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Mons. Molinari: dal sisma dell’Aquila la riscoperta dei valori veri

Stanotte alle 3.32 i rintocchi della chiesa di Santa Maria del Suffragio ricorderanno i 309 morti del sisma del 6 aprile 2009 a L’Aquila. Il ricordo di quei momenti nelle parole dell’arcivescovo emerito della città, mons. Giuseppe Molinari

Fabio Colagrande - L’Aquila

È tutto pronto all’Aquila per la fiaccolata che dalle 22.30 si snoderà per le vie del capoluogo abruzzese in ricordo delle 309 vittime del terremoto di 10 anni fa, il 6 aprile del 2009, che colpì la città e i paesi limitrofi: il corteo partirà dall’area di fronte il Tribunale, per snodarsi lungo via XX Settembre, con sosta in corrispondenza della Casa dello Studente, drammaticamente crollata quella notte, per poi proseguire in direzione della Villa Comunale ed arrivare in Piazza Duomo. Dopo la mezzanotte, a Santa Maria del Suffragio la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo della città, il card. Giuseppe Petrocchi. Alle 3.32 di questa notte, l’ora della forte scossa, a risuonare saranno i 309 rintocchi della campana della chiesa, in memoria dei morti causati dal sisma. Per un ricordo di quelle ore, ai microfoni di Radio Vaticana Italia mons. Giuseppe Molinari, arcivescovo emerito de L’Aquila (Ascolta l'intervista a mons. Molinari).

R. – C’è un ricordo vivissimo, è una ferità sempre aperta. Dopo la seconda scossa, mi sono svegliato - nell’appartamentino vicino c’erano le suore che mi aiutavano - e siamo scesi in cucina, abbiamo fatto un caffè, abbiamo pregato il rosario. Alle 3:32 è accaduta la catastrofe. Ricordo un rumore assordante, terribile, mostruoso. Poi la luce è andata via, le suore mi cercavano, nel mio appartamento era già crollato il soffitto. Quando le ho viste, una suora aveva un piede sanguinante: si era tagliata con i vetri della finestra. Abbiamo trovato una torcia elettrica e siamo riusciti a scendere. Nel cortile del vescovado - il cortile dà sulla parete di sinistra della cattedrale - le suore hanno detto: “È crollata la cattedrale”! Siamo andati in piazza vestiti alla meglio; poi le suore sono andate a prendere delle tovaglie del refettorio per ripararsi dal freddo. Lì, in piazza, le scosse continuavano… Sembrava che la facciata della cattedrale, quella delle Anime Sante, quelle dei palazzi vicini si abbattessero sulla piazza. Lì è cominciata a confluire in massa la gente. Anche i sacerdoti che erano al seminario sono arrivati lì. Il mio segretario, don Alessandro, è arrivato dopo un’ora tutto sanguinante: è stato tirato fuori dalle macerie da un seminarista. Poi è arrivato un altro sacerdote con tutto il volto insanguinato…

Lei è stato arcivescovo de L’Aquila fino al 2013. Che bilancio fa degli anni del dopo terremoto?

R. - Mi sento un miracolato come molti aquilani; avere lasciato la camera dove dormivo per scendere al piano inferiore è stata la mia salvezza, perché lì è crollato il soffitto. Quindi ringrazio il Signore. Da allora dico sempre: “Signore, grazie di questa seconda vita. Aiutami a viverla bene, amando te, amando i fratelli e guardando avanti con fiducia e con speranza”. Da lì sono cominciate tante difficoltà. Ho cercato di avere informazioni sullo stato di salute dei sacerdoti. Grazie a Dio erano tutti vivi. Ma abbiamo avuto la morte di due suore. Poi le altre morti… I giornali, i notiziari informavano continuamente al riguardo. Le nostre 309 vittime sono la grande tragedia. Ho sempre detto che la più grande tragedia è il fatto che queste persone non ci sono più; le case prima o poi si ricostruiranno. Anche a proposito delle case dicevo: “Prima le case, le fabbriche e poi le chiese”. Purtroppo devo dire che per tanti motivi - la burocrazia, i soldi che si dice manchino - delle nostre chiese attualmente c’è solo Collemaggio, c’è la chiesa del Suffragio, che è stata inaugurata lo scorso 8 dicembre, poi c’è la Basilica di San Giuseppe. Speriamo che un po’ alla volta vengano riaperte le altre. Sto dicendo questo perché il terremoto è stata una devastazione materiale immensa però, come qualcuno dice, è stato anche un terremoto dell’anima. La maggior parte delle persone, soprattutto quelli che si dicono cristiani e che frequentano la chiesa, ha reagito in modo positivo, con forza, con dignità. Purtroppo c’è anche qualcuno che ha reagito in modo negativo. Proprio qualche giorno fa è capitata qui una signora che conosco da quando era bambina, adesso è madre di famiglia. Mi ha detto: “Io da quel giorno non riesco più a pregare, non riesco più ad andare in chiesa”. Però sono episodi singoli, rari, perché la maggioranza delle persone è rimasta ancorata alla fede. Dopo il sisma ho fatto il giro di tutte le parrocchie, per capire la situazione. Ho fatto proprio una visita pastorale in tutte le parrocchie delle diocesi, anche le più piccole, e ciò che mi ha colpito sempre è stata la gente che aveva tanti problemi, la casa distrutta, il lavoro che veniva a mancare, difficoltà famigliari, persone care portate via da questa tragedia, però la prima cosa che mi diceva era: “Cerchi di fare qualcosa per la nostra chiesa”. Questo mi ha sempre colpito e commosso.

Che significato ha, anche ovviamente dal punto di vista di un credente, fare memoria di quello che è accaduto dieci anni fa, con lo sguardo verso il futuro di questa comunità?

R. - Adesso è bello che molti si ricordino di questa tragedia, perché purtroppo i riflettori su L’Aquila si sono spenti abbastanza presto, anche perché ci sono state altre tragedie. È bello ricordare, però vorremmo tutti che questi ricordi portassero dei frutti efficaci, concreti per la ricostruzione, per il benessere della nostra città. Credo che fare memoria per noi aquilani, per quelli che credono in Gesù Cristo, significhi ricordarci che questo mondo bellissimo e la vita qui non sono la nostra vera patria. Vorrei farmi capire meglio. In quei giorni drammatici ricevetti una lettera molto bella di mons. Alfredo Battisti. Era stato vescovo di Udine quando ci fu il terremoto del Friuli. Nel 2009, lui era vescovo emerito e ricorrevano i 33 anni dal terremoto in quelle zone. Nella bellissima lettera tra l’altro diceva: “Noi friulani in quel momento drammatico, scavando e piangendo tra le macerie, abbiamo riscoperto tanti valori veri”. Io auguro a me, agli aquilani, a tutti che quella tragedia ci aiuti a riscoprire tanti valori veri, a mettere da parte le cose che sono meno importanti e a cercare quelle che contano di più.

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05 aprile 2019, 13:39