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La processione con Sant'Antonio a Padova La processione con Sant'Antonio a Padova

Sant'Antonio di Padova, compagno di viaggio

Intervista su L'Osservatore Romano a padre Ramina rettore della basilica, meta di milioni di pellegrini: "Al Santo è devoto un popolo universale. Conquista così tante persone perché sa accogliere e ascoltare tutti, nessuno escluso"

Alvise Sperandio - Città del Vaticano

Milioni di persone ogni anno si recano alla tomba di sant’Antonio di Padova, mettendosi in fila per pregare e toccando con mano la lapide. E il 13 giugno, nella memoria liturgica a lui dedicata (anniversario della morte), il pellegrinaggio si rinnova incessante con migliaia di visite dall’alba al tramonto di una delle giornate più luminose dell’anno. Antonio (Lisbona, 1195 – Padova, 1231), sacerdote francescano e dottore della Chiesa canonizzato nel 1232, è uno dei santi più amati al mondo, “il Santo” per antonomasia, così come Padova nell’immaginario collettivo è identificata come “la città del Santo”. Nella basilica pontificia retta da tre anni da padre Antonio Ramina, 54 anni, vicentino, dell’Ordine francescano frati minori conventuali, tutto è pronto per la festa, anticipata dalla celebrazione della “Tredicina” (nei tredici martedì precedenti). Domani il programma sarà intenso: al mattino le messe con il delegato pontificio arcivescovo Diego Giovanni Ravelli e il vescovo di Padova, Claudio Cipolla, nel pomeriggio quella con il ministro provinciale dei frati minori conventuali, padre Roberto Brandinelli, seguita dalla solenne processione per le vie della città gremite di fedeli al seguito della statua lignea e delle reliquie del santo.

Padre Ramina, chi è Antonio per lei?

Una scoperta non immediata. Io sono entrato in convento ispirato più che altro dalla figura di san Francesco. Sant’Antonio, che com’è noto incontrò il Poverello d’Assisi, l’ho conosciuto come un interprete originale del francescanesimo. Mi ha affascinato per due ragioni: l’amore per la parola di Dio, con grande spazio al silenzio, alla meditazione, alla preghiera, e la straordinaria forza della sua predicazione sempre in favore dei poveri.

Perché questo santo è così tanto venerato?

È un po’ un mistero: di santi “simpatici” vicini alla gente ce ne sono tanti. Io penso che sant’Antonio conquisti così tante persone perché sa accogliere e ascoltare tutti, nessuno escluso. E perché trasmette a ciascuno la dimensione affettiva della fede.

Chi sono i devoti a sant’Antonio di Padova?

È un popolo universale: ci sono uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri, malati e sani, persone con alti titoli di studio o meno. Non necessariamente credenti, anzi. Noi frati che custodiamo la basilica vediamo come alla sua tomba si avvicinino davvero tutti perché il suo richiamo non ha barriere né differenze.

Che cosa cerca la gente in sant’Antonio?

Soprattutto consolazione e sostegno. Sant’Antonio è un compagno di viaggio, amico nel cammino personale di ciascuno di noi. Molti vanno a chiedere l’intercessione per problemi di salute, domandando guarigioni, miracoli, grazie. In tal senso le tantissime foto ex voto esposte vicino alla tomba sono una testimonianza potente e mostrano il volto universale della Chiesa. Molto forte, inoltre, è la riconoscenza per i doni ricevuti.

Cosa c’è nel gesto di toccare la lapide?

Non è magia o superstizione ma ci ricorda che la nostra vita di fede non può essere solo pensiero, sentimento, buona intenzione, ma è anche entrare in una vita vissuta, una storia concreta. Questo pellegrinaggio continuo ci aiuta a rimotivarci nel cammino di fede.

Ogni domanda di salute sottintende sempre una domanda di salvezza.

Quando una persona si avvicina alla tomba per malattia, chiede giustamente la guarigione. Ma il vero miracolo, come succede anche a Lourdes, è che nella preghiera si aprono altri spazi. Va benissimo l’evangelico “chiedete e vi sarà dato” ma non va dimenticato che poi non è detto che arrivi. Quel che conta è l’affidarsi a Dio che sta lì, al nostro fianco, con le nostre ferite e le nostre fatiche e non ci lascia mai.

Qual è l’attualità del santo nella società opulenta e supertecnologica di oggi?

Lui meditava molto e parlava con forza. Antonio è il santo dell’interiorità. Non è mai stato preoccupato di esibire o mostrare chissà che cosa. Essere e apparire in lui stanno insieme. «Io sono quello che appaio», amava dire. Impariamolo tutti.

Qual è il punto di contatto con san Francesco d’Assisi?

A entrambi non interessava l’esegesi o la cultura in sé ma che nella parola di Dio fosse riconosciuta la voce del Signore, la chiamata alla vocazione. C’è un detto profondamente giusto: “cessino le parole e parlino le opere”.

La processione per Padova è un segno di fede e testimonianza in una “civis” sempre più scristianizzata.

Lo è nella misura in cui sa generare legami. Chi cammina dietro la statua è una comunità ecclesiale che si ritrova e si riconosce nella fede in Dio per intercessione di sant’Antonio, e sempre nella misura in cui ci si affida a una mediazione, anche se non la si capisce fino in fondo.

In questo tempo di guerra, come sant’Antonio può aiutare la pace?

Nel manifesto per il giugno antoniano si vede il santo davanti al tiranno a chiedergli di rinunciare alla violenza: non ci riesce ma è prodigioso il coraggio di esprimere forti ragioni di pace. È un po’ come il Papa che incessantemente, a ogni occasione, invoca la pace, ma sembra non essere ascoltato. Antonio ci insegna a non mollare mai la presa e a promuovere una pace che prima di tutto deve nascere dal nostro cuore e dal nostro quotidiano. Tutti siamo chiamati alla conversione. La pace nel mondo dipende dai potenti della terra ma anche dal nostro impegno personale.

Il vostro saluto “Pace e bene” è un inno alla vita.

La pace è l’augurio che nessuno si senta mai così lontano da Dio da non poter ricominciare, anche risollevandosi dopo le cadute causate, anzitutto, dai nostri peccati. Mentre il bene vuol dire cercare relazioni belle, magari semplici e però autentiche, le uniche che valgono nella vita.

 

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13 giugno 2024, 13:50