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Don Mizzi alla vestizione prima di entrare nel reparto Covid del Celio Don Mizzi alla vestizione prima di entrare nel reparto Covid del Celio 

Portare il Natale tra i malati di Covid

Come ogni Natale, Gesù porta il suo messaggio d’amore soprattutto nei luoghi dove c’è sofferenza. Al Policlinico Militare del Celio a Roma, don Giovanni Mizzi, ordinato diacono da poche settimane, svolge il suo servizio accanto ai ricoverati per coronavirus e in questo Natale sarà ancora più vicino agli ammalati

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

La pandemia in corso ha reso tutto più difficile: rapporti umani, lavoro, tempo libero. Ma tutto passa in secondo piano di fronte a chi sta combattendo la sfida con il virus, a casa o negli ospedali. Al Policlinico Militare del Celio, che proprio a causa del Covid-19 ha aperto i ricoveri anche ai civili, don Giovanni Mizzi offre conforto agli ammalati, portando ad ognuno la parola di Dio, l’Eucarestia e la possibilità di un contatto telefonico con i parenti.

Un diacono al servizio dei sofferenti

Originario di Locorotondo, in Puglia, don Giovanni, classe 1995, dopo il Baccalaureato in Teologia al Laterano, ha scelto di continuare la formazione sacerdotale al Seminario Scuola Allievi Cappellani San Giovanni XXIII e dal 2019 svolge il servizio pastorale presso il Policlinico Militare del Celio, in Roma. Il 29 novembre scorso è stato ordinato diacono dall’arcivescovo Santo Marcianò, Ordinario Militare per l’Italia.

Ascolta l'intervista a don Giovanni Mizzi

Don Giovanni, il diaconato rappresenta un dono ancora più prezioso se speso in questo Natale accanto agli ammalati di Covid…

R. – Penso che non ci sia stato modo migliore e autentico per iniziare questo ministero. Ricordo le parole della preghiera di consacrazione diaconale che l’arcivescovo Marcianò ha pronunciato: premurosi verso i poveri e verso i deboli. E io credo proprio che questa preghiera, questa intenzione si stia realizzando all'interno del mio ministero e della mia vita. E sto anche sperimentando il messaggio di San Francesco e cioè quando dice ‘predicate sempre il Vangelo e, se è necessario, anche con le parole. Confesso che in queste prime settimane da diacono ho predicato pochissimo da un punto di vista liturgico, però ho visto quanto questa frase di San Francesco sia autentica, perché tra le corsie dell’ospedale ho sperimentato l’importanza dell’annuncio anche senza le parole, ma con la presenza, con l’esserci.

Sofferenza, ma anche solitudine. Questa la condizione di chi è ricoverato a causa del coronavirus. Come rispondere a questi stati d'animo che spesso portano alla chiusura, alla disperazione?

R – Io rispondo questo: essere accanto a chi soffre. Molti amici, ma anche persone che conosco spesso mi chiedono: che cosa fai, che cosa dici quando tu sei lì a fianco a queste persone che sono malate di Covid-19? Io rispondo che ‘ci sono’. Ricordo che ci sono alcuni pazienti che sono ricoverati in ospedale da un mese o più e quindi non vedono i loro cari da tutto questo tempo. Quindi è fondamentale, soprattutto quando clinicamente non ci sono tante aspettative, l’essere presente accanto. Io, quando sono lì, non devo scervellarmi per dire chissà quali parole, tante volte basta tenere la mano a questa persona, fare una carezza e gli strappi un sorriso sul volto, serenità. Quindi questo essere accanto, credo che sia fondamentale e anche noi, impotenti davanti a questa malattia, credo che possiamo fare soprattutto questo.

Che esperienze si fanno nelle corsie dell'ospedale a stretto contatto con i malati di Covid?

R. – Io vivo qui in ospedale, quindi sono a disposizione della struttura. Sto qui a fianco, non solo dei pazienti Covid, che sono la parte più fragile, ma anche dei nostri medici, infermieri ed operatori logistici sanitari. La mia esperienza si caratterizza nel vivere gomito a gomito con loro, condividendo anche i pasti, i momenti di difficoltà, di riposo e di confronto all'interno della corsia con il personale. E’ stato proprio un medico, all'inizio del mio servizio all'interno dei reparti Covid, presentandomi al personale, a darmi quello che posso definire il mandato del mio servizio. Un giorno, quando mi ha spiegato cosa da lì a poco avrei fatto all'interno del reparto, mi ha detto: meno male don che ci sei, perché siamo stanchi di vedere la gente che soffre da sola. Questo per me è stato il mandato di questo ministero e ho sentito ancora di più la preziosità del servizio. In fondo è quello che Isaia  dice: l'essere chiamato a fasciare le piaghe dei cuori spezzati. I cuori spezzati dei pazienti, ma anche i cuori afflitti e stanchi dei nostri operatori sanitari. Quindi per me è stata un’esperienza veramente forte e rimango colpito e grato al Signore, perché questo mandato me l'abbia dato un medico, quindi un laico che vive nella quotidianità il proprio rapporto con la fede.

E’ bello anche pensare che dalle sofferenze possono nascere storie positive...

R. – Sì, è importante anche per le famiglie poiché esse sanno che, nell’impossibilità di visitarli a causa delle misure di sicurezza, c'è qualcuno che sta accanto ai propri cari. Infatti faccio anche delle videochiamate con i parenti dei pazienti, i quali hanno il piacere di presentarmi tutti i loro cari. Quindi questo è un aspetto molto bello. Voglio condividere con voi due storie. La prima: nei giorni scorsi, ricevo una chiamata sul mio cellulare. E’ un familiare mi comunica che il un suo congiunto era deceduto e mi dice così: ‘padre, abbiamo saputo che lei gli è stato accanto negli ultimi giorni di vita e di questo la vogliamo ringraziare’. E dopo questa chiamata mi sono sentito strumento di quell'affetto che i familiari, a causa dell'impossibilità di essere presenti fisicamente in reparto per ovvi motivi, ho potuto portare a fianco di questa persona che ci stava lasciando. Sembra superficiale, ma il fatto che il familiare sappia che a fianco del loro congiunto ci sia stato qualcuno che gli abbia fatto una carezza, una preghiera, la Comunione è molto importante, perché sanno che il loro familiare non ha trascorso le ultime ore di vita da solo nell'indifferenza. L’altra storia è quella di un paziente che si trovava in terapia intensiva. L’ho accompagnato quotidianamente, portandogli l’Eucarestia, facendogli forza, sostenendolo e standogli accanto giorno per giorno, finché non è uscito dalla terapia intensiva. In quel giorno c’è stata anche un'aria di festa, perché facendo questo servizio quotidianamente ci si affeziona anche ai parenti, si crea veramente un rapporto forte, diventi veramente compagno di viaggio e quindi questa persona, uscendo fuori dalla terapia intensiva, alla fine mi ha invitato a casa sua per conoscere di persona la sua famiglia, che nel frattempo mi aveva presentato tramite le videochiamate. Questo è un risvolto bello, un risvolto profondo in questi momenti anche tristi che questa persona ha passato.

Come è questo Natale 2020, che passerà alla storia come quello della pandemia, ma nel quale ancora una volta il Signore torna a nascere tra noi?

R. – Dio per incarnarsi ha scelto come via privilegiata di farsi prossimo all'uomo. Anche a causa delle varie restrizioni, come sappiamo dovute alla pandemia, questo Natale a mio parere valorizza l'importanza dell'altro, il tendergli la mano e dirgli: ‘ci sono’. Proprio come Gesù fa con noi, nascendo e ci dice: ‘uomo ci sono’. E credo che questo è il messaggio che questo Natale porta nella mia vita porta in questo momento direi storico per me, ma anche per il mondo. E’ un Natale diverso, ma credo più vero è più vicino all'altro.

Un suo augurio dalle corsie dell'ospedale a chi è fuori e comunque sta vivendo la pandemia…

R. – Voglio invitare alla responsabilità. In ospedale la malattia si fa sentire, la malattia in termini anche di lontananza dai propri affetti, quindi è importante agire da responsabili anche attenendosi a tutte le varie norme di sicurezza. E’ un atto di responsabilità e anche come cristiani siamo chiamati a questa responsabilità nei confronti dell'altro. E’ un gesto di amore verso l'altro, quindi credo il migliore augurio per Natale sia quello di fare questo atto di amore per l'altro vivendo da responsabili.

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25 dicembre 2020, 09:01