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San Giuseppe: campione del “tu”, in tempo di pandemia

Mercoledì 16 febbraio si è concluso il ciclo di catechesi che il Papa ha voluto dedicare al patrono della Chiesa universale, in chiusura dell’Anno giuseppino. Intervista al Superiore dei Giuseppini del Murialdo, padre Locatelli: “Francesco ha scelto Giuseppe perché ci insegna ad abbandonare l’egoismo in tempo di pandemia”

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

Il cammino alla sequela di San Giuseppe inaugurato da Papa Francesco l’8 dicembre del 2020 con la Lettera Apostolica Patris corde si è chiuso mercoledì 16 febbraio con l’ultima di dodici catechesi a lui dedicate. “Mai come oggi, in questo tempo segnato da una crisi globale con diverse componenti, egli può esserci di sostegno, di conforto e di guida”, aveva affermato Francesco mercoledì 17 novembre 2021, inaugurando il ciclo di catechesi proprio in chiusura dell’Anno speciale dedicato a San Giuseppe, a 150 anni dalla sua proclamazione a patrono della Chiesa universale. Giuseppe uomo giusto e sposo di Maria, uomo del silenzio, migrante perseguitato e coraggioso, padre putativo di Gesù e ancora falegname, padre nella tenerezza e uomo che sogna, sono stati alcuni dei temi affrontati in questi mesi dal Papa incontrando i pellegrini durante le Udienze del mercoledì. In chiusura del ciclo ne abbiamo parlato con padre Tullio Locatelli, Superiore Generale dei Giuseppini del Murialdo, esperto di teologia giuseppina.

L'intervista a padre Tullio Locatelli

Come avete accolto l’idea del Papa di concludere l’Anno giuseppino con un ciclo di catechesi, terminate solo recentemente?

È stata una bellissima iniziativa che per noi ha voluto dire che bisognava andare oltre il 2021 e che l'anno di San Giuseppe in qualche modo continuava. È stato un modo per ricordarci che anche finito l'anno a lui dedicato, la riflessione su San Giuseppe, patrono della Chiesa universale, continua.

Francesco ha riaffermato che Giuseppe è il “Custode della Chiesa”…

Come San Giuseppe ha custodito Maria e Gesù, così oggi custodisce noi. Nel senso che ci aiuta a crescere e ci aiuta a maturare. È colui che ci protegge, ma non per allontanarci dalla realtà, ma per farci crescere, per farci aprire al mondo, per prepararci a fare ciò che il Signore ci chiede. In fondo Giuseppe ha espresso la sua capacità di protezione soprattutto quando ha educato Gesù, quando l’ha preparato a compiere fino in fondo la volontà del Padre.

Quale di queste catechesi giuseppine l'ha colpita in modo particolare?

Direi quella del 19 gennaio sul tema della tenerezza, che si ricollega alla prima omelia pronunciata da Papa Francesco, nella Santa Messa per l’inizio del ministero petrino il 19 marzo 2013. Noi qualche volta abbiamo paura a parlare di tenerezza, nei rapporti tra Giuseppe, Maria e Gesù. Invece è un tema che ci porta a cogliere l’aspetto umano, l'aspetto profondo che ci rende una famiglia. Un aspetto essenziale che tocca veramente le corde del cuore, dello spirito e dell'anima.

Tra le catechesi più intense c’è stata quella del 12 gennaio scorso dedicata a San Giuseppe “falegname” che ha dato spunto al Papa per un appello sulla dignità dei lavoratori…

Nelle catechesi del Papa San Giuseppe è stato visto anche però come un maestro spirituale: con la sua capacità di fare silenzio, di ascoltare, con la sua capacità di sognare, di essere un padre nell’ombra del Figlio…

Santa Teresa d’Avila diceva che San Giuseppe è un contemplativo. Noi lo immaginiamo sempre al banco di lavoro, ma accanto a lui ricordiamoci che c'è Gesù e un poco più in là magari c'è Maria. Questo oggi è il vero contemplativo: colui che non perde mai la convinzione di una presenza amorevole che ti accompagna. Colui che ha la consapevolezza di una paternità che non ti abbandona mai. Secondo me la dimensione mistica della vita è vivere alla presenza di Dio sapendo che Dio è presente a te. Sapendo che è Lui per primo a essere “il fedele”. San Giuseppe nella realtà quotidiana, per certi versi nascosta, di Nazareth, vive proprio una contemplazione continua: il suo essere accanto a Maria e Gesù e insieme con loro. Ma, naturalmente, questa realtà contemplativa, agli occhi della gente di allora, era del tutto nascosta, velata. Forse però per questo era anche più interiore e più profonda e più legata strettamente alla vita, perché si esprimeva nel quotidiano, nell'ordinario.

Perché pensa che il Papa abbia voluto indicare alla Chiesa la figura di Giuseppe come punto di riferimento in questo particolare momento storico?

Perché San Giuseppe è stato colui che ha realizzato fino in fondo la volontà del Padre. Non è stato un eroe, non è stato, per così dire, un campione dell'io, ma un campione del “tu”.  Tu mi chiami e io ti seguo, tu mi svegli nella notte e io mi alzo. Forse oggi abbiamo proprio bisogno di questo. Abbiamo bisogno di abbandonare un poco il nostro ego e essere più capaci di ascolto e di accoglienza, e poi di operatività nei confronti del tu che ci interpella. È quella che noi chiamiamo “vocazione” e possiamo chiamarla in tanti modi, ma credo che il tema di fondo sia uscire dal nostro io e metterci veramente in ascolto di un tu. Un tu che può essere il “Tu” maiuscolo, che è il Padre, ma è anche il tu di mio fratello, di mia sorella, di colui che mi sta accanto, di colei che mi chiede aiuto. Secondo me è proprio in questo momento che Giuseppe ci può trasmettere questa sua disponibilità ad incontrare, ad ascoltare questo tu che è Dio e che ci interpella.

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22 febbraio 2022, 16:45