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Spirito, ma anche corpo. Quale cibo per il Giubileo?

Dalla zuppa di farro alle crêpes di Papa Gelasio. Esiste un cibo del pellegrino? Accoglienza, gratuità, penitenza, condivisione sono gli ingredienti dei tanti cammini compiuti verso Roma nei secoli da fedeli anonimi, ma anche da santi venerati in tutto il mondo

Paolo Ondarza – Città del Vaticano

Anche il pellegrinaggio, metafora della fede, ha il suo cibo. Da sempre per moltitudini di fedeli raggiungere Roma, Gerusalemme, Santiago de Compostela o altri luoghi santi, è stata ed è indiscutibilmente un’esperienza spirituale. Ma per compierla anche il corpo, o “frate asino” come lo chiamò Francesco d’Assisi in punto di morte scusandosi per averlo lungamente provato, è fondamentale ed ha bisogno di sostentamento..

La fiasca del pellegrino (Musei Vaticani)
La fiasca del pellegrino (Musei Vaticani)

La bisaccia del pellegrino

Lo sapevano bene gli antichi pellegrini che, prima di intraprendere il lungo e faticoso viaggio verso la tomba dell’Apostolo Pietro per ottenere l'indulgenza plenaria, inserivano nella bisaccia il necessario per il sostentamento. E quando il cibo veniva a mancare? Si bussava alle porte di case, conventi o ospizi. Una sosta indispensabile per recuperare forze e riprendere il cammino.

Un pellegrinaggio
Un pellegrinaggio

Le ricette del Giubileo

Ma esiste un cibo del pellegrino, un ricettario specifico del Giubileo? “Se uno va a cercare trova certamente interessanti ricette”, spiega a Vatican News don Andrea Ciucci, coordinatore di Segreteria della Pontificia Accademia per la Vita e autore di numerosi libri sul tema, tra cui “Nutrire l’anima. I piatti dei pellegrini e dei viaggiatori”, edito da San Paolo e scritto insieme a don Paolo Sartor. “Si parla di un agnello preparato con erbe molto profumate; di ciliegie con lo zucchero, ottime sul gelato; oppure delle famose crêpes di Papa Gelasio”. O ancora: la zuppa di farro, la minestra di pani, porri e uova o anche il semplice formaggio stagionato come il Pecorino, ritenuto un prezioso alleato nel trattamento dei malesseri da viaggio grazie al triptofano, sostanza che stimola la produzione di serotonina ed ha effetti rilassanti e antiossidanti.

Una pagina del libro “Nutrire l’anima. I piatti dei pellegrini e dei viaggiatori"
Una pagina del libro “Nutrire l’anima. I piatti dei pellegrini e dei viaggiatori"

L’accoglienza e la condivisione

“Sono ricette classiche, della tradizione romana, ma che con il Giubileo in realtà non hanno nulla a che fare”. Dunque una vera e propria gastronomia del Giubileo non c’è. “A Roma – prosegue don Andrea Ciucci - i pellegrini quando arrivavano venivano accolti e sfamati con un cibo che era gratuito ed era nutriente: la minestra, i prodotti dell'orto, la verdura, ciò che si poteva condividere. Talvolta erano alimenti anche un po’ asciutti, penitenziali, perché così è il Giubileo e così deve essere anche il suo cibo”. Abbiamo incontrato il sacerdote in un luogo particolarmente significativo: il convento romano di San Francesco a Ripa a Trastevere. Con la sua bellissima chiesa barocca, scrigno di capolavori artistici come “L’estasi della Beata Ludovica Albertoni” di Gian Lorenzo Bernini, è un luogo d’accoglienza per eccellenza.

“L’estasi della Beata Ludovica” di Gian Lorenzo Bernini nella Chiesa di San Francesco a Ripa
“L’estasi della Beata Ludovica” di Gian Lorenzo Bernini nella Chiesa di San Francesco a Ripa

Francesco d’Assisi e l’antico ospizio di San Biagio

Anticamente qui sorgeva l’ospizio di San Biagio, tenuto dai Benedettini di Ripa Grande, un ospedale che accoglieva viandanti, bisognosi e soprattutto lebbrosi. Durante le visite romane al Papa Innocenzo III, in questo luogo trovò riparo dal 1223 San Francesco d’Assisi. Fu la matrona romana Jacopa de’ Settesoli, da lui chiamata affettuosamente Frate Jacopa in ragione dell'amicizia fraterna che li legava, a fare in modo che il Poverello potesse trovare un tetto sotto il quale dormire e pregare.  La cella è ancora integra, sopravvissuta ad un tentativo di demolizione nel XVII secolo, è divenuta nei secoli luogo di preghiera e devozione. Un ambiente antico e significativo è anche il refettorio.

L'altare della cella di San Francesco a Ripa
L'altare della cella di San Francesco a Ripa

Fare spazio al prossimo

Sulle orme del Santo, fratello dei poveri, dei malati e dei lebbrosi, la fraternità di frati minori di Ripa, vive pregando e prendendosi cura degli ultimi, condividendo la casa, il cibo e quanto il Signore offre ogni giorno. “Dal 2011 – spiega fra Emanuele Maria Meloni, responsabile del progetto RIPA, Rinascere Insieme Per Amore – abbiamo voluto fare in modo che questo non fosse solo un luogo di memoria legata al passato, ma che questa memoria di accoglienza rivivesse. Quindi abbiamo avviato un progetto che prende il nome dal rione romano Ripa: noi frati accogliamo ragazzi a rischio di marginalità sociale e condividiamo con loro la vita quotidiana, mettendo a disposizione quello che Francesco ci ha lasciato come eredità: fare spazio al prossimo”.

La Chiesa di San Francesco a Ripa a Roma
La Chiesa di San Francesco a Ripa a Roma

I dolci di San Francesco

“San Francesco – ricorda padre Paolo Maiello, superiore e parroco del Convento di San Francesco a Ripa – ha dimorato qui circa sei-otto volte, secondo le cronache. Il suo incontro con Frate Jacopa è legato anche al famoso mostacciolo”. Dedito alla preghiera e all'ascesi, ma anche profondamente concreto ed umano, il Santo di Assisi prediligeva i dolci che l’amica in più di un’occasione preparava per lui con ingredienti semplici e gustosi: mandorle, miele, mosto d’uva, fichi secchi e uvetta. “Alla Porziuncola nel 1226, nel momento in cui stava per tornare alla Casa del Padre”, prosegue padre Paolo, “Francesco chiese ai suoi frati di chiamare Frate Jacopa perché per un’ultima volta potesse portargli da Roma i gustosi mostaccioli. La donna, prima ancora che i frati partissero per la Città Eterna, in un attimo era già ad Assisi, come se avesse presagito il desiderio del Poverello che, in punto di morte, mangiò il dolce tanto amato”.

Un posto a tavola nel refettorio del convento di San Francesco a Ripa
Un posto a tavola nel refettorio del convento di San Francesco a Ripa

Il volto autentico del Giubileo

Accoglienza, gratuità, penitenza, condivisione. Le tante storie legate al cibo dei pellegrini disegnano il volto più autentico del Giubileo. “Giubileo – conclude don Andrea Ciucci – vuol dire ripensare un modo nuovo di stare insieme, il modo con cui Dio pensa il mondo e le nostre relazioni. Accade venendo a Roma, attraversando la Porta Santa: se anche condividere il cibo secondo la logica di Dio, sarà ciò che i pellegrini sperimenteranno in quest'anno a Roma, avremo avuto successo e il nutrimento sarà vero e profondo: del corpo e dell'anima”.

Le crêpes
Le crêpes

Le crêpes di Papa Gelasio

Per concludere non potevamo omettere di condividere due semplici ricette tra quelle sopra menzionate. La prima riguarda le famose crêpes di Papa Gelasio che la tradizione vuole siano state offerte nel V secolo dal Pontefice ad un gruppo di pellegrini francesi giunti a Roma per la festa di candelora. Da quel momento sarebbero divenute un dolce tipico in Francia. Per prepararle occorrono 250 grammi di farina, 4 uova, 250 ml di vino bianco, altrettanti di acqua, 50 grammi di burro e un pizzico di sale. L’impasto di sale, uova, farina, vino e acqua va lavorato fino a che non diventi perfettamente liscio e omogeneo; quindi il composto deve riposare in frigorifero per circa un’ora. Il burro sarà usato per ungere la pentola rovente e cuocere le crêpes una per volta. La quantità di impasto necessaria deve essere sufficiente a coprire con uno strato leggero l’intera superficie della pentola. Una volta pronta la crêpe, come è noto, può essere farcita sia in versione salata che dolce.

I mostaccioli
I mostaccioli

I mostaccioli di Frate Jacopa

Altrettanto semplice è la preparazione dei mostaccioli di Frate Jacopa. Occorrono 30 minuti, cottura compresa. Gli ingredienti necessari sono 250 grammi di mandorle tritate finemente, 150 grammi di farina, 125 di miele, 2 albumi, 2 cucchiai di mosto, cannella e pepe a piacere. Dopo aver preriscaldato il forno a 170 gradi e rivestita una teglia con carta da forno, l’impasto ottenuto mescolando gli ingredienti deve essere steso ad uno spessore di circa 5mm. I biscotti vanno quindi ritagliati a forma di losanga larga 4 cm e infornati per 15 minuti. Buon appetito e buon cammino!

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21 gennaio 2025, 13:30