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Monsignor Paolo Bizzeti Monsignor Paolo Bizzeti  

Bizzeti: studiare gli altri popoli crea i veri leader della pace

Il Vicario apostolico in Anatolia, monsignor Paolo Bizzeti, è in procinto di partecipare a Bari, dal 19 al 23 febbraio, all’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”. Il presule sottolinea l’importanza della mutua conoscenza di storia, religioni e tradizioni, come via privilegiata per costruire la pace. In questa ottica, insieme all’associazione AMO (Amici per il Medio Oriente onlus), promuove al Pontificio Istituto Orientale una giornata di studio sulla Turchia, la terra dove da cinque anni esercita il suo ministero pastorale

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Una giornata di studio per cercare di conoscere meglio la Turchia al di là di slogan semplificatori. E’ la proposta del Pontificio Istituto Orientale, a Roma, dove oggi si confrontano relatori di calibro internazionale per approfondire aspetti sociali, pastorali, storici, culturali di questa regione. A presiedere la sessione pomeridiana, sarà il Vicario apostolico in Anatolia, monsignor Paolo Bizzeti che, ai microfoni di Radio Vaticana – Vatican News, illustra genesi e obiettivi del convegno: “Abbiamo voluto – pensando che cadono i dieci anni dalla morte di monsignor Padovese – riprendere la tradizione dei convegni che venivano fatti a Tarso e a Efeso e riportare all’attenzione di tutti, e anche all’interno della Chiesa, questo Paese così importante non soltanto per il suo passato antico ma anche oggi per la vita del mondo. Una giornata di studio perché si comprenda che non è un Paese semplicemente dei luoghi santi di un tempo ma estremamente interessante anche oggi per quello che via via si va scoprendo e per le problematiche che sono in gioco”.

Ascolta l'intervista a mons. Bizzeti

La Turchia, un Paese forse non così conosciuto in tutte le sue sfaccettature…

R: - Io credo che spesso in Europa e nel mondo occidentale, più ampiamente, circolino sulla Turchia degli slogan molto semplificatori, quando invece è una realtà molto complessa, un mosaico molto interessante, per certi versi un centro del mondo dove si incrociano problematiche religiose, sociali, politiche, di geo strategia che non andrebbero sottovalutate.

Cosa serve alla Chiesa in Turchia oggi?

R: - La Turchia oggi ha bisogno di operatori pastorali perché noi abbiamo un numero di rifugiati cristiani - siriani, iracheni, afghani, iraniani - che sono veramente persone che hanno perso tutto per cercare Cristo, per essere fedeli alla loro fede, e non ci sono sacerdoti e suore a sufficienza, ci sono difficoltà dal punto di vista organizzativo. Non è possibile costruire una cappella, un centro culturale, un luogo di ritrovo... Io direi che in questo momento è altrettanto importante che ci siano delle persone che studino la Turchia nelle sue tradizioni. Qui al Pontificio Istituto Orientale nel passato c’erano state personalità di grande rilievo, ricordo un turco che insegnava letteratura turca. Oggi tutto questo si è un po’ perso. Allora sarebbe importante avere degli studiosi che continuino il lavoro archeologico, il lavoro sulle fonti scritte per continuare una tradizione di ricerca che riporti all’attenzione non solo le origini del cristianesimo ma anche il suo sviluppo fino ad oggi.

Riguardo alla vicina Siria, per la quale il Papa torna ripetutamente a pregare perché la guerra finisca, come vede la situazione, a pochi giorni dall’incontro dei vescovi del Mediterraneo a Bari?

R: - La tragedia in Siria ha dimensioni inimmaginabili. A me fa molta tristezza vedere come è quasi scomparso dall’attenzione mediatica e politica il dramma di queste centinaia di migliaia di persone che ancora sono costrette a vivere d’inverno sotto gli alberi, con morti di bambini, di anziani, di persone ammalate. E’ una strage dovuta al fatto che le grandi potenze stanno giocando in Siria una partita molto sporca per il dominio della regione, con tutti gli interessi annessi e connessi: traffico delle armi etc. La situazione della Siria è emblematica e mostra anche la debolezza dell’Europa, incapace di prendere una posizione forte – e lo stiamo vedendo anche con le vicende della Libia – e io credo che in tutto questo la Chiesa è chiamata ad avere una voce profetica, non solo richiamando i grandi principi ma anche richiamando i cristiani ad un impegno più serio e più fattivo perché è scandaloso che i cristiani di Occidente e d’Europa non vogliano nemmeno sentir parlare delle vicende dei loro fratelli e sorelle di queste regioni, in condizioni veramente dolorosissime.

Subito dopo il convegno al Pontificio Istituto Orientale, lei si sposterà a Bari per partecipare all’incontro dei vescovi del Mediterraneo per la pace. Quali sono le sue aspettative?

R: - Intanto è doveroso ringraziare chi ha pensato questo avvenimento che ha una sua originalità. Sono vari mondi che si incontrano ed è già questa una cosa significativa in sé. Spero che da questo appuntamento si potenzi anche una attenzione della Chiesa al bacino del Mediterraneo con il contributo che la Chiesa oggi è chiamata a dare proprio perché il Mediterraneo può essere un luogo di morte ma può essere anche un luogo – e lo è stato per secoli – di incontro, di culture, di religioni, di sensibilità. E’ il lago comune all’ebraismo, al cristianesimo, all’islam. Comune a civiltà che hanno storie millenarie. Quindi valorizzare il Mediterraneo è sicuramente molto interessante. Bisogna poi passare a un piano operativo.

Ha una proposta?

R: - Il mio sogno è che quello che si faccia un liceo internazionale dove i giovani possano studiare almeno una delle lingue degli altri popoli e almeno una delle altre religioni. Oggi c’è moltissima ignoranza e soltanto conoscendosi, studiando e crescendo insieme potremo avere, sì, dei veri leader della pace.

Un appuntamento che cade peraltro a poco più di un anno dalla firma del Documento sulla fratellanza umana…

R: - Esatto, perché c’è una parte del mondo cristiano che ha voglia di dialogare e conoscere e c’è una parte del mondo musulmano che ha voglia di fare altrettanto. Noi dobbiamo potenziare e sostenere queste persone che hanno voglia di incontrarsi, di conoscersi e di rispettarsi, altrimenti è inevitabile la chiusura e il fondamentalismo, con tutte le conseguenze terribili che questo porta con sè.

ULTIMO AGGIORNAMENTO: 19 FEBBRAIO

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18 febbraio 2020, 15:49