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Siriani in fuga dalle propria case Siriani in fuga dalle propria case 

Rompere il silenzio sulla Siria devastata dalla guerra

La pace in Siria ha bisogno di essere supportata dalla volontà di tutti i Paesi che sono intervenuti sul campo di guerra. L’impegno della Chiesa cattolica per il rientro dei cristiani. Intervista ad Alessandro Monteduro, direttore di Acs

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

La protezione dei cristiani in Medio oriente è un’opportunità di pacificazione per tutti i popoli che vivono in quella tormentata regione attraversata da tanti conflitti. Ne è convinto Alessandro Monteduro, direttore della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre, che ha lanciato in questo periodo di Avvento, tempo di attesa e speranza per la pace nel mondo, una campagna di raccolta fondi per la Siria, che si esprime con l’accensione di una candela e la preghiera, così come domenica scorsa ha già fatto Papa Francesco, all’Angelus.  

L’obiettivo, che sarà portato avanti da Acs negli oltre 20 Paesi dove è presente, è di raggiungere un totale di 15 milioni di euro, destinati ad aiuti di emergenza e di ricostruzione e per il ripristino di attività pastorali, in aggiunta ai quasi 30 milioni di euro già donati dall’inizio del conflitto nel 2011.

Ascolta l'intervista ad Alessandro Monteduro

R. - In Siria la crisi o, meglio, la guerra è ancora, purtroppo, presente in alcune zone del Paese, in modo particolare nella zona di Idlib, vicino al confine con la Turchia. In altre realtà dello stesso Paese possiamo dire invece che c’è una situazione di pacificazione o comunque di relativa serenità. Al contempo, che la guerra sia terminata o meno, non è possibile pensare che sette anni di effetti provocati da un conflitto terribile, violentissimo, possano concludersi, possano risolversi solo con il cessare dei colpi delle armi da fuoco. Allora, accendere una candela significa chiedere al mondo di non dimenticarsi di un Paese che per sei anni e mezzo circa è stato, purtroppo, sulle prime pagine di tutti i giornali del pianeta, ma che da un anno, un anno e mezzo, purtroppo comincia ad essere quasi non considerato. Non è possibile pensare che i siriani possano ripartire, in un Paese distrutto, senza l’aiuto di tutti, anche di quei governi che ancora oggi applicando le sanzioni a questo grande nazione purtroppo producono degli effetti negativi, soprattutto per la popolazione.

Un conflitto che dura quasi da otto anni e che ha coinvolto le più grandi potenze che sono ancora sul campo e con una popolazione che sappiamo per la metà o forse anche più ha abbandonato le proprie case all’interno del Paese o è fuggito all’estero. Quindi questo silenzio da circa un anno e mezzo è davvero inquietante …

R. – E’ il silenzio del nostro modo occidentale, oramai, di agire, di operare, vale a dire accendere un focus, una luce nel momento della ‘notizia’ e spegnere immediatamente quella luce, come fosse quasi una luce tipica dell’albero di Natale intermittente che si accende e si spegne nel momento in cui non si riscontra più la ‘notizia’, non vi sono più – purtroppo – gli effetti del conflitto in senso stretto cioè i morti, le stragi e via discorrendo.

La gran parte dei siriani è ancora nei Paesi confinanti, la Giordania, la Turchia, il Libano ed attendono un segnale per poter rientrare. Faccio un esempio: ad Homs sono già tanti i cristiani che sono rientrati, perché Aiuto alla Chiesa che Soffre si è fatta carico di restaurare, di ricostruire oltre trecento appartamenti; quindi se li poniamo nelle condizioni di poter tornare a casa loro - uno slogan che accompagna un po’ tutte le leadership politiche del mondo, ma solo a parole -, i siriani tornano realmente in quella che con l’Iraq è stata la culla della nostra civiltà cristiana.

In tal senso il sacrificio delle popolazioni cristiane, quelle poche che sono riuscite a restare, ha aiutato a tenere comunque un filo di attenzione, anche grazie alla vostra fondazione, su questo Paese …

R. - I cristiani non sono soltanto una comunità pacifica. Sono anche una comunità pacificatrice. Ecco perché è importante che i cristiani non abbandonino il Medio Oriente, perché nella storia sono sempre stati i propulsori di un dialogo, non solo tra loro e le altre comunità religiose, ma hanno facilitato il dialogo anche tra le stesse ulteriori comunità religiose. Per essere chiari e diretti: il dialogo è stato particolarmente proficuo anche all’interno del mondo musulmano, tra gli sciiti e i sunniti, quando i cristiani si sono fatti carico di mediare tra loro. Ecco perché è importante che questa grande realtà di fede possa continuare a vivere in Medio Oriente.

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05 dicembre 2018, 13:26