Un momento delle proteste di piazza a Quito Un momento delle proteste di piazza a Quito 

L’Ecuador tra tensione sociale latente e una legge finanziaria da votare

Dopo i difficili giorni di ottobre e la bocciatura nei giorni scorsi della finanziaria, l’Ecuador vive una fase di attesa per i prossimi sviluppi che potrebbero significare elezioni anticipate. La tensione sociale sfociata in 12 difficili giorni di sciopero generale è viva come sono vive le rivendicazioni di maggiore equità sociale. Intervista a Paolo Valvo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il fattore scatenante delle proteste in Ecuador è stato l’annuncio da parte del presidente Lenin Moreno, il primo ottobre scorso, delle nuove misure volute per dare una spinta all’economia. In realtà hanno scatenato  12 giorni di sciopero generale e di disordini, con epicentri  a Quito e Guayaquil.  Al centro della contestazione, l’aumento del costo del carburante e in particolare del diesel e della benzina “extra”, la più utilizzata nel Paese. L’aumento era dovuto all’eliminazione dei sussidi statali al prezzo del combustibile, misura in vigore dagli anni Settanta.  Il bilancio degli avvenimenti, riasunti nell’espressione gasolinazo, è stato disastroso: otto morti, circa 1.300 feriti, più di mille arresti e milioni di dollari di perdita economica e danni. Un accordo per la fine delle manifestazioni di piazza è arrivato nella notte del 13 ottobre. Poi, domenica 17 novembre, il governo dell’Ecuador ha provato a far approvare un’altra legge economica che però non è stata approvata in Parlamento, bensí negata e archiviata. Una sconfitta importante che non può restare senza conseguenze. L’appuntamento con le elezioni è fissato al 2021, ma si profila l’ipotesi  del voto anticipato.  Ne abbiamo parlato con Paolo Valvo, docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano:

Ascolta l'intervista con Paolo Valvo

R. - Questo è uno degli scenari che viene ritenuto più probabile. Il governo di Lenin Moreno si trova in una situazione difficile. Ricordiamo che le proteste, soprattutto quelle particolarmente violente del mese di ottobre, che hanno messo a ferro e fuoco l’Ecuador, nascono dalla decisione del governo di togliere alcuni sussidi statali al prezzo del combustibile che erano in vigore dagli Anni 70. Quindi, da 40 anni sostanzialmente la benzina veniva acquistata a prezzo agevolato. Questi sussidi, gradualmente hanno iniziato ad essere tolti dal 2015 – quindi già con il governo di Rafael Correa – e progressivamente per alcune categorie di benzine e di utenti, per cui c’era una discriminazione tra utenti privati ed imprese. A ottobre il progetto era quello di togliere tutti i sussidi a tutti i tipi di benzina, anche alla benzina “extra”, quella più usata nel Paese, per un motivo molto semplice: l’Ecuador a fronte di un debito pubblico oramai insostenibile e a un rallentamento molto grave dell’economia, a partire dalla fine del 2017, è dovuto ricorrere al Fondo Monetario Internazionale per aver dei prestiti, che ha ottenuto per un ammontare di oltre dieci miliardi di dollari. Il prezzo da pagare però, come sempre succede in questi casi, è la politica di austerità. Ora il governo si trova in una posizione molto delicata, perché all’interno ha un’opposizione che sicuramente si alimenta anche della tradizionale dialettica politica - tra i protagonisti della protesta, non a caso, c’è proprio l’ex presidente Rafael Correa che con il suo movimento “Révolution Ciudadana” ha animato molto le proteste di questi giorni - però, abbiamo anche l’emergere di una protesta a forte connotazione indigena. E   questo è un dato fondamentale che lega l’Ecuador ad altri Paesi, come ad esempio il Perù. C’è questa organizzazione, la “Conaie”, che letteralmente è la sigla che sta per Confederazione delle Popolazioni Indigene dell’Ecuador, che è stata uno dei leader di questa protesta e protagonista del negoziato che a metà ottobre ha permesso di interrompere le proteste e di ottenere da parte di Lenin Moreno un passo indietro rispetto a questa misura prevista.

In Ecuador c’è una fortissima componente indigena, anche se il tema della povertà è trasversale…

R. - C’è una protesta trasversale. Dire che c’è uno spiccato protagonismo indigeno non significa che questi siano i soli a protestare. Chiaramente il taglio dei sussidi alla benzina ha colpito molte categorie; sicuramente gli indigeni, ma anche i lavoratori agricoli, i sindacati dei trasporti, ci sono stati anche molto studenti. Poi, chiaramente queste proteste danno anche il “la” ad una contestazione nei confronti del sistema generale. Quindi come si diceva prima, ci sono micce, ci sono singoli episodi sicuramente molto gravi in sé, che però in qualche modo danno la stura ad un malcontento diffuso, che   affonda le proprie radici in dinamiche socio-economiche di più lungo periodo, di più ampia portata. 

Poi, appunto, il lato che è stato rilevato da molti, è che questa protesta in Ecuador, ha visto, in una maniera mai vista rispetto a prima, questo protagonismo da parte delle organizzazioni indigene, che hanno mostrato una capacità inaspettata anche di organizzarsi e quindi di essere in qualche modo alla guida di questo processo. Ora la posizione del governo è estremante fragile, perché chiaramente il tema delle politiche di austerità rimane; è venuta meno la questione dei sussidi, ma in qualche modo, da qualche altra parte bisognerà tagliare. L’aumento dell’Iva, l’imposta sul valore aggiunto al dieci percento che era stata originariamente prevista, attualmente sembra impensabile, perché farebbe ripartire automaticamente lo stesso tipo di protesta. Allo stesso tempo però qualsiasi passo, qualsiasi negoziato tra il governo e le grandi organizzazioni internazionali rischia di essere letto da parte di un’opposizione così trasversale, ma anche così radicata come una sorta di tradimento. Quindi la prospettiva di elezione anticipata a questo punto potrebbe essere uno scenario altamente probabile.



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26 novembre 2019, 13:52