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Cimitero di Bergamo Cimitero di Bergamo 

Don Pasquale: a Bergamo ci aggrappiamo a Dio

In una settimana sono 330 i morti per coronavirus. I numeri consegnano la drammatica realtà della città lombarda, in grande affanno per il diffondersi dell’epidemia. “Il silenzio della città è surreale”, afferma a Vatican News don Pasquale Pezzoli, parroco della chiesa di Santa Caterina

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

“Assunta, Rosetta, Franco, Antonia, Silvano, Maria, sono i nomi dei defunti degli ultimi giorni nel mio paese. Nomi e volti familiari. Genitori di amici che se ne vanno, che cadono come foglie dopo una notte di tempesta. Ognuno a Bergamo ha almeno un contagiato tra i propri conoscenti, se non un morto da piangere. È un tempo triste. Proprio come un esodo biblico, siamo smarriti nel deserto dell’impotenza, nella tristezza per chi se ne va e non ha nemmeno una carezza prima di morire e, dopo la morte, solo una fugace e segreta sepoltura”. Sono parole che si leggono sul quotidiano on-line “Bergamonews”. Acqua gelata che risveglia e fa comprendere come si vive in questa operosa città, custodita dalla presenza rassicurante e protettiva di San Giovanni XXIII e oggi nel cuore della pandemia come prima provincia per contagi ( uasi 4000).

Siamo benedizione per gli altri

In settimana negli ospedali sono arrivati 27 medici e 4 infermieri militari per dare fiato ai dottori che da quasi un mese vivono in costante emergenza e un ospedale supplementare da campo, con quasi 250 posti letto, sta per sorgere alla Fiera di Bergamo per dare respiro al Papa Giovanni XXIII che non ha più posti in terapia intensiva.

Il numero elevato di vittime ha saturato le camere mortuarie degli ospedali di Bergamo e del cimitero cittadino, costringendo il Comune ad aprire anche la chiesa del cimitero, dove ogni giorno sono circa 40 le bare collocate. Un contesto nel quale è difficile, ma necessario, offrire una parola di speranza, come sottolinea don Pasquale Pezzoli, parroco della chiesa di Santa Caterina:

L'intervista a don Pasquale Pezzoli

R. – Ieri sera facevo il calcolo delle vittime tra i miei fedeli. In 10 giorni sono morte 10 persone, è effettivamente una media eccessiva e per molti la causa è il coronavirus legato a debolezze precedenti però il coronavirus ha avuto la sua parte. E’ chiaro che il dolore principale che abbiamo è il non poterli assistere come vorremmo, non poter portare i sacramenti perché molti muoiono in ospedale ed è impossibile provvedere. Non abbiamo la possibilità di celebrare i funerali ed è una mancanza molto forte perché vuol dire non poter salutare le persone, condividere il lutto con i famigliari, con la gente. E’ una sofferenza notevole.

In questa situazione così difficile per la città e l’Italia intera ha sentito rafforzata la sua missione di pastore?

R. – Quello che noi possiamo fare lo facciamo. Celebriamo la Messa al Santuario, che è molto amato qui, alle 17 la trasmettiamo via facebook e sentiamo che diverse persone sentono questo appuntamento come un collegamento con gli altri, in una comunità virtuale che dà ai fedeli il senso di sentirsi vicini. La sera alle 21, da qualche giorno, i due nostri campanili suonano il Salve Regina e chi vuole nelle famiglie può fare una preghiera, è sempre un modo per pregare insieme. Io poi ho un sacerdote giovane con me e da qualche tempo sta facendo le lezioni di catechismo on-line, non sono vere e proprie lezioni ma una possibilità per i ragazzi di incontrarsi, parlare, di svagarsi un po’. Al mattino poi una ventina di sacerdoti giovani hanno creato il “Buongiorno Gesù”, trasmettono un momento di preghiera per i ragazzi, poi uno di loro fa un piccolo commento, è un’iniziativa significativa per i giovani e le famiglie.

Bergamo è una città operosa, oggi avvolta nel silenzio. Si sente questo stridore?

R. – Si sente sì, si sente! Perché è tutto più tranquillo ma non è la tranquillità della pace, è la tranquillità del problema del coronavirus che ci obbliga a stare in casa. E poi c’è la preoccupazione del futuro, è una problematica seria per l’economia. Ho finito ora di parlare con una persona che gestisce un’impresa di una decina di persone e che ha chiuso, gli ordini sono finiti. Bisognerà ripartire ma sarà un problema.

Da uomo di Chiesa, qual è la parola di speranza che offre a chi le chiede un sostegno?

R. – La parola di speranza viene dalla consapevolezza della verità della nostra vita. Noi in pochi giorni ci siamo resi conto di ciò di cui non ci rendevamo conto, a causa dei ritmi frenetici di vita che avevamo, e cioè che non siamo padroni di noi stessi, né della nostra vita e che però ciò che continuamente ci diciamo, e che è profondamente vero, è che non siamo padroni ma non siamo nemmeno senza fondamento o senza mani che ci raccolgono. Mai come in questo momento il tema di Dio, che è la nostra roccia e ci tiene davvero nelle sue mani, è un tema importante senza dimenticare le sofferenze. Oggi c’è questa frase molto bella che si ripete – Andrà tutto bene – però è una frase che non deve farci dimenticare che qualcosa non va bene. Solo il Signore ci tiene nelle sue mani.

C’è un episodio, un momento, un’immagine che l’ha particolarmente colpita e che ricorderà al termine dell’emergenza coronavirus?

R. - L’immagine è quella di un figlio che, non potendo avere un sacerdote accanto alla mamma che muore, dice lui una parola di benedizione, come il nostro vescovo ci ha insegnato a fare in questi tempi. E’ il credente che scopre e riscopre questa possibilità di essere lui benedizione per gli altri, soprattutto con la preghiera e prima ancora con la vicinanza concreta nei casi in cui è possibile. 

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18 marzo 2020, 07:49