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India, Machado: non è libertà religiosa imporre restrizioni

Riflessione dell’arcivescovo indiano Felix Anthony Machado sulla legge adottata nello Stato dell’Himachal Pradesh, che inasprisce le pene contro le cosiddette “conversioni forzate”. Spesso, riferisce, i cristiani sono accusati ingiustamente di compiere buone azioni con l’intenzione di “condurre la povera gente” alla nostra religione, ma la Chiesa - come sottolineato da Benedetto XVI e Francesco - cresce non per proselitismo bensì per attrazione

Giada Aquilino - Città del Vaticano

È una “ironia” che un provvedimento “restrittivo” come quello appena adottato nello Stato dell’Himachal Pradesh, nel nord dell’India, venga inquadrato come “una legge sulla libertà religiosa”. A parlare con Vatican News è monsignor Felix Anthony Machado, arcivescovo di Vasai, una sessantina di chilometri da Mumbai, riferendosi alla recente legge che inasprisce le pene già in vigore dal 2006 contro le cosiddette “conversioni forzate”. “Non è libertà religiosa imporre restrizioni”, spiega il presule da sempre impegnato nel dialogo interreligioso in India e non solo (Ascolta l'intervista a monsignor Machado).

La legge dell’Himachal Pradesh

Secondo i promotori, i nazionalisti indù del Bharatiya Janata Party, il testo passato a livello locale il 30 agosto scorso ha lo scopo di evitare conversioni attuate con forza, condizionamento o mezzi considerati fraudolenti, ha spiegato AsiaNews. Le pene vanno da un minimo di un anno a un massimo di cinque e fino a sette anni con l’aggravante della conversione di dalit, donne e minori. La norma impone che la volontà di conversione sia dichiarata con un mese di anticipo, sia dalla persona che vuole cambiare religione sia dal ministro di culto, con una lettera inviata al magistrato distrettuale. Al contrario, chiunque voglia ritornare alla “religione dei padri” non ha alcun obbligo.

Limiti alle conversioni

“Da tempo, anche quando al governo c’era il Partito del Congresso, hanno adottato questa legge ma - racconta monsignor Machado - non per tutta l’India, solo per 6-7 Stati, sempre nel contesto della libertà religiosa: adesso si vogliono porre ancora più rigidamente dei limiti, per evitare che non ci siano conversioni”. A rischiare maggiormente “siamo noi cristiani”, aggiunge, anche perché “nell’Himachal Pradesh ci sono nuovi cristiani e sono in aumento”, in un Paese in cui l’induismo è la prima religione con più di 966,3 milioni di seguaci, cioè il 79,8% dei cittadini (su una popolazione totale di 1,4 miliardi di abitanti), mentre i cristiani non arrivano al 3%, con circa 27,8 milioni, e i musulmani rappresentano il 14,2%, cioè 172,2 milioni di fedeli.

Le accuse di conversioni forzate

Purtroppo, prosegue l’arcivescovo di Vasai, è diffusa la percezione secondo cui “i missionari lavorano e la Chiesa cattolica è presente solo per fare conversioni, forzando la gente, si dice”. A luglio nello Stato settentrionale del Rajasthan un parlamentare aveva ingiustamente accusato dei missionari locali di offrire denaro alla povera gente in cambio della conversione, affermazioni del tutto infondate come poi spiegato dal Global Council of Indian Christians.

La Chiesa cresce per attrazione

“Adesso - sottolinea il presule - dobbiamo chiedere, come ho detto molte volte in passato ad alcuni politici, di dimostrare” con delle prove le accuse di conversioni “contro la libertà della persona”. Certo, ammette, “in generale è molto difficile quando ci dicono: tutto ciò che voi fate, anche la carità e le buone azioni, lo fate con interesse per condurre la povera gente alla vostra religione”. L’obiettivo è quello di riaffermare, ribadisce con forza monsignor Machado, che “noi non siamo qui per fare questo: è Dio che attira la persona”, evocando gli insegnamenti di Benedetto XVI prima e Papa Francesco poi: “La Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione”. “Questo messaggio - evidenzia - deve essere molto chiaro per noi. Continuiamo a dialogare, per capirci l’un l’altro, perché siamo in fondo fratelli e sorelle”.

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05 settembre 2019, 13:47