un predatore, ora si sviluppa prima del proprio predatore. Ad esempio, le meduse con il riscaldamento globale sono molto meno predate di prima, perché si sviluppano prima. Stiamo convertendo il mare, da un mare di pesci ad un mare di meduse. Diciamo che c’è una forte semplificazione di tutti gli ecosistemi. Poi c’è un altro problema ancora: quello delle specie cosiddette invasive, cioè specie che vengono da altri mari e che noi portiamo in altri mari. Il problema è che tutto questo sta avvenendo globalmente ad una scala estremamente accelerata e in termini di grande perdita di biodiversità.

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19 agosto 2019, 15:11