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Pasqua in India. Machado: col Cristo Risorto, la speranza non è persa

Cresce l’emergenza Coronavirus anche in India. La Chiesa ha messo a disposizione del governo alcuni ospedali cristiani e attraverso la Caritas fa fronte al dramma dei lavoratori giornalieri che hanno perso ogni fonte di guadagno. A Vatican News ne parla l’arcivescovo Felix Anthony Machado, che riflette pure sul significato della Pasqua: spendiamo questo tempo, dice, a trovare un rapporto più intimo con Gesù

Giada Aquilino - Città del Vaticano

“Siamo tristi, siamo provati”, ma ciò che sta accadendo in questo momento di emergenza da Coronavirus “non è più grande di quanto successo a Gesù”. La riflessione sulla Pasqua di monsignor Felix Anthony Machado, arcivescovo di Vasai e segretario generale della Conferenza episcopale indiana, s’intreccia con le notizie della crescente espansione del Covid-19 anche in India, dove i casi confermati sono più di 6 mila.

Blocco delle attività

Con oltre un miliardo di abitanti, le autorità indiane hanno decretato un blocco totale delle attività dal 24 marzo. Identificate e isolate dozzine di zone rosse a New Delhi e nello Stato dell'Uttar Pradesh. Inasprite le misure pure nel Madhya Pradesh, con l’imposizione del coprifuoco nella capitale Bhopal: per le disposizioni, gli enti di beneficenza cristiani sono stati costretti ad interrompere la distribuzione di cibo tra i poveri. In un videomessaggio, il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay, ha fatto proprio l’appello dell’Organizzazione mondiale della sanità e ha esortato sacerdoti e fedeli alla cremazione delle vittime di Covid-19, affinché venga evitato il rischio, con la sepoltura, di una diffusione del virus attraverso le sorgenti d’acqua.

La vicinanza ai lavoratori giornalieri

La Chiesa, testimonia l’arcivescovo Machado, continua ad essere al fianco di chi è nel bisogno. Di fronte alle scene di “panico” e calca di migliaia di persone, perlopiù lavoratori a giornata, che tentavano di rientrare nei villaggi di origine dopo aver perso un lavoro di fatto già precario, è intervenuta la Caritas locale, “senza discriminazione, senza fare differenze tra cristiani e non cristiani”, garantendo collaborazione alle autorità “nel campo della sanità, ma anche cercando di fornire un alloggio a chi è lontano da casa”. In questo di “paure e incertezze”, i cristiani di tutta l’India sono pronti a celebrare domani la Pasqua: con le Chiese chiuse, spiega a Vatican News il segretario generale della Conferenza episcopale indiana, si seguono le Messe via streaming, recitando una preghiera speciale per le famiglie.

L'intervista a monsignor Machado

R. - I sentimenti sono gli stessi, in comune col mondo intero. C'è una confusione nella mente della gente a causa di molti elementi. Ci sono paura e incertezze per la vita, per il futuro, per la famiglia. Poi, dato che l’India è un Paese in cui il senso del sacro è molto presente e ogni religione è particolarmente cara per ognuno, questo può portare da un lato a eccessivi fanatismi e dall’altro a una vera e sincera religiosità. Siccome le chiese, le moschee, i templi sono chiusi, c'è confusione nella mente, la gente si chiede: cosa succederà adesso? Dio c'è? Dov’è in questo momento di tragedia? Inoltre non sappiamo che cosa sia effettivamente questo Coronavirus e cosa dobbiamo fare. Il governo ha imposto giustamente misure molto strette secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ma tutta questa situazione crea molto disagio. Non possiamo andare da un luogo all'altro. Cosa mangiamo? Dove troviamo qualcosa per vivere?

La Chiesa come risponde a queste paure e difficoltà della gente?

R. - Dove ci sono le città, la situazione è più in sintonia col resto del mondo. Ma nelle zone rurali, nei villaggi sparsi sulle montagne, le reazioni sono diverse. La Conferenza episcopale è molto attiva: abbiamo diffuso le istruzioni che abbiamo ricevuto dalla Santa Sede, emanando delle nostre disposizioni, anche secondo i provvedimenti del governo indiano e dei governi locali. In tutta l’India le chiese sono completamente chiuse e le Messe sono celebrate privatamente dai sacerdoti senza presenza di popolo. Fino alla terza settimana di Quaresima le chiese sono state aperte, poi è stata decisa la chiusura di tutto. E questo ha scioccato un po’ la gente, anche se bisogna dire che la preoccupazione maggiore è come fare a sopravvivere. Quindi la reazione non è stata di rabbia, perché le persone hanno capito la situazione e sanno che possono seguire le cerimonie via streaming, sui cellulari o sul computer. Stiamo avendo un contatto molto vivo con i fedeli in questa maniera. Anche io in questi giorni di isolamento comunico così per guidare la vita spirituale, i Sacramenti, esortando a vivere per quanto possibile la Settimana Santa.

Si è assistito alla fuga dalle città di migliaia di persone, perlopiù lavoratori a giornata che tentavano di rientrare nei villaggi di origine. Che rischi ci sono?

R. - In India molti lavoratori, soprattutto dei cantieri, vengono nelle grandi città per guadagnare qualcosa giorno dopo giorno e vivono così, in baracche. Quando è stata decisa la chiusura di tutto, hanno avuto paura perché ciò ha significato niente lavoro e niente cibo. Ed hanno deciso di tornare a casa. Il governo ha detto loro di rimanere, assicurando di provvedere alle necessità, ma c’è stato comunque panico fra le persone, soprattutto nella zona di New Delhi. Come Caritas siamo intervenuti per aiutare la gente. Abbiamo detto che faremo tutto il possibile - e lo stiamo già facendo - per qualsiasi persona che sia nel bisogno, senza discriminazione, senza fare differenze tra cristiani e non cristiani. Devo dire sinceramente che il governo ha fatto molto. Noi come Chiesa abbiamo scritto delle lettere al primo ministro, garantendo la collaborazione della Chiesa in particolare nel campo della sanità, ma anche cercando di fornire un alloggio a chi è lontano da casa.

La Chiesa indiana ha messo a disposizione del governo alcuni ospedali cristiani, un migliaio di strutture per l’emergenza. Di quale iniziativa si tratta?

R. - Sì, ci siamo detti subito pronti: suore, preti e laici stanno già lavorando e collaborando. Anche economicamente. Ho coinvolto le tre grandi realtà della Chiesa cristiana indiana, i cattolici, i protestanti e i pentecostali e abbiamo scritto, come dicevo, al primo ministro per la massima collaborazione.

Come si celebra la Pasqua in India in questa emergenza da Coronavirus?

R. - Abbiamo spiegato, per la Liturgia, cosa possiamo fare e cosa non possiamo fare. I riti sono celebrati dai sacerdoti in ogni chiesa ma a porte chiuse, perché non è permessa la presenza di più di 5 persone insieme: sarebbe criminale non rispettare questa disposizione. Quindi assicuriamo la trasmissione live streaming. Nella mia diocesi per esempio erano in programma dei battesimi di nuovi cristiani, ma li abbiamo rimandati. Come d’altra parte abbiamo rimandato le Prime Comunioni, le Cresime e anche i matrimoni.

Cosa prevede la celebrazione di Pasqua?

R. - Secondo le modalità stabilite, celebriamo la Veglia Pasquale in chiesa, con i fedeli collegati via streaming. Per domani, giorno di Pasqua, come Conferenza episcopale - di rito latino, siro-malabarese e siro-malankarese - abbiamo inviato una preghiera comune alle famiglie di tutto il Paese, da recitare alle 12:30 in ogni casa.

Qual è la sua riflessione per Pasqua?

R. - Vorrei incoraggiare la gente a vedere la luce, Gesù. Non siamo nelle tenebre, siamo nella luce di Cristo Risorto. Riaffermiamo la nostra fede. Quest’anno la Pasqua ha una dimensione personale, perché non siamo radunati come comunità, ma spendiamo questo tempo a trovare un rapporto più intimo con Gesù. Dobbiamo diffondere tale spirito mettendoci al servizio di chi ha bisogno e aiutandolo. Questo è lo spirito di Pasqua. E poi vorrei che la gente capisse che c'è una grande speranza, non è andata persa: sì, siamo tristi, siamo provati, ma questo fa parte della Pasqua, non è più grande di quanto successo a Gesù.

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11 aprile 2020, 08:01