Sud Sudan, il Papa: deporre le armi dell'odio, l'amore cambia la storia

Nella Messa a Giuba, ultima tappa del suo viaggio in Africa, Francesco chiede ai cristiani sudsudanesi di essere sale per insaporire il Paese “con il gusto fraterno del Vangelo” e “comunità luminose”, che mostrino la bellezza del “costruire tutti insieme un futuro riconciliato”: le Beatitudini "danno un buon sapore anche alla società". Presenti anche l’arcivescovo Welby, il moderatore Greenshields e il presidente Kiir. L’arcivescovo di Giuba: “lentezza scoraggiante” del processo di pace

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Siate “sale della terra” che “si sparge e si scioglie con generosità per insaporire il Sud Sudan con il gusto fraterno del Vangelo” e “comunità cristiane luminose” che “gettino una luce di bene su tutti e mostrino che è bello e possibile vivere la gratuità, avere speranza, costruire tutti insieme un futuro riconciliato”. E’ l’augurio col quale Papa Francesco saluta i cristiani del martoriato Sud Sudan, a Giuba, nell’omelia della Messa al mausoleo “John Garang”, il padre della patria che morì prima di vederla indipendente, davanti a più di 100 mila fedeli in festa, che a lungo hanno continuato ad affluire sul grande piazzale e nell’area limitrofa al monumento. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Oltre 100 mila fedeli alla Messa conclusiva del Papa in Sud Sudan
Oltre 100 mila fedeli alla Messa conclusiva del Papa in Sud Sudan

“Deporre le armi dell’odio” per “imbracciare la carità”

L'appello del Papa “nel nome di Gesù, delle sue Beatitudini” è a deporre “le armi dell’odio e della vendetta per imbracciare la preghiera e la carità” e a mettere “sulle ferite il sale del perdono, che brucia ma guarisce”. Sul palco dell’altare, seduti accanto a cardinali e vescovi del seguito papale, i compagni di viaggio in questo pellegrinaggio di pace: il primate della Chiesa anglicana, l’arcivescovo Justin Welby, e il moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields. Partecipa alla celebrazione anche il presidente della Repubblica Salva Kiir. 

Essere “sale della terra” e “luce del mondo”

Dopo il giro in papamobile tra i giovani rimasti a vegliare tutta la notte, alcuni come i 60 arrivati da Rumbek dopo una settimana di cammino con il loro vescovo Carlassare, e introdotto la celebrazione in inglese, con canti e letture anche in arabo, il Papa nell’omelia commenta il Vangelo della quinta domenica del tempo ordinario. E’ il brano di Matteo sulla consegna di Gesù ai discepoli ad essere “sale della terra” e “luce del mondo”. Dedica però l’introduzione alle parole di san Paolo apostolo a Corinti, ascoltate nella seconda lettura, che si presenta dicendo di “non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”.

Massimiliano Menichetti racconta l'attesa della Messa a Giuba

“Gesù vi conosce e vi ama”

Francesco ricorda che Cristo, “il Dio dell’amore”, ha “realizzato la pace attraverso la sua croce”, Lui “crocifisso nella vita di tanti di voi, in molte persone di questo Paese; Gesù il Risorto, vincitore sul male e sulla morte”. E di venire ai fedeli del Sud Sudan “a proclamarvi Lui, a confermarvi in Lui, perché l’annuncio di Cristo è annuncio di speranza”.

Egli, infatti, conosce le angosce e le attese che portate nel cuore, le gioie e le fatiche che segnano la vostra vita, le tenebre che vi opprimono e la fede che, come un canto nella notte, levate al Cielo. Gesù vi conosce e vi ama

Le Beatitudini danno “buon sapore” anche alla società

Rimanendo in Cristo, sottolinea il Pontefice, non dobbiamo avere paura “perché anche per noi ogni croce si trasformerà in risurrezione, ogni tristezza in speranza, ogni lamento in danza”. Quindi si sofferma sulle parole di Gesù nel Vangelo di Matteo, e ricorda che il Maestro utilizza l’immagine del “sale della terra”, simbolo della sapienza “virtù che non si vede, ma che dà gusto al vivere” subito dopo aver proclamato ai suoi discepoli le Beatitudini. “Capiamo allora - commenta - che sono esse il sale della vita del cristiano”. E, in sintesi, ricorda che ci dicono che “per essere beati, cioè pienamente felici, non dobbiamo cercare di essere forti, ricchi e potenti, bensì umili, miti e misericordiosi; non fare del male a nessuno, ma essere operatori di pace per tutti”. Questo “è ciò che dà sapore alla terra che abitiamo”.

“Ricordiamoci: se mettiamo in pratica le Beatitudini, se incarniamo la sapienza di Gesù, non diamo un buon sapore solo alla nostra vita, ma anche alla società, al Paese dove viviamo”

Guarda il video integrale della Messa a Giuba, in Sud Sudan

Impedite che prevalga la corruzione del male

Il sale, prosegue Papa Francesco, ha però anche la funzione, essenziale ai tempi di Cristo, di conservare i cibi, “perciò a quei tempi, ogni volta che si faceva un’offerta al Signore, si metteva un po’ di sale”. Questo “ricordava il bisogno primario di custodire il legame con Dio, perché Lui è fedele a noi, la sua alleanza con noi è incorruttibile, inviolabile e duratura”. E il discepolo di Gesù “è testimone dell’alleanza che Lui ha realizzato e che celebriamo in ogni Messa”. Così anticamente “quando delle persone o dei popoli stabilivano tra loro un’amicizia, spesso la stipulavano scambiandosi un po’ di sale”. E noi cristiani “che siamo sale della terra”.

Siamo chiamati a testimoniare l’alleanza con Dio nella gioia, con gratitudine, mostrando di essere persone capaci di creare legami di amicizia, di vivere la fraternità, di costruire buone relazioni umane, per impedire che prevalgano la corruzione del male, il morbo delle divisioni, la sporcizia degli affari iniqui, la piaga dell’ingiustizia.

Il contributo di noi cristiani per cambiare la storia

E il Papa ringrazia i cristiani sudsudanesi di essere “sale della terra in questo Paese”, e li invita, quando si sentono “piccoli e impotenti” davanti a violenze e iniquità, a guardare il sale, “piccolo ingrediente” che nel piatto si scioglie, ma proprio così “dà sapore a tutto il contenuto”.

“Così, noi cristiani, pur essendo fragili e piccoli, anche quando le nostre forze ci paiono poca cosa di fronte alla grandezza dei problemi e alla furia cieca della violenza, possiamo offrire un contributo decisivo per cambiare la storia”

Un momento dell'omelia di Papa Francesco a Giuba
Un momento dell'omelia di Papa Francesco a Giuba

Mettiamo sulle ferite “il sale del perdono, che brucia ma guarisce”

Così noi discepoli di Cristo, chiarisce Francesco, “non possiamo tirarci indietro, perché senza quel poco, senza il nostro poco, tutto perde gusto”. E iniziamo da questo poco, “da ciò che non compare sui libri di storia ma cambia la storia”.

“Nel nome di Gesù, delle sue Beatitudini, deponiamo le armi dell’odio e della vendetta per imbracciare la preghiera e la carità; superiamo quelle antipatie e avversioni che, nel tempo, sono diventate croniche e rischiano di contrapporre le tribù e le etnie; impariamo a mettere sulle ferite il sale del perdono, che brucia ma guarisce”

Così “se il cuore sanguina per i torti ricevuti - è l’invito del Pontefice - rinunciamo una volta per tutte a rispondere al male con il male, e staremo bene dentro”. Amiamoci con sincerità e generosità, come Dio fa con noi, e “custodiamo il bene che siamo, non lasciamoci corrompere dal male!”.

Illuminiamo con la nostra vita le città che abitiamo

Passando alla seconda immagine usata da Gesù, la luce, Papa Francesco sottolinea che “noi, accogliendo la luce di Cristo, la luce che è Cristo, diventiamo luminosi, irradiamo la luce di Dio!”. Ma Gesù chiede anche che la nostra luce non sia messa “sotto il moggio”, che finiva per estinguere la fiamma della lampada. Noi, suoi discepoli “siamo chiamati a splendere come una città posta in alto, come un lucerniere la cui fiamma non deve essere spenta”.

Prima di preoccuparci delle tenebre che ci circondano, prima di sperare che qualcosa attorno si rischiari, siamo tenuti a brillare, a illuminare con la nostra vita e con le nostre opere le città, i villaggi e i luoghi che abitiamo, le persone che frequentiamo, le attività che portiamo avanti.

Fedeli alla Messa del Papa a Giuba
Fedeli alla Messa del Papa a Giuba

Comunità cristiane luminose per un futuro riconciliato

Tutti, ricorda il Papa “devono poter vedere le nostre opere buone” perché vedendole, ci ricorda Gesù, “si apriranno con stupore a Dio e gli daranno gloria”. Cristo ci chiede “di ardere d’amore: non accada che la nostra luce si spenga, che dalla nostra vita scompaia l’ossigeno della carità, che le opere del male tolgano aria pura alla nostra testimonianza”. Il Sud Sudan, conclude il Pontefice, “terra, bellissima e martoriata, ha bisogno della luce che ciascuno di voi ha, o meglio, della luce che ognuno di voi è!”

“Vi auguro di essere sale che si sparge e si scioglie con generosità per insaporire il Sud Sudan con il gusto fraterno del Vangelo; di essere comunità cristiane luminose che, come città poste in alto, gettino una luce di bene su tutti e mostrino che è bello e possibile vivere la gratuità, avere speranza, costruire tutti insieme un futuro riconciliato”

Preghiere per i governanti, “generosi nella responsabilità”

Nelle preghiere dei fedeli, lette in arabo, dinka, bari, nuer e zande, si invoca l’aiuto del Signore nell’impegno per la costruzione di comunità pacifiche e perché “i governanti siano generosi nell’affrontare le sfide dell’accoglienza, della credibilità e della responsabilità”. Al termine della celebrazione, l’arcivescovo di Giuba, Stephen Ameyu Martin Mulla, ringrazia Papa Francesco per aver preso la coraggiosa decisione di visitare il Sud Sudan che soffre “a causa delle conseguenze della guerra civile”. Una visita che è “un segno di solidarietà nei nostri confronti” e dimostra “il desiderio di riportare la tranquillità nel Paese”.

Il saluto al Papa dell'arcivescovo di Giuba Mulla
Il saluto al Papa dell'arcivescovo di Giuba Mulla

L’ arcivescovo Mulla: “lentezza scoraggiante” del processo di pace

L’ arcivescovo Mulla sottolinea che tra gli scopi del viaggio c’è quello di “esortare i nostri leader politici ad operare per la pace e per il bene comune del Sudan e del Sud Sudan”. E ricorda i ripetuto appelli del Papa alla riconciliazione, il ritiro spirituale dei leader sud sudanesi in Vaticano, nell'aprile 2019, nel quale li ha esortati “a rafforzare il fragile processo di pace del Paese” e si è “persino inginocchiato per baciare i loro piedi come simbolo di umiltà e servizio all'umanità”. Tuttavia, lamenta, “la lentezza del processo di pace è scoraggiante”. La guerra, ricorda e denuncia l’arcivescovo di Giuba, “ha portato distruzione indiscriminata: di vite umane e di beni come case e bestiame", ma anche "saccheggi, stupri, deterioramento economico, lo sfollamento di molte persone e un flusso di rifugiati nei Paesi vicini”. Ma nonostante questo, sottolinea monsignor Mulla, “la Chiesa in Sudan e Sud Sudan è cresciuta” e ha potuto celebrare cento anni di fede. Ha prodotto due santi: Daniele Comboni e Giuseppina Bakhita, e “la Chiesa locale ha testimoniato la fede attraverso il martirio”

“Abbiamo bisogno della pace di Gesù, guidata da verità e amore”

Mulla ricorda i martiri della prima guerra, conosciuta come "Anyanya One", dal 1956 al 1972, William Deng, padre Saturlino Ohure e padre Leopoldo Anyuar. E quelli dell'attuale guerra civile: suor Veronika Teresa Rackova, una religiosa medico slovacca, uccisa il 16 maggio 2016 mentre era in servizio nella Diocesi cattolica di Yei, e suor Mary Abbud e suor Regina Roba, della Congregazione locale del Sacro Cuore di Gesù, uccise il 16 agosto 2021, mentre tornavano dalla celebrazione del centenario della parrocchia di Nostra Signora dell'Assunzione a Loa, nella Diocesi cattolica di Torit. E conclude sottolineando che la pace di cui il Sud Sudan ha tanto bisogno “non è puramente umana, basata su interessi personali, ma piuttosto la pace di Gesù”, guidata “dalla verità e dall'amore”.

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I momenti della Messa nel mausoleo "John Garang" a Giuba
05 febbraio 2023, 09:25