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Il Centro San Giuseppe del Pime in Thailandia Il Centro San Giuseppe del Pime in Thailandia 

Thailandia, quando l’educazione è accoglienza

Il Centro San Giuseppe nel Paese del sud-est asiatico e l’impegno dei missionari del Pime con i disabili delle zone rurali nel nord. Padre Maurizio Arioldi: «C'è una benedizione in ognuno, deve solo essere tirata fuori e messa in luce»

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Istruzione, formazione e assistenza sanitaria, in una parola: accoglienza. È questo il Centro San Giuseppe di Phrae, nel nord della Thailandia, realtà del Pime che, in un contesto prevalentemente buddista, dal 1995 offre aiuto a bambini e giovani con disabilità. «Soprattutto nelle aree rurali, la disabilità viene vista come un qualcosa di negativo che deriva dal karma di vite precedenti, c’è ancora uno “scotto culturale” molto forte, quasi un nascondimento, una vergogna», spiega padre Maurizio Arioldi, da trent’anni missionario italiano del Pime nel Paese asiatico, che da tempo si divide tra la città di Phrae e il distretto di Ngao, nella provincia di Lampang, tra villaggi di origine tribale che ospitano anche profughi dal Myanmar.

«Nei villaggi rurali i ragazzi disabili, soprattutto se vivono in casa, sono praticamente abbandonati, perché spesso sono seguiti da una mamma single o dai nonni, che fanno già fatica a sbarcare il lunario, dato che le zone rurali non danno molte possibilità di lavoro se non un’agricoltura di sostentamento», riferisce il missionario originario della provincia di Bergamo. «Arrivare a scuola dalla propria casa vuol dire di fatto che un genitore o chi segue un bambino o ragazzo disabile non può lavorare: alcune famiglie addirittura non hanno i soldi per la benzina, per sostenere un viaggio di andata e ritorno».

La comunità del Centro San Giuseppe

Al Centro San Giuseppe uno staff di 15 operatori assiste una trentina di bambini in età scolare, a partire dai sei anni, dalla prima elementare fino al termine delle medie. «Abbiamo anche ragazzi delle superiori, che rimangono collegati con noi, pure se preferiamo — riferisce padre Arioldi — che quelli più grandi, sono una decina, affrontino direttamente la vita fuori dalla struttura, per “farsi le ossa” in qualche modo e uscire dal nido».

Ascolta l'intervista a padre Maurizio Arioldi

Nel centro dei missionari del Pime «vengono ospitati giovani con problemi fisici e — afferma — da due, tre anni abbiamo iniziato ad assistere anche bambini con disturbi dell’autismo», senza alcuna distinzione di credo: «Per la maggioranza, al 90%, sono buddisti, la parte cristiana è più o meno il 3%, pochi ragazzi, e poi c’è qualche animista proveniente dalle tribù». Innanzitutto, prosegue, «li aiutiamo a raggiungere la scuola: a Phrae ci sono molti istituti, c’è anche la scuola cattolica, oltre a una specializzata per i ragazzi con disturbi di autismo. Ma la scelta, per ogni bambino, avviene guardando non solo il tipo di istruzione e di specializzazione che potranno intraprendere ma anche tenendo conto delle barriere architettoniche, con edifici che per esempio non hanno l’ascensore e quindi non sono accessibili per chi è in carrozzina».

Il giusto valore di ognuno

L’impegno dei Centro San Giuseppe prosegue anche dopo l’orario delle lezioni, in «uno stile di famiglia» fortemente voluto dalla direttrice, Phimbool Limpyakul, «una donna cattolica thailandese che si mette in gioco insieme agli altri, creando comunità e dando il giusto valore a tutti». «Quando i bambini tornano da scuola sono divisi in gruppi e ogni giorno svolgono un’attività diversa. Qualcuno fa fisioterapia, altri seguono corsi di educazione tecnica, altri ancora che hanno bisogno di un supporto per le materie scolastiche, soprattutto matematica, thailandese, inglese, hanno delle insegnanti che li aiutano a fare i compiti. Sono previste poi delle attività sportive, con un volontario italiano, Marco Togni, che segue i ragazzi e fa loro da coach». Il fine educativo, ci tiene a precisare il sacerdote italiano, è quello di «mettere al centro i ragazzi in modo olistico, cioè mente, corpo e spirito», non tralasciando neppure i problemi della vita, «esistenziali». D’altra parte, aggiunge, «l’educazione, quella scolastica, è importante, nel senso che dà una possibilità per l’avvenire, ma non basta: deve sempre esserci un motivo per vivere, per fare pace con la propria situazione, anche fisica e psicologica». Perché, testimonia padre Arioldi con una punta di commozione, ci sono stati casi di ragazzi che, per la loro disabilità, si sono lasciati morire, in quanto non riuscivano a «intravedere un futuro». Ma ci sono stati anche giovani che, pur nelle difficoltà, sono riusciti a vivere una storia a «lieto fine». Ricorda di quel ragazzo che, terminata la scuola universitaria, trovò lavoro in un resort, come impiegato, ma durante il covid, «quando tutto si bloccò», si indebitò con delle scommesse on line. «Scoprimmo che aveva tentato di ammazzarsi: una sera, disperato, aveva raggiunto l’autostrada aspettando che un tir o una macchina lo investisse. Riuscimmo a ricuperarlo e a mandarlo in un centro di aiuto psicologico per ludopatici. Oggi ne è uscito ed è direttore del personale in un negozio di occhiali». Sono ragazzi «che lottano ogni giorno e noi facciamo il tifo per loro perché c’è una benedizione in ognuno, che deve solo essere tirata fuori e messa in luce».

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25 gennaio 2025, 12:55