Silvia Romano abraccia la madre al suo arrivo all'aeroporto di Ciampino Silvia Romano abraccia la madre al suo arrivo all'aeroporto di Ciampino 

Liberazione Silvia Romano: si indaga sull’eventuale riscatto e sui gruppi somali

“Cambiavamo covo ogni tre mesi”, riferisce la giovane italiana al colloquio con i pm. Si complica il prezioso ruolo di cooperanti e volontari in alcune zone dell’Africa

Marco Guerra – Città del Vaticano

Grande gioia e soddisfazione in Italia per la liberazione di Silvia Romano, la giovane cooperante rapita 18 mesi fa in un villaggio del Kenya e rilasciata sabato, dopo un’operazione di intelligence, in una zona nei pressi di Mogadiscio, capitale della Somalia.

Accolta dai suoi cari

“Sto bene fisicamente e mentalmente. Ora voglio solo stare un po' di tempo con la mia famiglia. Sono felicissima, dopo tanto tempo, di essere tornata". Sono le prime parole pronunciate dalla giovane cooperante al suo arrivo, ieri, in Italia, accolta dai familiari e dal premier Giuseppe Conte all’aeroporto romano di Roma Ciampino. La 24enne è scesa dell'aereo con indosso la tipica veste verde delle donne somale e ha raccontato di essersi convertita all’Islam nel corso della reclusione.

Portata in Somalia dopo il sequestro

Nel pomeriggio la Romano è stata subito ascoltata nella caserma dei carabinieri del Ros alla presenza del Pm indaga sul caso e che intende chiarire le fasi del rapimento e del rilascio e l’ipotesi del pagamento di un riscatto. Sembra che la prima fase del sequestro sia stata gestita da una banda locale kenyota che poi avrebbe ceduto la ragazza a gruppi islamisti legati a Al Shabaab in Somalia. Dopo il sequestro in Kenya “ho impiegato quattro settimane per arrivare in Somalia. Un viaggio avvenuto in moto, a piedi e con altri mezzi”, è quanto avrebbe raccontato la Romano agli inquirenti. “Ogni due o tre mesi cambiavo covo”, ha aggiunto, “con i rapitori, che non ho mai visto in faccia, perché avevano il volto coperto”.

La sicurezza dei cooperanti

I gruppi radicali somali continuano ad imperversare anche oltre il confine con il Kenya, numerosi sono stati infatti i sanguinosi attacchi e attentati compiuti negli ultimi 10 anni dagli Shabaab. La comunità internazionale torna ora ad interrogarsi sul difficile ma importantissimo ruolo dei cooperanti in alcune zone dell’Africa e sulle modalità per operare in sicurezza nei progetti di sviluppo nelle aree più remote.

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11 maggio 2020, 08:37