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Kenya, la Chiesa in aiuto dei poveri nelle baraccopoli

Con la pandemia, tra i più bisognosi del Paese africano, non c'è lavoro e non c'è cibo. Le loro storie drammatiche affidate alla solidarietà internazionale cattolica

Lisa Zengarini - Città del Vaticano 

Da quando è stato annunciato il primo caso di Covid-19 in Kenya, lo scorso mese di marzo, per gli abitanti di tante baraccopoli del Paese africano la vita è diventata ancora più difficile per l’impossibilità di svolgere i lavori occasionali che permettevano loro di mantenersi. Tra le situazioni più drammatiche individuate da un team della Commissione Giustizia e pace (Cjpc) e dalla Caritas Nairobi - riporta il blog dell'Amecea, l'Associazione delle Conferenze episcopali dell'Africa orientale - quella della baraccopoli di Kibera, alla periferia della capitale.

Con la pandemia senza lavoro e senza cibo

Grazie al sostegno della Cafod, l’agenzia cattolica britannica per l’aiuto ai Paesi d’Oltremare, per tre mesi consecutivi la Chiesa locale è riuscita a fornire cibo e sapone a 75 famiglie particolarmente bisognose, con disabili e malati di tumore, nelle tre parrocchie  che assistono i residenti. "Quando la pandemia di Coronavirus è iniziata le persone non venivano più in chiesa e questo significava che il sostegno che eravamo soliti ottenere dalla comunità parrocchiale non c'era più", ha raccontato Michael Mungai, un parrocchiano della parrocchia di Cristo Re  al team della Caritas e di Giustizia e Pace che ha visitato la baraccopoli. “Per un certo periodo sono stato a casa con mia moglie e due bambini senza cibo”. Poi è arrivato il programma alimentare sostenuto dalla Cafod. “Ringrazio Dio per il sostegno che abbiamo e che Dio vi benedica” ha detto Mungai.

Storie drammatiche Anche Sheila Musimbi, una madre single con tre figli della parrocchia di St Michael Otiende, ha perso il lavoro. Prima del Covid-19 svolgeva lavori occasionali come lavandaia, poi non è stata più chiamata e lei stessa, essendo sieropositiva e quindi vulnerabile al virus, teme di essere contagiata. Per un po’ si è arrangiata come ha potuto,  finché una suora incaricata del servizio sociale nella parrocchia l'ha chiamata e l'ha informata che le sarebbe stato fornito cibo.

Il programma alimentare della Cafod è tuttavia giunto al termine, nonostante il bisogno di cibo sia ancora grande, perché l’emergenza sanitaria non è finita in Kenya come nel resto del mondo e molte misure di contenimento sono ancora in vigore. Attualmente i casi positivi registrati dai tamponi effettuati su un campione di poco più di 400mila persone sono 31.441, con 516 vittime ma, secondo il Ministero della Salute. Gli infettati nel Paese potrebbero essere tre milioni.

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23 agosto 2020, 08:00