La tomba di Don Puglisi nella cattedrale di Palermo La tomba di Don Puglisi nella cattedrale di Palermo

Il ricordo di Don Puglisi e della sua azione ispirata dallo Spirito Santo

Ricorre oggi l’anniversario della morte del parroco del quartiere palermitano Brancaccio, ucciso dalla mafia 28 anni fa. Maurizio Artale del Centro Padre Nostro: “La sua presenza continua a dare frutti”

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Arrivando dalla A19, la Palermo-Catania, seguendo il cartello ‘Brancaccio, quartiere di Padre Puglisi’, una strada a doppia corsia condurrebbe al futuro polo parrocchiale e poi nel cuore di quel quartiere indissolubilmente legato alla memoria di quel coraggioso sacerdote che, il 15 settembre di 28 anni fa, era il 1993, veniva ucciso da un sicario mafioso. Lo accolse con un semplice “sì me l’aspettavo”, e con un sorriso che, anni dopo, portò al pentimento dei suoi stessi killer che iniziarono a pregare per lui. Ma tutto questo ancora non esiste, manca la costruzione di una piazza, il progetto definitivo c’è, ma non è stato ancora approvato dal Comune di Palermo, è fermo su un tavolo, così come tanti altri.

I frutti dell’azione di don Puglisi

La speranza però è quella di poterla presto consegnare, questa piazza, agli abitanti di Brancaccio che il 16 settembre – nell’ambito di questi giorni di celebrazione dell’anniversario, dal 13 settembre al 2 ottobre – si vedranno restituire uno spazio importante, per tanti anni adibito a discarica abusiva che ora, riqualificato, viene donato soprattutto ai ragazzi e ai bambini. E pensare che fino a poco tempo fa “ci si faceva la ‘vampa di San Giuseppe’”, antica tradizione che nel tempo ha visto sostituire la legna da ardere da copertoni e materassi, ricorda Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro, fondato nel 1991 da Puglisi, che voleva regalare ai giovani un luogo in cui crescere lontani dalla strada dove la mafia recluta i piccoli come manovalanza. “La presenza di Puglisi nel territorio continua a dare i suoi frutti” dice Artale, che spiega l’importanza della restituzione di questo terreno,“perché è nel cuore di Brancaccio. Prima ci si si sentiva a Beirut, in una landa desolata, abbandonata. Ed era il primo spazio che Puglisi utilizzò quando arrivò a Brancaccio per familiarizzare con i bambini del quartiere. Oggi lo siamo restituendo a quel vecchio splendore che era una volta”. Quel quartiere, sempre stato bastione di Cosa Nostra, dove irruppero il Vangelo e la missione di don Puglisi.

Ascolta l'intervista con Maurizio Artale

L’omaggio di Francesco al Beato Pino

Diceva don Pino che se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto, e in 28 anni il cambiamento c’è stato, grazie a questo presbitero che, come un pungolo, stimolò tutte le istituzioni, dagli enti locali fino allo Stato, a fare la loro parte. “Ed è questo che purtroppo ci addolora – è l’amaro commento di Artale – perché abbiamo sempre pensato che quello che abbiamo realizzato lo abbiamo fatto quasi da soli. Che cosa sarebbe stato Brancaccio, che cosa sarebbe stata Palermo, se invece ci fosse stato un piano organico di sviluppo?”. Questo piano ad oggi non c’è, ma quella Brancaccio un tempo immaginata solo da Puglisi comunque è nata, grazie al sacrificio di quest’uomo, beatificato il 25 maggio del 2013, nel Foro Italico di Palermo, prima vittima di mafia riconosciuta come martire della Chiesa, al quale Papa Francesco, nella sua visita a Palermo del 2018, rese omaggio in una messa, a 25 anni dall’assassinio, quando disse  che “Chi è mafioso non vive da cristiano perché bestemmia con la vita il nome di Dio”, e richiamando all’esempio di don Puglisi che non “viveva di appelli anti-mafia, ma seminava bene, tanto bene”. 

In lui l’azione edificante dello Spirito Santo

“I parrocchiani – continua Artale – gli chiedevano: ‘Puglisi ma tutte ste cose dobbiamo realizzarle noi? E lui rispondeva: per ora andiamo noi, affinché il nostro agire diventi protesta’. Lui non si è mai incatenato, non ha mai fatto lo sciopero della fame, lui ha fatto, lui era uno dell'azione, quell’azione edificante dello Spirito Santo che lui in qualche modo riusciva a prendere dalla Santa Trinità e trasferiva al popolo. Lo faceva attraverso i servizi sociali, attraverso la vicinanza ai poveri, lui ha aperto le strade ad un tipo diverso di azione pastorale e per questo la mafia lo ha ucciso. Se lui avesse semplicemente celebrato messa, battesimo, comunione ed estrema unzione, non l'avrebbero ammazzato”. 

 

I ragazzi e la mafia

È l’asilo nido l’altro grande successo, dovrebbe nascere presto, su di un terreno che prima veniva vandalizzato e devastato, ma che oggi, invece, gli abitanti curano, in attesa dell’inizio dei lavori. “La gente aspetta, ma prima di arrivare a questo punto, là ci dava contro. Tagliavano i catenacci, rompevano le catene, i cancelli, era uno spazio diventato discarica pubblica. Ma quando tu queste persone le chiami, le riunisci e spieghi loro le cose, comprendono, se si parla con un linguaggio adeguato. Quindi, la gente cambia, però si aspetta qualche cosa dalle istituzioni, loro vedono i sacrifici che facciamo noi, vogliono vedere una contropartita, che però molte volte non c’è”. Ma cosa ne è oggi di quei giovani che sono sempre stati nel cuore di Puglisi? Cosa è accaduto loro, soprattutto in questi mesi di pandemia, senza poter lavorare, senza denaro da poter portare alle famiglie? Gli spazi vuoti non esistono, si sa che la mafia si è sempre inserita laddove non arriva lo Stato, per manipolare e reclutare giovani.  In questo periodo di chiusure, il Centro è rimasto sempre aperto, riuscendo a distribuire alle famiglie beni primari, come alimenti e farmaci. “Avere distribuito tutte queste derrate alimentari li ha frenati, in qualche modo, quindi diciamo che non c'è stata questa invasione a gamba tesa delle organizzazioni criminali e della mafia che si sostituiscono alle istituzioni. Di contro, però, abbiamo un sistema scolastico che non funziona, che lascia per strada bambini e ragazzi, fagocitati dalla mafia. E io me li ritrovo agli angoli del quartiere a spacciare droga. Noi non abbiamo questa grande capacità attrattiva di trattenere tutti, noi facciamo quello che possiamo fare”. 

 

Il suo “sì, me l’aspettavo”

Brancaccio deve diventare il paradigma del cambiamento, Artale è determinato. Il progetto Brancaccio 2.0 è stato presentato, sebbene non si sappia bene che fine abbia fatto, ma si va avanti, da “artigiani dell’intervento sociale, come era Puglisi. Lui era un sacerdote del Signore, che sapeva che doveva intervenire piano piano, perché i cambiamenti non si fanno dall'oggi al domani. Lui aveva quella pazienza, ecco, direi di buon padre di famiglia, di buon prete, che gli ha fatto dire quel sì, me l’aspettavo”.

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15 settembre 2021, 12:37