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Un gruppo di donne arriva dall'Afghanistan per rifugiarsi vicino a una stazione ferroviaria a Chaman Un gruppo di donne arriva dall'Afghanistan per rifugiarsi vicino a una stazione ferroviaria a Chaman

Afghanistan, Caritas italiana: serve solidarietà internazionale

Il vicedirettore Paolo Beccegato spiega come la nuova situazione politica del Paese potrebbe rendere più difficile l’aiuto alle fasce più deboli della popolazione. Preoccupano anche le previsioni dell’esodo degli afghani: “Servono corridoi umanitari e ricollocamenti”

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

La situazione umanitaria dell’Afghanistan, a pochi giorni dal completamento del ritiro delle truppe statunitensi e della Nato e dal ritorno al potere dei Talebani, desta molte preoccupazioni e richiede una grande alleanza internazionale di solidarietà. Ad affermarlo a Vatican News e Radio Vaticana è Paolo Beccegato, vice direttore di Caritas italiana, organismo presente nel Paese asiatico sin dagli anni Novanta con diversi progetti di sviluppo e sostegno alla popolazione. Secondo Beccegato, che è anche responsabile dell’area internazionale di Caritas italiana, la preoccupazione maggiore è che i poveri locali possano continuare ad avere un interlocutore serio e affidabile cui rivolgersi. Oltre alla cessazione degli scontri interni è necessario che le autorità locali creino le condizioni per continuare ad aiutare gli afghani, anche dall’esterno. Di fronte poi alle previsioni di un nuovo esodo di milioni di afghani, spiega ancora Beccegato, la comunità internazionale deve pensare a corridoi umanitari e ricollocamenti e non può contare solo sulla collaborazione dei Paesi confinanti.

Una grande sofferenza 

“Nessuno vuole abbandonare l’Afghanistan - commenta il vice direttore di Caritas italiana - è una terra troppo amorevole e bella per essere abbandonata e lo è in particolare la sua gente”.  

L'intervista a Paolo Beccegato

Siamo in costante contatto con le realtà della società civile locale afghana che tanto si erano sviluppate e attivate in questi anni a fianco dei più deboli. Non sto parlando solo dei cosiddetti attivisti dei diritti umani, ma anche di realtà molto più semplici: per esempio che si occupava di disabilità, gruppi di famiglie che si organizzavano per assistere i propri figli. Poi, siamo in contatto con i Paesi confinanti, per monitorare quello che potremmo chiamare il vero e proprio “esodo” di un popolo. In proposito ci sono già dati e previsioni veramente preoccupanti. Permane una situazione di grandissima sofferenza umanitaria, come ha ricordato di recente il Papa. La vera preoccupazione è che vogliano abbandonare il Paese anche tutti i leader della società civile locale che sono un punto di riferimento per i poveri. Questi ultimi hanno bisogno di persone, di realtà a cui rivolgersi.  Se anche questi leader non si sentono più al sicuro e scappano, i più deboli resteranno abbandonati a sé stessi. Assistiamo perciò a una duplice tensione: da un verso, tra la popolazione c’è chi ha voglia di restare e di sperare che ci possano essere le condizioni per continuare a lavorare nel Paese. Dall'altro, c’è il desiderio di scappare perché la paura che queste condizioni non possono permanere c’è, per cui molti stanno chiedendo dei canali per uscire. Speriamo che la situazione si risolva al più presto e soprattutto che i poveri locali possano continuare ad avere un interlocutore serio e affidabile cui rivolgersi per i bisogni, o almeno per una carezza di solidarietà e vicinanza.

Come agire per far sì che i più deboli non risentano di questo brusco cambiamento di scenario politico?

Siamo entrati in questi giorni in una fase nuova che è un po’ un'incognita. Si spera veramente che - come dice il Papa - possa prevalere il dialogo, possano finire almeno gli scontri, in un Paese che da troppi anni è di fatto in guerra. Non dimentichiamoci che ci sono milioni di profughi afghani, sia sfollati internamente al Paese, sia soprattutto nei paesi confinanti. Quindi il primo auspicio è che non ci sia un'ulteriore escalation militare e che queste tensioni interne si possano placare. Questa è infatti una condizione fondamentale anche per la solidarietà. È difficile portare aiuti umanitari quando si combatte: diventa tutto molto più complicato e i poveri, come sempre, sono i primi a subirne le conseguenze. Poi si dovrà capire nei prossimi mesi, e non penso che sarà un processo veloce, se ci sono le condizioni per continuare ad aiutare la popolazione. E cioè, per esempio, se il regime talebano non sia uno stato troppo accentratore, se vi sia comunque la possibilità di una solidarietà internazionale, la società civile locale possa continuare ad agire ed essere un riferimento per i più poveri. Importante è anche capire se, per chi lo vuole, ci sia la possibilità di andar via, lasciare il Paese, per i motivi più diversi. Non penso solo a chi fugge forzatamente per scappare di fronte a indicibili sofferenze, come abbiamo visto in questi in questi anni. Ci sono troppe incognite adesso per poter fare una previsione, si può solo auspicare che questi processi possano andare avanti gradualmente, con grande attenzione e vicinanza anche da parte nostra. Nessuno infatti vuole abbandonare questo Paese: è una terra troppo amorevole, troppo bella per essere abbandonata e lo è in particolare la sua gente. Per cui, speriamo davvero ci sia una grande pressione, una grande alleanza internazionale di solidarietà e di vicinanza per far capire loro che vogliamo tutti il bene di questa Nazione e far sì che anche all'interno dell’Afghanistan possano prevalere il dialogo e la solidarietà che è tanto necessaria per poter agire anche dall'esterno.

 In questo contesto che ruolo possono avere i Paesi confinanti dell’Afghanistan?

I Paesi del sud, cioè Pakistan e Iran, ospitano milioni di rifugiati afghani da decenni. In questo momento stanno chiudendo i confini anche gli Stati a Nord del Paese: come Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e la stessa Cina. Però, ripeto, i due grandi paesi che ospitano tantissimi profughi afghani sono quelli ai confini meridionali. In particolare l'Iran che è poi anche l'area di transito verso la Turchia. Ora, se questi Paesi continueranno a chiudere i confini è un problema per chi vuole scappare, anche legittimamente, dall’Afghanistan, per mille motivi. Ma se questi Stati non vengono aiutati da tutta la comunità internazionale a prevedere dei corridoi umanitari, dei ricollocamenti in altri Paesi del mondo, è chiaro che non gli si può chiedere di sobbarcarsi l'onere di ospitare altre persone. Anche perché le previsioni che ci arrivano dal posto sono significative. Non si parla di centinaia di migliaia, ma di milioni di persone: tra i due e i quattro milioni, secondo alcune fonti. Per cui questo sforzo deve comportare una solidarietà internazionale. Non dimentichiamoci della rotta balcanica dove sono comunque fermi, tra un Paese e l'altro, migliaia di profughi, molti dei quali afghani. Tutto questo scenario è una sfida globale per l’Unione Europea e non solo e deve essere affrontato globalmente. Si presenta un autunno impegnativo su questo fronte ma penso che se c'è la buona volontà possiamo affrontarlo insieme, per il bene di questa popolazione.

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01 settembre 2021, 16:30