Monsignor Adriano Ciocca Vasino al Sinodo Monsignor Adriano Ciocca Vasino al Sinodo 

Sinodo. Ciocca Vasino: in Amazzonia 'decolonizziamo' la nostra presenza

Secondo monsignor Adriano Ciocca Vasino, vescovo prelato di São Félix do Araguaia, in Brasile, le popolazioni amazzoniche devono vivere la fede a partire dalla loro cultura. Nell'intervista a Radio Vaticana, il presule descrive la condizione di vita degli indigeni e le questioni più importanti che coinvolgono l'immensa regione e che sfidano anche la Chiesa

Fabio Colagrande - Città del Vaticano

Monsignor Adriano Ciocca Vasino, originario di Borgosesia, in Piemonte, è da quarant’anni in Brasile. Trentatré li ha trascorsi prestando servizio pastorale nel Nord Est del Paese, una zona semi arida. Da sette anni è invece in Amazzonia, nella prelatura di São Félix do Araguaia ed è quindi tra i partecipanti di diritto al Sinodo per questa regione. A lui abbiamo voluto chiedere  le ragioni, a suo parere, di questo Sinodo sull'Amazzonia: 

R. - Considerando ciò che il Papa scrive nella Laudato si’ e l’emergenza climatica che stiamo attraversando, penso che l’Amazzonia sia stata scelta come simbolo di uno sforzo che non solo la Chiesa, ma tutti gli uomini di buona volontà nel mondo dovrebbero fare per poter garantire le condizioni di vita per l’umanità su tutto il pianeta. E noi come Chiesa dobbiamo assumere questo impegno a partire dalla nostra fede, visto che siamo discepoli di un Dio che si presenta come ‘la Vita’. Penso sia molto importante che la Chiesa sia all’avanguardia in questo sforzo per superare l’emergenza climatica.

Quali sono le emergenze pastorali della sua diocesi, nello stato del Mato Grosso?

R. - La nostra è considerata una zona della frontiera agricola, cioè dell’espansione dell’agroindustria, soprattutto della soia, del granturco e ora del cotone. Quindi il problema pastorale più grande è la continua alternanza, il continuo cambiamento delle persone. Chi viene da noi arriva per arricchirsi, per fare soldi, e poi si trasferisce altrove. Tutto ciò pregiudica molto il nostro lavoro di evangelizzazione, considerando che c’è quindi una continua variazione anche degli operatori pastorali. Ma il problema maggiore è l’attività agroindustriale che non è svolta a norma di legge. C’è un po’ di tutto: chi rispetta la legge e chi fa commercio di veleni; chi usa la terra in maniera impropria e distrugge le sorgenti per incrementare le coltivazioni. Anche l’uso di veleni, i cosiddetti agro-tossici, nell’agricoltura è un fenomeno preoccupante, perché i casi di cancro e allergie sono molto diffusi.

Ascolta l'intervista a monsignor Adriano Ciocca Vasino

Ci sono fenomeni di sfruttamento dei lavoratori?

R. - Sì, ci sono stati vari casi, negli anni passati, di riscatto di lavoratori che si trovavano in condizioni di schiavitù. Questo fenomeno è però recentemente molto diminuito nelle grandi ‘fazendas’, perché, almeno negli ultimi anni, c’è stato un controllo governativo che ha inibito il verificarsi di questi casi. Ma non possiamo dire che sia scomparso del tutto.

E qual è la condizione dei popoli indigeni?

R. - Per loro, il vero problema è la sottrazione delle terre. Alcune sono invase, alcune non sono demarcate e altre si trovano in condizioni di grande degrado.

Perché il Sinodo affronta il tema di nuove forme di presenza della Chiesa fra i popoli amazzonici?

R. - Se vogliamo come Chiesa essere in Amazzonia e far sì che queste popolazioni vivano la fede a partire dalla loro cultura, dalla loro percezione della realtà, è necessario ci sia una ‘decolonizzazione’ della nostra presenza. Dobbiamo essere una Chiesa sempre meno specchio di quella europea e sempre più espressione delle culture della sensibilità e della spiritualità di quei popoli. Convertita, chiaramente, dalla presenza della fede in Cristo.

Quali aspettative ha nei confronti di questo Sinodo?

R. - Non credo ci saranno grandi cambiamenti immediati. Ma quello che conta è che questo Sinodo possa avviare dei processi, dei cammini per una Chiesa che sia capace di inserire l’ecologia integrale in modo organico nella sua teologia. Serve una teologia morale che contempli anche i peccati di aggressione alla natura. Un’antropologia teologica che guardi all’uomo connesso con la sua realtà materiale. Un’esegesi che faccia risaltare di più quella parte della Bibbia in cui si parla di rispetto, contemplazione e cura della natura. Se la Chiesa riesce a fare questo sforzo per far sì che la cura del Creato entri a far parte del discorso teologico sarà un gran passo avanti. E poi, sarebbe importante che noi come Chiesa ci disponessimo ad affrontare il neoliberismo economico proponendo un’alternativa, che è quella che ci suggerisce il Papa. Passare da un sistema che sfrutta la natura a un sistema di sobrietà, cura amorosa dell’ambiente e condivisione.
 

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11 ottobre 2019, 16:12