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Card. Parolin, La Chiesa in Cina: un libro tra memoria e futuro

Il Segretario di Stato vaticano firma la prefazione del volume "La Chiesa in Cina. Un futuro da scrivere” a cura di p. Antonio Spadaro, per Ancora Editrice, in uscita il 19 marzo. Inserendolo tra le due chiavi prospettiche fondamentali di continuità e slancio verso il futuro, il cardinale ripercorre il cammino della presenza cattolica in Cina, i passi in avanti e i problemi aperti, soffermandosi sulla sfida dell'evangelizzazione

Debora Donnini - Città del Vaticano

Oggi “senza nulla tralasciare del tesoro spirituale delle comunità cattoliche locali, e specialmente facendosi carico delle gravi sofferenze e incomprensioni vissute dai cattolici cinesi nel corso di tanti anni, siamo chiamati a fare memoria e, insieme, a scrivere una pagina nuova per il futuro della Chiesa in Cina”. Lo scrive il cardinale Pietro Parolin fin dall’inizio della Prefazione a questo testo che, a cura di padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, è il secondo in ordine di tempo interamente dedicato alla Chiesa in Cina.

Il volume si colloca nell’ambito delle iniziative del “China Forum per il dialogo di civiltà”, avviato da La Civiltà Cattolica e dalla Georgetown University, e raccoglie diversi contributi apparsi negli ultimi due anni proprio sulla storica rivista della Compagnia di Gesù. Un testo che si colloca in un “momento storico particolare” nei rapporti tra la Sede Apostolica e la Cina, specialmente dopo la firma dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi, avvenuta a Pechino il 22 settembre 2018.


Maximum illud: missioni espressione di una Chiesa veramente universale

Significativo, rileva nella Prefazione il cardinale Parolin, che questa raccolta veda la luce a cent’anni esatti dalla Lettera Apostolica Maximum illud di Papa Benedetto XV, un documento dedicato alle missioni, che chiedeva di “ritornare alle sorgenti spirituali e pastorali della missione ad gentes”. Oltre a una serie di raccomandazioni, questa Lettera Apostolica conteneva anche “un messaggio forte e preciso: le missioni non sono un’estensione della cristianità occidentale, ma l’espressione di una Chiesa che vuole essere veramente universale. Era un messaggio rivolto anzitutto alla Cina”, spiega il cardinale Parolin facendo riferimento alle sollecitazioni che veniva proprio da quel grande Paese ad opera di alcuni missionari. Soffermandosi sulla collocazione temporale del documento, e cioè l’uscita dalla Grande Guerra, il Segretario di Stato mette quindi in evidenza che “così, come già altre volte, la Cina divenne il «laboratorio» missionario, dal quale ebbero inizio un ripensamento e un rinnovamento dell’opera di evangelizzazione destinati ad estendersi al resto del mondo”. Quindi “il nuovo approccio missionario maturato in Cina veniva proposto per tutto il mondo sulla base di un forte senso dell’universalità della Chiesa, da cui scaturiva indirettamente il riconoscimento della pari dignità di tutti i popoli e di tutti i Paesi cui veniva rivolto l’annuncio del Vangelo”.  Non mancarono delle resistenze dentro e fuori la Chiesa, spiega ancora il porporato che a proposito della Maximum illud rileva una svolta storica. In particolare viene messa in luce l’importanza di un clero autoctono, “ben istruito e degno della sua santa vocazione”, per una Chiesa ben fondata e capace di non soccombere alle eventuali persecuzioni. Parole che “anticiparono in modo sorprendente quanto poi sarebbe accaduto in Cina nel corso del Novecento”, nota il cardinale Parolin rilevando che “malgrado tante prove e tante difficoltà, la Chiesa ivi impiantata è ancora oggi ben viva, perché le radici costituite dal clero autoctono hanno resistito”.

Passi compiuti e problemi aperti 

Questo spinge a interrogarsi ancora “sull’attualità della presenza cattolica in Cina”. Da allora ad oggi, in questi cento anni, molte cose sono cambiate anche nella Chiesa, basti pensare al Concilio Vaticano II. “Tuttavia, anche se adesso sono i credenti cinesi a prendersi cura della loro Chiesa, l’evangelizzazione della Cina costituisce ancora oggi una sfida decisiva per tutta la Cattolicità. E anche oggi, come cento anni fa, il caso cinese mostra che per affrontare la sfida dell’evangelizzazione occorre anzitutto ritessere l’unità della Chiesa”. Passi importanti in questo senso sono stati compiuti recentemente. “Proprio al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina, l’8 settembre 2018 il Santo Padre Francesco ha accolto nella piena comunione i restanti sette Vescovi «ufficiali» ordinati senza mandato pontificio. Così, dopo tanti decenni, tutti i Vescovi in Cina sono oggi in comunione con il Sommo Pontefice”, sottolinea il porporato, ricordando anche la successiva partecipazione, per la prima volta, di due vescovi della Cina continentale al Sinodo dell’ottobre scorso. La Chiesa in Cina ha bisogno di “unità”, di “fiducia” e di “un nuovo slancio pastorale”. “Non a caso proprio in coincidenza con questa svolta”, Papa Francesco ha ricordato ai cattolici cinesi il bisogno di avere missionari “divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita”, nel Messaggio del settembre 2018 ai Cattolici cinesi e alla Chiesa universale. Restano problemi ancora aperti, non a caso l'Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi del 22 settembre 2018 è solo un punto di partenza. In particolare, il porporato cita il cammino dell’unità non ancora interamente compiuto e la piena riconciliazione tra i cattolici cinesi e le rispettive comunità come un obiettivo prioritario. Da qui l'urgenza anche in Cina  - dice - dell'avvio di un "cammino serio di purificazione della memoria”.

Chiesa e popolo

E’ proprio l’universalità della Chiesa a spingere la Santa Sede a non nutrire sfiducia o ostilità verso alcun Paese, ma a percorrere la via del dialogo per superare le distanze. “L’annuncio del Vangelo in Cina non può essere separato da un atteggiamento di rispetto, di stima e di fiducia verso il Popolo cinese e le sue legittime Autorità”, afferma ancora il cardinale Parolin, evidenziando appunto che “la Santa Sede si augura di poter collaborare  con la Cina anche sui temi della pace, dell'ambiente, dell'incontro tra le culture, "favorendo la pace e aspirando al bene dell’umanità”.  La Chiesa poi “non dimentica il sacrificio di tanti suoi figli in Cina, ma proprio guardando al loro esempio si interroga sui modi più opportuni per raggiungere coloro che ancora non conoscono la Buona Novella e si attendono una testimonianza più alta da parte di quanti portano il nome cristiano”. “L’urgenza dell’evangelizzazione offre anche una prospettiva capace di superare molte questioni particolari indirizzandole verso un approccio unitario, in cui teologia, diritto e pastorale – non esclusa pure la diplomazia – si fondano in modo creativo e costruttivo. È sotto gli occhi di tutti che, anche oggi, la sollecitudine del Papa per la Chiesa e il Popolo cinesi incontra ancora resistenze e opposizioni”, scrive il porporato. Per il cardinale, dunque, proprio contributi di approfondimento come quelli promossi da La Civiltà Cattolica in questi ultimi anni sono d’aiuto a superare  facili contrapposizioni e a sciogliere i nodi che ancora impediscono la "gioia di un incontro fecondo”. 

L'auspicio del Papa

Il Segretario di Stato ribadisce infine che “le finalità proprie dell’azione della Santa Sede, anche nello specifico contesto cinese, rimangono quelle di sempre: la Salus animarum e la Libertas Ecclesiae. Per la Chiesa in Cina, ciò significa la possibilità di annunciare con maggiore libertà il Vangelo di Cristo e di farlo in una cornice sociale, culturale e politica di maggiore fiducia”.  D’altronde, nota ancora il cardinale Parolin, “la Chiesa cattolica in Cina non è un soggetto «straniero», ma è parte integrante e attiva”, e può contribuire “all’edificazione di una società più armoniosa e più rispettosa di tutti”. Al termine della Prefazione, il porporato evidenzia che oggi l’auspicio di Papa Francesco è che, “dopo tante difficoltà, incomprensioni e sofferenze, attraverso la via del dialogo sincero, la Comunità cattolica possa intonare anche nel «Regno di Mezzo» «il canto della fede e del ringraziamento, arricchito da note autenticamente cinesi»”.

 

Di seguito il testo integrale della Prefazione firmata dal cardinale Pietro Parolin:

 

Il presente volume è il secondo in ordine di tempo a cura di P. Antonio Spadaro S.I. Interamente dedicato alla Chiesa in Cina (1) e si colloca in un momento storico particolare nei rapporti tra la Sede Apostolica e l’antico «Regno di Mezzo», specialmente dopo la firma dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi, avvenuta a Pechino il 22 settembre 2018.

Il volume si colloca nell’ambito delle iniziative del «China Forum per il dialogo di civiltà», frutto della collaborazione tra la rivista La Civiltà Cattolica e la Georgetown University. Esso raccoglie organicamente diversi contributi di studio, apparsi negli ultimi due anni su La Civiltà Cattolica, che consentono di compiere un singolare percorso intellettuale ed ecclesiale tra cultura, società e spiritualità nella Cina di oggi.

I pittogrammi scelti per la prima di copertina rappresentano due espressioni altamente evocative: «davanti» e «cammino». Essi sintetizzano, in qualche modo, anche il percorso di dialogo istituzionale, a diversi livelli, che con alterne vicende si è andato sviluppando a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso tra la Santa Sede e le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, cogliendone due chiavi prospettiche fondamentali: la continuità ecclesiale e lo slancio pastorale verso il futuro. Queste due coordinate assumono un’importanza vitale soprattutto oggi, nel momento in cui, senza.nulla tralasciare del tesoro spirituale delle comunità cattoliche locali, e specialmente facendosi carico delle gravi sofferenze e incomprensioni vissute dai cattolici cinesi nel corso di tanti anni, siamo chiamati a fare memoria e, insieme, a scrivere una pagina nuova per il futuro della Chiesa in Cina.

Risulta poi significativo che questa raccolta monografica veda la luce a cent’anni esatti dalla Lettera apostolica Maximum illud di Papa Benedetto XV, documento pontificio interamente dedicato alle missioni, al fine di promuoverne una riforma complessiva, che, utilizzando il linguaggio di Papa Francesco, potremmo chiamare una «conversione pastorale». Certo, la Maximum illud rifletteva anzitutto il grande impegno di Benedetto XV per la pace nel quadro drammatico della Prima Guerra Mondiale, da lui giustamente definita «inutile strage», ma era pervasa anche da una proiezione di annuncio evangelico globale che, riconoscendo l’eroismo di tanti missionari, constatava realisticamente anche i limiti dell’opera svolta per portare il Vangelo a tutti, e chiedeva di ritornare alle sorgenti spirituali e pastorali della missione ad gentes.

Di conseguenza, Benedetto XV rivolgeva una serie di raccomandazioni, chiedendo ai missionari maggiore dinamicità, una più stretta cooperazione tra congregazioni religiose – senza esclusivismi e concorrenzialità –, lo sviluppo della collaborazione tra diocesi vicine e, soprattutto, l’abbandono di atteggiamenti di superiorità verso il clero autoctono, insieme ad un maggior zelo nella sua formazione. Inoltre, ammoniva circa il pericolo di coltivare sentimenti nazionalistici e raccomandava una solida preparazione culturale attraverso l’apprendimento della lingua locale, per sviluppare una predicazione efficace. La Lettera apostolica conteneva infine un messaggio forte e preciso: le missioni non sono un’estensione della cristianità occidentale, ma l’espressione di una Chiesa che vuole essere veramente universale.

Era un messaggio rivolto anzitutto alla Cina. Le principali sollecitazioni venivano, infatti, proprio da quel grande Paese, ad opera di missionari come i Padri lazzaristi Vincent Lebbe e Antoine Cotta, e Mons. Jean Baptiste de Guebriant, delle Missioni Estere di Parigi (M.E.P.). A Roma, tali considerazioni ricevettero grande attenzione e ascolto. Da tempo, la Santa Sede avvertiva l’esigenza di sviluppare nuovi rapporti anche con Stati che non rientravano fra le tradizionali «Nazioni cristiane» e che si collocavano fuori dall’orizzonte europeo. All’uscita dalla Grande Guerra, si percepiva poi l’urgenza di mettere le missioni cattoliche al riparo dagli scontri tra i nazionalismi europei, i cui effetti negativi si avvertivano acutamente anche in ambito cinese. In tale contesto, si colloca il dialogo condotto in quegli anni per stabilire relazioni amichevoli tra la Sede Apostolica e il nuovo Stato cinese che veniva costituendosi dopo la fine dell’Impero.

Così, come già altre volte, la Cina divenne il «laboratorio» missionario, dal quale ebbero inizio un ripensamento e un rinnovamento dell’opera di evangelizzazione della Chiesa cattolica destinati ad estendersi al resto del mondo. Non è un caso: la Chiesa, infatti, ha sempre riconosciuto e rispettato le peculiarità e la ricchezza della civiltà e della storia cinesi. Il nuovo approccio missionario maturato in Cina veniva proposto per tutto il mondo sulla base di un forte senso dell’universalità della Chiesa, da cui scaturiva indirettamente il riconoscimento della pari dignità di tutti i popoli e di tutti i Paesi cui veniva rivolto l’annuncio del Vangelo. Uno dei più importanti realizzatori delle prospettive indicate da Papa Benedetto XV, S.E. Mons. Celso Costantini, primo Delegato apostolico in Cina, guardava a Pechino come ad un centro da cui doveva partire uno slancio evangelizzatore per tutta l’Asia.

È noto che non mancarono all’epoca resistenze dentro e fuori della Chiesa. Vennero anzitutto dalle potenze europee, che si sentirono espropriate di un secolare controllo sulle missioni, sopravvissuto in modo singolare anche alla separazione ottocentesca tra Chiesa e Stato. D’altro canto, la Santa Sede aveva maturato la consapevolezza dell’alto prezzo pagato per questa protezione in termini di credibilità nell’annuncio del Vangelo. Ma non meno profonde e dolorose, anche se meno visibili, furono le riserve provenienti dall’interno della Chiesa.

Perciò, la Lettera apostolica venne ignorata da alcuni, fu accolta da altri solo negli aspetti che riguardavano la cooperazione missionaria e rimase sostanzialmente incompresa da molti. E non c’è forse da stupirsi, visto che si trattava di un’autentica svolta storica sintetizzata dalla Maximum illud con le seguenti parole: «Poiché, come la Chiesa di Dio è universale, e quindi per nulla straniera presso nessun popolo, così è conveniente che in ciascuna nazione vi siano dei sacerdoti capaci di indirizzare, come maestri e guide, per la via dell’eterna salute i propri connazionali. Dove dunque esisterà una quantità sufficiente di clero indigeno ben istruito e degno della sua santa vocazione, ivi la Chiesa potrà dirsi bene fondata, e l’opera del Missionario compiuta. E se mai si levasse il nembo della persecuzione per abbattere quella Chiesa, non vi sarebbe da temere che, con quella base e con quelle radici così salde, essa non soccomberebbe agli assalti nemici» (2).

Queste parole anticiparono in modo sorprendente quanto poi sarebbe accaduto in Cina nel corso del Novecento. Malgrado tante prove e tante difficoltà, la Chiesa ivi impiantata è ancora oggi ben viva, perché le radici costituite dal clero autoctono hanno resistito anche alle stagioni avverse.

Tutto ciò spinge ad interrogarsi ancora sull’attualità della presenza cattolica in Cina. Di certo, molte cose sono accadute nel mondo in questi cento anni e, rispetto ad un secolo fa, molte cose sono cambiate anche nella Chiesa: basti qui ricordare solo il grande evento costituito dal Concilio Vaticano II. Tuttavia, anche se adesso sono i credenti cinesi a prendersi cura della loro Chiesa, l’evangelizzazione della Cina costituisce ancora oggi una sfida decisiva per tutta la Cattolicità. E anche oggi, come cento anni fa, il caso cinese mostra che per affrontare la sfida dell’evangelizzazione occorre anzitutto ritessere l’unità della Chiesa.

Com’è noto, importanti passi avanti in questo senso sono stati compiuti recentemente. Proprio al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina, l’8 settembre 2018 il Santo Padre Francesco ha accolto nella piena comunione i restanti sette Vescovi «ufficiali» ordinati senza mandato pontificio. Così, dopo tanti decenni, tutti i Vescovi in Cina sono oggi in comunione con il Sommo Pontefice. La successiva partecipazione, per la prima volta, di due Vescovi dalla Cina Continentale alla XV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi nell’ottobre 2018 ha costituito un’espressione commovente di questa comunione. Essi hanno manifestato la loro gioia per quella che hanno chiamato la prospettiva, divenuta oggi possibile, di una piena integrazione della Chiesa cinese in quella universale. La Chiesa in Cina ha bisogno di unità, ha bisogno di fiducia e di un nuovo slancio pastorale. Non a caso, proprio in coincidenza con questa svolta, Papa Francesco ha ricordato ai cattolici cinesi il bisogno di avere «missionari appassionati, divorati dall'entusiasmo di comunicare la vera vita» (3) e «con il coraggio apostolico» (4) portare agli altri la gioia del Vangelo.

Naturalmente, per la vita della Chiesa in Cina molti problemi sono ancora aperti. Non a caso, va sottolineato, l’Accordo Provvisorio del 22 settembre 2018 costituisce non tanto un punto di arrivo, quanto piuttosto un punto di partenza. In particolare, il cammino dell’unità non è ancora interamente compiuto e la piena riconciliazione tra i cattolici cinesi e le rispettive comunità di appartenenza rappresenta oggi un obiettivo prioritario. Perciò, è quanto mai necessario che anche in Cina prenda avvio progressivamente un cammino serio di purificazione della memoria.

Come un secolo fa, anche oggi l’universalità della Chiesa impedisce a quest’ultima di stringere legami preferenziali con un’area del mondo a scapito delle altre, o con una civiltà a dispetto delle altre. Tale universalità, in particolare, spinge la Santa Sede a non nutrire sfiducia od ostilità verso alcun Paese, ma a percorrere la via del dialogo per superare le distanze, vincere le incomprensioni ed evitare nuove contrapposizioni. L’annuncio del Vangelo in Cina non può essere separato da un atteggiamento di rispetto, di stima e di fiducia verso il Popolo cinese e le sue legittime Autorità. Preoccupata per le divisioni e i conflitti che attraversano il mondo globalizzato, la Santa Sede si augura di poter collaborare anche con la Cina per promuovere la pace, per affrontare gli attuali gravi problemi ambientali, per facilitare l’incontro tra le culture, favorendo la pace e aspirando al bene dell’umanità.

Neanche oggi la Chiesa dimentica il sacrificio di tanti suoi figli in Cina, ma proprio guardando al loro esempio si interroga sui modi più opportuni per raggiungere coloro che ancora non conoscono la Buona Novella e si attendono una testimonianza più alta da parte di quanti portano il nome cristiano. La storia stringe spesso in nodi inestricabili questioni religiose e problemi politici, tematiche ecclesiali e discussioni culturali, interrogativi morali e drammi sociali. Ma l’urgenza dell’evangelizzazione offre anche una prospettiva capace di superare molte questioni particolari indirizzandole verso un approccio unitario, in cui teologia, diritto e pastorale – non esclusa pure la diplomazia – si fondano in modo creativo e costruttivo. È sotto gli occhi di tutti che, anche oggi, la sollecitudine del Papa per la Chiesa e il Popolo cinesi incontra ancora resistenze e opposizioni.

Sono convinto che contributi di studio e di approfondimento, come quelli promossi dalla comunità degli Scrittori de La Civiltà Cattolica in questi ultimi anni, aiutino a superare la logica delle facili contrapposizioni, a cogliere la reale complessità della sfida culturale, sociale e religiosa della Cina di oggi, e a sciogliere progressivamente i nodi che ancora impediscono la gioia di un incontro fecondo.

Nel 2016, intervenendo a Pordenone, ebbi modo di sintetizzare l’attuale contesto del dialogo sino-vaticano rilevando che molte sono le speranze e le attese per nuovi sviluppi e per una nuova stagione nei rapporti tra la Sede Apostolica e la Cina, a beneficio non solo dei cattolici nella terra di Confucio, ma dell’intero Paese, che vanta una delle più grandi civiltà del pianeta (5). Al contempo, sottolineavo che le auspicate nuove relazioni con la Cina sono pensate e perseguite, non senza timore e tremore, perché qui si tratta della Chiesa che è cosa di Dio, solo in quanto «funzionali» al bene dei cattolici cinesi, al bene di tutto il popolo cinese e all’armonia dell’intera società.

Le finalità proprie dell’azione della Santa Sede, anche nello specifico contesto cinese, rimangono quelle di sempre: la Salus animarum e la Libertas Ecclesiae. Per la Chiesa in Cina, ciò significa la possibilità di annunciare con maggiore libertà il Vangelo di Cristo e di farlo in una cornice sociale, culturale e politica di maggiore fiducia. D’altronde, la Chiesa cattolica in Cina non è un soggetto «straniero», ma è parte integrante e attiva della storia cinese, e può contribuire – per la parte sua propria all’edificazione di una società più armoniosa e più rispettosa di tutti.

Oggi, l’auspicio di Papa Francesco è che, dopo tante difficoltà, incomprensioni e sofferenze, attraverso la via del dialogo sincero, la Comunità cattolica possa intonare anche nel «Regno di Mezzo» «il canto della fede e del ringraziamento, arricchito da note autenticamente cinesi» (6).


(1) Il primo è Nell’anima della Cina. Saggezza, storia, fede, Milano, Àncora, 2017
(2) Benedetto XV, Maximum illud, Lettera apostolica sull’attività svolta dai missionari nel mondo, 30 novembre 1919
(3) Francesco, Messaggio ai Cattolici cinesi e alla Chiesa universale, 26 settembre 2018, 7.
(4) Francesco, Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, 19 marzo 2018, 139.
(5) Cfr Conferenza presso il Seminario vescovile di Pordenone, 27 agosto 2016.


 

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17 marzo 2019, 08:16