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Mons. Nosiglia: sul biotestamento sì all’obiezione di coscienza

Mons. Nosiglia, arcivescovo di Torino sulla possibilità per gli operatori sanitari di applicare l'obiezione di coscienza riferendosi alla Legge sul biotestamento

La possibilità per gli operatori sanitari di applicare l'obiezione di coscienza circa le Dat, le dichiarazioni anticipate di trattamento contenute nella Legge sul biotestamento, appena varata, è stata confermata dal ministro della Salute Lorenzin.  Sul tema è intervenuto anche mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, invitando le istituzioni sanitarie cattoliche a compiere "scelte controcorrente" sul fine vita senza però "fare guerre" contro nessuno. Ascoltiamolo, nell'intervista di Fabio Colagrande

Mons. Nosiglia - Si all'obiezione di coscienza nella legge sul testamento

R. - Il mio invito è rivolto alle comunità religiose, istituzioni, associazioni, volontari che operano nel mondo sanitario e assistenziale: avere il coraggio di fare scelte di coerenza morale, di testimonianza, anche andando controcorrente, se è necessario. E questo però era un appello che riguardava tutto lo spettro della salvaguardia e della promozione della vita, dal primo istante fino al suo naturale tramonto, come più volte ha affermato la Chiesa e il suo magistero. Del resto è un dovere questo proprio di ogni persona, in quanto fedele e cittadino chiamato ad assumersi le proprie responsabilità, a prendere iniziativa, affinché i valori della vita abbiano pieno riconoscimento anche nella sanità, anche nella cultura, nelle scelte politiche del proprio Paese. E allora penso che ne derivi sul piano etico che ogni persona e chiunque ha il compito di prendere in carico la cura, ha il diritto-dovere, soprattutto in caso di malattia grave, di intraprendere le cure necessarie per conservare. Certo, nel limite del possibile, cioè con mezzi ordinari che non comportino alcun carico straordinario per se stessi o per gli altri ma sempre con questa attenzione che la vita e la salute sono talmente importanti e primarie che meritano la più alta attenzione e disponibilità. Questo dovere sussiste verso se stessi, verso Dio, verso la comunità umana e anche verso determinate persone che sono a noi legate, come i nostri familiari.

D. -  La vostra è una richiesta che va oltre, mi sembra di capire, l’obiezione di coscienza del singolo medico, riguarda gli istituti?

R. - Io ho citato a questo proposito il presidente della Cei, il cardinale Bassetti, che ha detto pochi giorni prima dell’approvazione della legge che ai vescovi stava a cuore che venisse riconosciuta, oltre la possibilità dell’obiezione di coscienza del singolo medico, quella che riguarda le nostre strutture sanitarie, cosa che del resto avviene per l’aborto. Ora, la legge non solo non ha tenuto conto di questo ma la esclude tassativamente. Comprendo, dunque, come il Cottolengo - che è un ospedale che fa parte di una città, Torino, di una “città della carità” la chiamiamo, dove migliaia e migliaia di persone povere e bisognose, ogni giorno, molti anziani ma non solo, usufruiscono dei servizi più vari, sanitari, sociali…, per la loro sussistenza - trovi grave difficoltà ad accettare tale norma che va contro i suoi valori umani e cristiani per cui è sempre esistito e che mettono al centro del suo agire il bene della persona e quello primario della dignità. Io penso, quindi, che senza fare le guerre - perché le guerre non si devono fare, deve esserci la legge in qualche modo, c’è una legge, va osservata - bisognerà trovare vie e modalità che salvaguardino entrambe le esigenze, quelle  della legge e quella della particolare natura e compiti propri di questo ospedale, come di ogni altro ospedale cattolico, ovviamente, che persegue gli stessi obiettivi.

D. - Voi temete che l’applicazione della legge sul fine vita possa far prevalere la cosiddetta cultura dello scarto, mi sembra di capire…

D. - Ma il fine vita intanto è vita e se non viene considerato più tale, allora viene meno un valore diritto fondamentale di ogni persona. Quello che conta di più è non cadere nella cultura dello scarto. E come si fa? Io penso che sia fondamentale l’accompagnamento, l’accompagnamento umano e spirituale di ogni ammalato terminale, se è lasciato solo è chiaro che va poi incontro a scelte che sono addirittura contro se stesso perché magari per limitare dei danni che dà ai suoi parenti, agli altri, arriva persino a volere la morte. L’accompagnamento e l’amore creano un rapporto di situazioni che sono poi cariche di fiducia e di speranza, anche per l’ammalato, anche terminale.

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21 dicembre 2017, 10:22