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Padre Stan Swamy Padre Stan Swamy 

In India il ricordo di padre Swamy, icona della causa degli ultimi

L’India celebra la Giornata nazionale per la giustizia nel ricordo di padre Stan Swamy, l'anziano gesuita scomparso il 5 luglio scorso dopo nove mesi di carcere. Era stato arrestato con l’accusa di terrorismo per il suo impegno a favore dei diritti delle popolazioni tribali

Lisa Zengarini – Città del Vaticano

Una Giornata nazionale per la giustizia nel ricordo di padre Stan Swamy.  A promuoverla, il 28 luglio, è stata la Conferenza dei Gesuiti dell’India, che ha invitato i cattolici e tutti i cittadini che hanno a cuore diritti umani e valori democratici iscritti nella Costituzione indiana ad esprimere così la loro solidarietà con l’anziano sacerdote gesuita attivista per i diritti umani nel Jharkhand, morto in carcere il 5 luglio scorso dopo avere contratto il Covid-19. Numerose le iniziative commemorative celebrate nella giornata in diverse città indiane, tra le quali New Delhi, Ranchi, Calcutta, Jamshedpur e Bangalore.

Le accuse a padre Swamy

Padre Swamy era stato arrestato l’8 ottobre scorso dall’Agenzia antiterrorismo indiana (Nia) insieme ad altri 15 attivisti sociali per i diritti degli Adivasi (le popolazioni tribali), tutti accusati, in base alla "Unlawful activities prevention act" (Uapa), di terrorismo e di complicità con i ribelli maoisti e in particolare di un presunto coinvolgimento nei disordini scoppiati nel 2018 a Bhima-Koregaon, nello Stato del Maharashtra. Accuse che il sacerdote aveva sempre respinto come infondate. A nulla erano valsi i suoi ricorsi contro la misura cautelare e gli appelli della Chiesa in India e all’estero per ottenerne la scarcerazione, anche in ragione delle sue precarie condizioni di salute, erano sempre caduti nel vuoto.

Icona della giustizia per gli emarginati

Padre Swamy ci lascia in eredità il "mandato morale" di essere la “voce dei senza voce” di fronte al potere. Così definisce padre Stan il Provinciale dei Gesuiti dell’India, padre Stanislaus D’Souza, in una nota sulla Giornata in cui invita i cattolici e tutti i cittadini in India a raccogliere la sua preziosa eredità. “Come gesuita – ricorda il provinciale – si è impegnato a camminare insieme agli esclusi, calpestati nella loro dignità in una missione di riconciliazione e giustizia. Con la sua morte il gesuita si è unito ai martiri Adivasi e quanti hanno sacrificato la loro vita per proteggere il tessuto secolare e democratico e le diverse culture della nostra Nazione”.

Raccogliere l’eredità di padre Swamy

“Il messaggio che ci ha lasciato – è stato quindi l’invito di padre D’Souza – è di non rimanere in silenzio di fronte alle crescenti disuguaglianze, violenze, atrocità, discriminazione ed esclusione nel nostro Paese” e “a cantare i valori del Preambolo della Costituzione del nostro Paese – Giustizia, Libertà, Uguaglianza e Fratellanza – nonostante le avversità, poiché, come diceva, ‘l'uccello in gabbia può ancora cantare e cantare in coro”.

Una macchia per l’India

Secondo padre D’Souza , quindi, la sua morte “non è una fine”, ma un “nuovo momento di risveglio” nel cammino per affermare la fede nella Costituzione indiana. Dal provinciale dei gesuiti anche la richiesta che sia fatta giustizia per padre Swamy per gli altri 15 accusati coinvolti nel caso Bhima Koregaon , nonché di abolire tutte le leggi che reprimono il dissenso in India. Il messaggio conclude quindi con le parole del celebre poeta e premio Nobel indiano, Rabindranath Tagore: "In quel cielo di libertà, Padre mio, lascia che il mio Paese si risvegli". Il caso Swamy ha destato clamore anche a livello internazionale, al punto che il 15 luglio scorso, la relatrice speciale delle Nazioni Unite per la difesa dei diritti umani, Mary Lawlor, ha affermato che la sua morte rimarrà per sempre una macchia per i diritti umani in India.

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30 luglio 2021, 12:42