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Strage di Palermo. Mons. Lorefice: tenere alta la guardia contro la mafia

Nel 27.mo anniversario della strage di via d’Amelio, in cui Paolo Borsellino perse la vita con cinque agenti della sua scorta, l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, chiede allo Stato di non abbassare la guardia e sostenere gli operatori di giustizia

Fabio Colagrande - Città del Vaticano

“Non vedo che senso ha perdere la libertà la mattina per essere libero di essere ucciso la sera". Sono parole pronunciate da Paolo Borsellino davanti alla Commissione parlamentare antimafia nel 1984 e esprimono la preoccupazione del giudice antimafia per l'inadeguatezza della sua scorta. Questo e altri audio, sono stati desecretati in occasione del ventisettesimo anniversario della Strage di via d'Amelio, l’attentato mafioso compiuto a Palermo il 19 luglio 1992, in cui Borsellino perse la vita assieme ai cinque agenti della Polizia di Stato della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Gli audio resi pubblici dalla Commissione antimafia hanno riaperto il dibattito sull’idoneità della risposta delle istituzioni alla criminalità organizzata che si aggiunge a quello sulla lentezza dell’accertamento della verità a proposito delle stragi di mafia. "Via D'Amelio, ventisette anni dopo, ci ricorda che a distanza di tanti anni ci sono ancora processi in corso per accertare una verità a cui hanno diritto i familiari delle vittime di quelle stragi e tutto il popolo italiano", ha affermato il ministro della giustizia Bonafede. Sul significato della ricorrenza, Radio Vaticana Italia ha sentito mons. Corrado Lorefice, l’arcivescovo di Palermo, città natale di Paolo Borsellino.

R. – Senza dubbio il 19 luglio è una data che resterà segnata non solo nel cuore dei palermitani ma nei cuori di ogni uomo che è un ricercatore di giustizia. È una data che ci deve far fare memoria affinché possiamo sempre custodire il prezzo di questo sangue che è un prezzo molto alto. Dobbiamo custodire il significato di questo sangue. Uomini come Borsellino, come Falcone, infatti, ci dicono che dobbiamo prendere tutti parte alle vicende della città umana perché la convivenza umana sia costruita non su logiche di potere e di profitto ma sia segnata invece da una prospettiva di felicità che deve raggiungere tutti. Ecco il motivo perché Paolo Borsellino si è sempre battuto: perché se non c’è giustizia gli uomini vengono sopraffatti da altri uomini e quindi si produce sofferenza, sangue. E Borsellino era un uomo anche ispirato dal Vangelo, questo non lo dobbiamo dimenticare, era un frequentatore dei Salmi, come noi sappiamo, e i Salmi custodiscono tutti i sentimenti umani. Ci sono anche i Salmi che gridano giustizia al cospetto di Dio.

In un audio desegretato recentemente dalla commissione antimafia, nell’84 il giudice Borsellino si lamentava della scarsità delle scorte: colpisce una sua frase in cui si chiedeva che senso avesse fargli perdere la libertà la mattina per poi lasciarlo libero di essere ucciso la sera. Sono parole che danno i brividi ascoltate oggi…

R. – Certo che danno i brividi perché poi sappiamo, appunto, cosa è successo in quegli anni qui a Palermo. Penso che da questo punto di vista ci sia l’urgenza, la necessità che le istituzioni, in particolare lo Stato, non abbassino mai la guardia e che ci aiutino a credere ancora nella giustizia e a sostenere gli operatori di giustizia perché ci sono ancora, grazie a Dio… A volte, c’è un antimafia da ostentazione ma questa è gente che ha fatto sul serio con lo Stato, con le istituzioni: le ha servite con grande fedeltà perché voleva servire volti e uomini concreti. Ecco perché è necessario tenere alta la guardia e realmente sostenere gli uomini che ancora oggi su questo fronte riescono a rimanere liberi e a dire una parola di liberazione.

Ascolta l'ntervista a mons. Lorefice

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19 luglio 2019, 12:12