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Zamagni: “La Chiesa in prima linea contro le nuove forme di schiavitù"

Il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali spiega il senso profondo del summit sul neocolonialismo, il 30 e 31 marzo in Vaticano, alla presenza di esperti di tutto il mondo. “Nel nostro tempo– denuncia l’economista- quaranta milioni di esseri umani vivono come se fossero degli schiavi. Massima attenzione a Intelligenza Artificiale e land grabing", l'intervento deve essere soprattutto culturale

Federico Piana- Città del Vaticano

“Il mondo si trova ad affrontare la sfida del neocolonialismo che rappresenta nuovi paradigmi di dominazione”. Stefano Zamagni, economista e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, presenta il summit Colonialismo, decolonizzazione, nuovo colonialismo: una prospettiva di giustizia sociale e bene comune’, apertosi oggi, 30 marzo, alla Casina Pio IV in Vaticano, dove si concluderà il 31 marzo.  “L’incontro- dice Zamagni- organizzato in collaborazione con la Pontificia Academia delle Scienze Sociali e al quale partecipano esperti di tutto il mondo, ha l'obiettivo di riflettere su come contrastare le nuove forme di colonialismo che creano sempre più ingiustizie".

Ascolta l'intervista a Stefano Zamagni

Quali sono le forme di neocolonialismo che il mondo sta vivendo?

Le pratiche coloniali, compresa la schiavitù e la servitù, sono legalmente vietate da molto tempo. Eppure, oggi, circa 40 milioni di esseri umani vivono in condizioni di semi-schiavitù: vittime silenziose di un’economia tossica che è guidata dalla sete di ricchezza, come ci ricorda spesso Papa Francesco. Il neocolonialismo è legato non tanto alla volontà di potenza, come era in passato, ma al modo con cui funzionano i mercati internazionali, soprattutto in questa stagione delle nuove tecnologie.

Un esempio?

Oggi bisogna addestrare gli algoritmi che faranno funzionare l’Intelligenza Artificiale. Questo lavoro, che esige una certa preparazione, viene affidato- soprattutto in America- ad africani e filippini ai quali viene riconosciuto un salario di 2 dollari l’ora. Questa è una forma di neocolonialismo, di semi-schiavitù. Ma ce n’è un altro, di esempio: quello del land grabing, cioè l’accaparramento delle terre. E’ una cosa immorale perché si concede ad alcuni Paesi di sfruttare i terreni di altre nazioni in cambio di un esiguo compenso. Il risultato è che gli abitanti di quelle terre vengono cacciati via e queste persone non hanno altra alternativa che migrare. Noi ci meravigliamo dei flussi migratori ma non ci chiediamo per quale motivo questi flussi sono più frequenti rispetto al passato e lo saranno sempre di più in futuro.

Poi, tra gli altri esempi di neocolonialismo, c’è la questione delle multinazionali…

Alle 70 mila multinazionali oggi presenti sui mercati globali va avanzata una richiesta: quando operano al di fuori del Paese in cui sono costituite devono applicare ai lavoratori di quelle nazioni gli stessi standard sociali, tenuto conto del diverso costo della vita, che adottano per i lavoratori che operano nella sede dove hanno la loro rappresentanza ufficiale. Non si può continuare a chiudere gli occhi di fronte al fatto che imprese occidentali progettano, preparano e poi fanno eseguire i piani di produzione a lavoratori che operano in Paesi distanti migliaia di chilometri ai quali non si applicano gli stessi standard dei Paesi di origine.

Il neocolonialismo si combatte anche in campo culturale?

Certamente. Si deve ricordare che le scienze sociali, in particolare l’economia, risentono ancora dell’ideologia coloniale. Questo è un fatto che nessuno ha il coraggio di dire, tranne Papa Francesco: infatti, il Santo Padre, il 1° maggio del 2019, ha lanciato l’Economia di Francesco. L’economia va depurata nei suoi fondamenti antropologici e filosofici dal retaggio coloniale. Faccio un esempio. C’è un economista molto famoso, Wilhelm Röpke, uno dei maggiori rappresentanti del liberalismo, che nel 1964 scrisse un articolo in cui si espresse a favore dell’apartheid in Sudafrica. Ecco, bisogna liberare l’alta cultura, che in questo caso è legata alla disciplina economica, da quei retaggi che derivano da un’epoca in cui il colonialismo vero e proprio era praticato. Il summit cercherà di ragionare anche su questo.

Su quali piani la Chiesa può agire per combattere il neocolonialismo?

Prima di tutto, proprio sul piano culturale: il primo nemico è l’ignoranza. Il secondo piano è quello propriamente operativo. Quando i missionari si recano in terra di missione è evidente che veicolano l’idea del principio di fraternità che spinge ad evitare qualsiasi forma di discriminazione ed emarginazione politica, sociale ed economica. Un’altra cosa che la Chiesa può fare e dare un messaggio alle Conferenze episcopali di quei Paesi nei quali vivono le persone vittime delle nuove schiavitù per incoraggiarle ma soprattutto stimolarle a insistere presso i governi locali affinché non cedano alla tentazione di svendere il proprio territorio.

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30 marzo 2023, 15:44