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Padre Stan Swamy Padre Stan Swamy 

India, peggiora la salute salute di padre Stan Swamy

L'immediata liberazione del gesuita in carcere per accuse sempre negate. Lo chiedono i suoi confratelli al premier Modi e al presidente Kovind dopo che lo stesso religioso ha decritto in peggioramento le sue condizioni di salute

Lisa Zengarini - Città del Vaticano 

Peggiorano le condizioni di salute di padre Stan Swamy, l’84enne gesuita indiano attivista per i diritti dei tribali, in carcere da più di un mese con l’accusa di sedizione e di terrorismo. L’anziano religioso, che soffre di Parkinson e di altre malattie legate all’età, non riesce a mangiare e a bere da solo e deve essere aiutato dai compagni di cella anche per altri bisogni. È quanto ha scritto lui stesso in una lettera inviata nei giorni scorsi a un confratello. Per questo, un gruppo di leader cristiani si è rivolto al Premier Narendra Modi e al Presidente Ram Nath Kovind per chiedere la sua immediata liberazione su cauzione per motivi di salute.

La petizione è stata consegnata il 17 novembre da monsignor Derek Fernandes, vescovo di Belgaum, dopo una protesta silenziosa nella città di un gruppo di cristiani dello United Christian Forum. “Siamo arrabbiati e preoccupati per la sua salute”, ha spiegato il presule all’agenzia Ucanews.

Padre Swamy è stato prelevato dalla sua casa di Ranchi, in Jharkhand, l'8 ottobre scorso da una squadra di funzionari dell’Agenzia di investigazione nazionale (Nia) per presunti legami con i ribelli maoisti e il coinvolgimento nei disordini scoppiati nel 2018 a Bhima-Koregaon, nello Stato del Maharashtra. Accuse fondate su prove manipolate e che il religioso ha sempre respinto con forza.

La vicenda ha destato viva indignazione in India e forti critiche dei vescovi. In una nota diffusa il mese scorso, la Conferenza episcopale indiana aveva definito incomprensibile l’arresto, ricordando l’impegno pluridecennale profuso dal sacerdote per “difendere i diritti degli Adivasi, soprattutto quelli sull’uso delle loro terre ancestrali”. Numerose le manifestazioni nelle scorse settimane in difesa del sacerdote. Ai cristiani si sono uniti anche esponenti dell’opposizione e attivisti per i diritti umani per i quali le accuse sarebbero da mettere in relazione proprio alla sua attività in difesa delle popolazioni tribali. Al sacerdote è inoltre giunta la solidarietà della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc), che in una dichiarazione firmata dal cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon ha chiesto la sua immediata scarcerazione, ricordando il carattere non-violento della battaglia di padre Swamy in difesa degli indigeni.

Appelli ai quali le autorità indiane non hanno finora risposto, mentre il sacerdote continua ad attendere in carcere la prossima udienza in tribunale prevista il 26 novembre.

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19 novembre 2020, 08:12