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Una petroliera sullo stretto di Hormuz Una petroliera sullo stretto di Hormuz 

Iran: gli USA chiedono alla Corea del Sud di unirsi alle forze militari ad Hormuz

La situazione nel tratto di mare in Medio Oriente rimane tesa e gli Stati Uniti, dopo aver raccolto il supporto della Gran Bretagna, cercano altri alleati per pattugliare l’area. Sono in ballo interessi strategici e il golfo è una delle rotte marittime più importanti e trafficate del mondo

Roberto Artigiani – Città del Vaticano

Da qualche tempo un piccolo tratto di mare al termine del golfo Persico è salito al centro delle cronache. In questa regione infatti si sta sviluppando una grande crisi internazionale che coinvolge principalmente Iran e USA, ma che nelle sue implicazioni chiama in causa molti altri Paesi. Qui passa un quinto di tutto il petrolio mondiale, più che in qualsiasi altra parte del pianeta e si intrecciano enormi interessi economici e geopolitici, a partire dalla questione sul nucleare iraniano. Come racconta Vittorio Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano: “Gli USA stanno accelerando nella loro politica di mettere all’angolo l’Iran, ufficialmente per spingerlo ad un nuovo negoziato più duro o comunque per mantenere la pressione sul governo”.

Una crisi che parte da lontano

La crisi tra i due Paesi parte da lontano, come nota Parsi “l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha riconosciuto che l’Iran ha ottemperato alle clausole previste dal trattato, quindi non c’è una base legale e politica per uscire da quell’accordo e trattare l’Iran come una potenza inadempiente. Gli USA però di fatto impediscono che le conseguenze positive si manifestino attraverso una serie di meccanismi sanzionatori diretti e indiretti e il Paese mediorientale minaccia di non rispettarlo più su base unilaterale. L’Unione Europea continua a sperare che questo non avvenga, però è chiaro che agli iraniani bisognerà offrire una via d’uscita altrimenti la situazione diventerà veramente molto pericolosa”.

Rischio escalation

“L’idea americana di avere una forza multinazionale che pattugli le acque dello stretto di Hormuz mi sembra una follia – afferma Parsi commentando gli ultimi sviluppi della vicenda – in questo momento la libertà di navigazione non è seriamente minacciata e la concentrazione di navi militari di Paesi diversi in uno spazio di mare così ristretto aumenta il rischio di incidenti e quindi la possibilità di escalation che è l’ultima cosa che serve alla regione”.

Ascolta l’intervista a Vittorio Emanuele Parsi

Alle origini delle tensioni

Prima degli scontri sul trattato nucleare, degli abbattimenti di droni e delle navi sequestrate ci sono motivazioni più profonde alle origini delle tensioni. Parsi spiega che “gli USA hanno delegato gran parte della regia della loro politica nella regione a Tel Aviv e Riad, che hanno una preoccupazione vitale: contenere la crescita iraniana. Questo però comporta enormi rischi. Oltretutto non bisogna dimenticare che nella Repubblica Islamica dell’Iran si fronteggiano da sempre due linee e tutte le volte che quella più aperta al dialogo col mondo esterno e con l’Occidente va in difficoltà se ne avvantaggia quella più integralista e vicina al tratto autoritario delle istituzioni iraniane. Questo - dice ancora - è negativo se si vuole veramente la distensione e il miglioramento delle condizioni di vita degli iraniani stessi, ma è funzionale se invece si vuole mantenere alta la tensione demonizzando l’altro”.

Una zona di faglia

L’attuale scenario diventa ancora più complesso se si tengono in considerazione altri elementi estremamente attuali nell’analisi di Parsi: “In una situazione fluida di distribuzione degli equilibri internazionali in cui gli USA stanno perdendo la capacità di dare la tendenza al sistema, la Cina e la Russia stanno emergendo come antagonisti o possibili sfidanti. Il Medio Oriente e il golfo rappresentano un teatro ovvio di sfida. La transizione da un sistema bipolare ad uno più articolato manifesta tutti i suoi rischi in posti simili, sono zone di faglia in cui il passaggio rischia di produrre effetti di non governabilità”.

Una partita pericolosa

Come può evolvere una situazione così delicata ed instabile? Parsi esprime la sua opinione in merito: “Gli USA tenteranno di mantenere elevata la tensione cercando di non farsela scappare di mano, magari anche alzando un altro po’ il livello del confronto. Per questo mi aspetto altri incidenti anche di scala maggiore rispetto all’abbattimento del drone iraniano. Quando si inizia a giocare all’escalation - conclude - si sa dove si inizia, ma non dove si va a finire”.

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09 agosto 2019, 16:10