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Portare Cristo ai lontani: la missione di un catechista Portare Cristo ai lontani: la missione di un catechista 

Myanmar, l’annuncio del Vangelo fino ai confini della Terra

Sulle pagine de L'Osservatore Romano la storia di John Ngwa Zar Dee: il primo catechista della tribù indigena Lisu nella diocesi di Myitkyina, e il primo missionario giunto a Zang Yaw, area remota e impervia, dove nessuno conosceva Cristo

Di Paolo Affatato

Quando John Ngwa Zar Dee è arrivato nell’area di Zang Yaw, tra indigeni di etnia Lisu e Rawang, nel nord del Myanmar, e ha iniziato a parlare della salvezza che dona Cristo Gesù, poteva sembrare un alieno. Si rivolgeva a persone che mai avevano sentito nominare il nome di Cristo e ha iniziato a leggere il Vangelo. Bambini, ragazzi, giovani, donne, anziani, si sono fermati ad ascoltare, incuriositi e interessati. Giorno dopo giorno, il messaggio di misericordia, pace e salvezza ha fatto breccia nei cuori. E gli abitanti dei villaggi hanno chiesto di diventare discepoli di Gesù e di essere battezzati. John Ngwa Zar Dee era poco più che ventenne quando per la prima volta visitò quelle aree inesplorate, raggiungibili solo dopo quindici giorni di cammino dalla città più vicina, Myitkyina, nello stato birmano di Kachin. Il pellegrinaggio lungo sentieri accidentati e sassosi era scandito dalla recita della corona del Rosario. «Maria camminava accanto a me», racconta commosso. Il settantaduenne catechista continua la sua opera missionaria da cinquant’anni, «oggi come allora, con lo spirito di portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra», dice.

John Ngwa Zar Dee è stato il primo catechista appartenente alla tribù indigena Lisu nella diocesi di Myitkyina. Ed è stato il primo missionario a Zang Yaw, area remota e impervia, oggi nel territorio della parrocchia di Putao. Lì ha fortemente voluto recarsi proprio «per donare il tesoro del Regno di Dio alla mia gente», spiega. Oggi il parroco della chiesa di Putao difficilmente riesce a raggiungere quella zona, talvolta nemmeno una volta all’anno, dato il lungo ed estenuante viaggio. Ma, nonostante la distanza, il catechista John, specialmente quando era più giovane, visitava regolarmente le popolazioni di quei villaggi «per seminare il buon seme del Vangelo, “spezzare” la Parola di Dio, amministrare i battesimi, donare a tutti un annunzio di salvezza». Questi popoli, nella loro semplicità, «sono figli di Dio, sono vicini al cuore di Cristo che ama i poveri, i piccoli, gli emarginati», afferma. Grazie al suo zelo missionario e al suo esempio di vita, quasi tutti gli abitanti della zona hanno abbracciato la fede cattolica.

John ricorda che dal 1969 al 1970 ha frequentato, con altri giovani, l'Istituto di formazione per catechisti gestito dai missionari di San Colombano nella diocesi di Myitkyina: «È stato un cammino duro e difficile, ma sono grato ai missionari che hanno accompagnato la mia crescita e la mia formazione negli anni giovanili». Lì John ha scoperto la vocazione e il ministero di catechista che lo ha impegnato a tempo pieno. È un servizio che dà grande gioia, ma non scevro di difficoltà. Oggi la situazione di instabilità sociale e politica del Myanmar e l’incubo della pandemia pesano come macigni. «Nelle fatiche, ho una semplice convinzione: so e credo che Dio è con me e mi rivolgo a Lui. Egli è il mio rifugio», rivela John, raccontando come, in tempi difficili di violenza diffusa in Myanmar, l’attività pastorale e missionaria prosegue ed è preziosa perché dona consolazione e speranza alla gente che soffre. «Ripeto spesso a me stesso le parole di Giobbe: “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?”.

Dio provvede e non abbandona il suo popolo. Il Signore mi dà forza. Non lavoro per gli elogi degli uomini ma per il Regno di Dio. Se la gente a volte ti rifiuta, il Signore è fedele, ama e perdona sempre», osserva. Per i fedeli di etnia Lisu e Rawang, il catechista John è un punto di riferimento solido. Nella sua opera di catechesi costante, lunga molti anni, non ha mai voluto da loro alcuna ricompensa: «La ricompensa me la dà Gesù Cristo. Finora non possiedo nemmeno una casa. La casa in cui vivo ora non è mia, ma non mi importa nulla perché il Signore è con me», dice. La sua testimonianza è preziosa anche per i giovani. A lui guardano i volontari che si recano nei villaggi remoti per svolgere attività di educazione sanitaria, istruzione e animazione pastorale per i più piccoli. Sono i cosiddetti zetaman, ovvero “piccoli evangelizzatori”, figure caratteristiche della Chiesa cattolica in Myanmar. Questi giovani volontari raggiungono i villaggi isolati, in zone impervie, nelle aree rurali e montuose e lì si fermano. Condividono per alcuni giorni la vita della comunità, trascorrono tempo con i bambini, in uno stile di presenza fatto di amore, amicizia e semplice condivisione di vita. Se viene richiesto, danno testimonianza della loro fede, raccontano chi sono e come l’incontro con Gesù ha cambiato la loro vita. Gli zetaman, presenti in tutte le diocesi del Myanmar, sono al servizio dell’umanità più debole e abbandonata. Grazie a figure come il catechista John Ngwa Zar Dee, le Chiese chiedono ai giovani di donare almeno tre anni della loro vita per un servizio alla diocesi, per essere mandati come giovani missionari in situazioni difficili, tra gente in condizioni di povertà estrema, in mezzo a conflitti armati. Svolgono così una preziosa opera di evangelizzazione e di promozione umana che fa sentire la presenza reale di Cristo Gesù.

 

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06 ottobre 2021, 16:06