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Yes to Life: prendersi cura della vita nascente

Si è aperto ieri a Roma il Convegno internazionale sulla medicina perinatale e l’accompagnamento pastorale delle famiglie che aspettano bambini con delle fragilità. Obiettivo dell’iniziativa è offrire un momento significativo di formazione e informazione scientifica e pastorale per promuovere una cultura autenticamente accogliente della vita nascente

Marco Guerra – Città del Vaticano

"Yes to Life! Prendersi cura del prezioso dono della vita nella fragilità", è tema del Convegno internazionale promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, in collaborazione con la Fondazione “Il Cuore in una Goccia” e con il sostegno dei Cavalieri Di Colombo, che ha preso il via oggi presso il Centro Congressi Augustinianum e si concluderà sabato 25 maggio.

400 esperti da 70 Paesi

Circa 400 persone tra medici, chirurghi, ginecologi, genetisti, bioeticisti e i rappresentanti, laici e religiosi, di 70 Conferenze episcopali si confrontano sul tema della difesa della vita umana nascente in condizioni di estrema fragilità. L’obiettivo è quello di proporre modelli realistici e replicabili di accompagnamento medico, ma soprattutto pastorale, realizzabili fin dal concepimento, e di mostrare una Chiesa prossima a quelle famiglie a cui troppo spesso viene proposta come unica alternativa l’aborto.

Cure perinatali alternativa all’aborto

L’evento vuole dare voce alla cultura della speranza alimentata dai progressi della medicina, con particolare attenzione al campo delle cure perinatali, come alternativa al cultura selettiva eugenetica che spesso prende il sopravvento nell’ambito della diagnostica perinatale. Per questo si attinge all’insegnamento di Papa Francesco che ha affermato che in ogni situazione la vita è un dono e un’“opportunità per crescere nell'amore, nell'aiuto reciproco e nell'unità” (Amoris Laetitia, 47).

Nuove opportunità di assistenza

Cura e accompagnamento diventano dunque i due cardini di questo impegno in favore della vita. Infatti se da una parte viene sottolineato che anche quando la vita che sta per nascere è estremamente fragile, la medicina perinatale offre oggi straordinarie opportunità di assistenza, dall’altra si ribadisce la necessità di non lasciare sole le famiglie che vivono un momento così delicato; per questo è necessario che gli operatori pastorali si rendano prossimi, offrendo, al tempo stesso, il conforto spirituale necessario nel dolore, dinanzi a coppie e famiglie che vivono l’esperienza della nascita di un figlio affetto da gravi patologie o disabilità.

Card. Farrel: serve azione pastorale

Nella sua introduzione ai lavori, il Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, card. Kevin Farrel, ha spiegato che “ciò che a livello accademico viene approfondito e diffuso sul piano culturale mancava, finora, di una efficace azione pastorale, in grado di incidere in maniera sistematica e concreta sulla pastorale della Chiesa, attraverso modelli e iniziative pratiche riproducibili in tutto il mondo”.

Missione ecclesiale a tutela della vita

“Insieme abbiamo cercato di immaginare  - ha proseguito il porporato - come proporre modelli di accompagnamento medici, spirituali e testimoniali fin dal primo istante del concepimento, perché la Chiesa possa imparare a farsi prossima delle famiglie, che troppo spesso vengono poste di fronte all’unica alternativa dell’aborto”. In conclusione il Prefetto ha poi ribadito che l’intento è fare in modo che “famiglie e professionisti sanitari, volontari ed operatori pastorali possano collaborare ad una vera e propria “missione” ecclesiale a tutela della vita umana nascente in condizioni di fragilità”.

Gambino: puntare sulla formazione culturale

L’evento è proseguito con l’intervento del sottosegretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, prof.ssa Gabriella Gambino, sul tema “Ri-umanizzare la diagnosi: dalla cultura selettiva alla cultura della vita”. In un’intervista a VaticanNews ha evidenziato l’importanza di una nuova formazione culturale:

Ascolta l'intervista alla prof.ssa Gambino

R. – Il Santo Padre ci chiede questo ci sollecita ad essere vicini alla vita. Dunque il momento iniziale della vita umana è il momento centrale per tutti noi ed è da lì che si misura la nostra capacità di difendere la vita e di amare. È fondamentale per noi oggi, saper stare accanto alle famiglie che mettono al mondo i bambini. La generazione dalla vita umana continuerà sempre ad essere il modo in cui verremo al mondo. È un momento focale su cui la nostra società si deve centrare. È importantissimo per questo fare una cultura corretta, fare un’autentica informazione non solo scientifica, ma anche umana, facendo capire che al centro ci sono i nostri figli. La formazione è molto importante a livello culturale; quella dei medici, quella delle donne, delle famiglie, quella a livello universitario e scolastico dei nostri giovani.

È importante perché la scienza adesso ha anche i mezzi, la tecnica per intervenire. C’è però ancora un blocco culturale che porta a non sottovalutare queste evoluzioni della scienza, quindi è importante arrivare a tutti, agli studenti, ai medici e anche alle famiglie che vanno incontro a gravidanze difficili …

R. - Sì, è molto importante. Noi come Chiesa desideriamo fare proprio questo; il nostro tentativo è oggi è proprio quello di provare ad aiutare la cultura a fare un salto dalla parte della vita, per metterci accanto alla vita umana e accompagnarla.

Quindi la cultura della cura è sempre vincente?

R. - Sì, ci sono le modalità per farlo. C’è la possibilità di fare rete, di fare informazione - come dicevo prima -; c’è la possibilità di diffondere delle modalità per stare davvero accanto alla vita nascente. Ciò che desideriamo fare è rendere possibile tutto questo, creando rete a livello medico – dunque scientifico -, a livello culturale, a livello testimoniale tra le famiglie e anche a livello spirituale.

Noia: le cure offrono nuove speranze

La prima mattinata di questa tre giorni si è conclusa con il prezioso intervento del prof. Giuseppe Noia, direttore dell’Hospice perinatale del Policlinico Universitario Gemelli, il quale ha illustrato gli ultimi risultati raggiunti in materia di terapie fetali. Cure che aprono nuovi orizzonti di speranza come ha ribadito al microfono di VaticanNews:

Ascolta l'intervista al prof. Noia

R. – Difatti stamattina ho detto che non parleremo di terminalità della vita, pur essendoci molti bambini in condizioni genetiche che sono precostituite. Ma parleremo di speranza, perché, come abbiamo lanciato nel messaggio per questo evento internazionale, la scienza può abbracciare la tenerezza, perché questa separazione, di una neutralità dinanzi all’evento di sofferenza di una coppia, deve essere sanata. Noi da 40 anni cerchiamo di dire, con 400 pubblicazioni, che la diagnosi prenatale va sempre più verso l’eugenismo. Il 92 percento dei bambini down viene indotto ad essere “terminato”, come si dice in inglese, ad essere abortito. Perché questo quando la ricchezza di tanti bambini con disabilità arricchisce l’umanità, non toglie! Il problema è la sofferenza: noi dobbiamo aiutare le famiglie ed il mondo a capire che questo dolore può essere spezzato, diluito, quando c’è una solidarietà di cammino, scientifico e umano, come fa l’Hospice perinatale. Allora le famiglie si sentono incoraggiate. Perché le famiglie, dopo aver girato tanti colleghi, vengono da noi? Eppure sanno che noi siamo contro l’aborto; però vogliono un’altra informazione, perché hanno saputo che l’informazione scientifica è a 360 gradi, e magari in altre parti non lo è. Perché la famiglia, sì, ha bisogno di una consulenza scientificamente corretta, ma ha bisogno anche di condivisione, di medicina condivisa: questo è quello che dobbiamo sforzarci di fare. E questa è la cultura dell’Hospice perinatale.

Lei ha portato molti esempi di bambini che prima venivano abortiti, e che, ad oggi, vengono curati e in molti casi anche guariti. Può farci alcuni esempi di qualche patologia?

R. – Le faccio solo tre o quattro esempi per farle capire. Intanto, ci sono i bambini scompensati, che soffrono di alterazioni del ritmo cardiaco; per frequenze che normalmente oscillano tra i 120 e i 160, questi bambini magari, a causa di un’alterazione della loro frequenza, arrivano fino a 250-260. Sono bambini ormai considerati perduti: io ho presentato sei casi in cui abbiamo fatto la cardio-versione materna. Abbiamo dato anti-aritmici alla madre, i quali sono passati attraverso la placenta al cuore del bambino ed in 10-15 giorni la frequenza del bambino è ritornata normale: sono tutti vivi in braccio alle loro mamme. Un altro esempio è quando, nella incompatibilità Rh, facciamo il prelievo di sangue e vediamo che ci sono delle anemie gravissime. In quei casi facciamo la trasfusione eco-guidata nel cordone e i bambini nascono normali. La sopravvivenza è cresciuta in 20 anni dal 40 all’88 percento. Poi ci sono le megavesciche, una malformazione urinaria dovuta a un’ostruzione dell’uretra. Quanti dicono che questa condizione ormai non è sanabile? Certo, è grave se si presenta nel primo trimestre, però noi abbiamo pubblicato uno studio sul Journal of Pediatric Urology, e abbiamo dimostrato che l’82 percento di questi bambini, curati pre-natalmente e post-natalmente, sono in braccio alle loro mamme. Un altro esempio: sei famiglie che avevano gemelli, uno patologico e uno normale. È stato proposto il fratricidio selettivo: hanno rifiutato, sono venuti da noi. Cosa fate? Abbiamo risposto che facciamo la palliazione, cerchiamo di non far sentire dolore al feto mentre li curiamo in utero, togliamo i liquidi dalla pancia, dalla vescica, dal torace: 37 interventi hanno prodotto dieci bambini vivi in braccio alle loro mamme. Spina bifida, ernie diaframmatiche, e così via: ci sono tante, tante finestre di speranza.

Eppure oggi tanti ginecologi e tanti medici propongono ancora l’aborto come soluzione: è una questione di ignoranza delle nuove tecniche o manca proprio anche quella sensibilità alla vita?

R. – Diciamo che è un insieme di cose. Molti non conoscono le storie naturali di questi bambini, per cui hanno paura che facendo una proposta di accompagnamento, poi succeda qualcosa che possa essere impugnato giuridicamente. E questa è la medicina difensiva. Ma soprattutto, alla base di tutto, c’è una mancanza di speranza nella scienza. Noi abbiamo fiducia nella scienza, che dà risposte di vita al posto di risposte di morte.

E questa due giorni serve proprio ad infondere speranza e conoscenza…

R. – Sì, e soprattutto l’informazione noi la facciamo diventare conoscenza, oltre che testimoniale ma soprattutto culturale. Dobbiamo diffondere queste idee: questo è un patrimonio culturale, scientifico, che appartiene a tutti, non solo ai cattolici, in maniera trasversale. Noi abbiamo curato tutti, non solo i cattolici. E questo è il modello importante: che nel mondo anche chi non crede può usufruire di questa scelta, di questo accompagnamento.

Ultimo aggiornamento 24.05.2019 ore 13.38

 

 

 

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23 maggio 2019, 14:57