#Synod2018. Una mattinata con i giovani

Corina e Gioele, Nicole e Yithzak e tutti gli altri. Tra un discorso in aula e una pizza, le ragazze e i ragazzi del Sinodo sono diventati amici. Tra noi, dicono, è nata una rete che resterà anche dopo

“Ma davvero sei cattolica? No, perché sei sempre così allegra…”. I bambini possono farti male, o molto bene, per quel loro difetto di dirti quello che pensano. Corina, messicana di Guadalajara, 25 anni, insegnante di canto, occhi scuri e simpatia da vendere, parla così, sin vergüenza, schietta come i suoi alunni. Racconta divertita questo aneddoto mentre fiancheggia svelta il Colonnato di San Pietro. Più avanti c’è una troupe televisiva che vuole intervistarla, l’ennesima attratta dalla “pasionaria del Sinodo” come l’hanno ribattezzata. “Io fino a 18 anni non credevo in Dio”, confida. “Durante una Settimana Santa mi hanno invitato a dare una mano per qualche iniziativa sociale, così mi avevano detto. Visto che so cantare mi hanno chiesto di farlo durante una celebrazione, la canzone si intitolava “Cara a cara” (“Faccia a faccia” - ndr). Non so cosa è successo lì davanti al Santissimo. Un’esplosione. Mi sono ritrovata a tu per tu davanti a Dio come dice il canto. È stato amore a prima vista e adesso mi sento dentro un fuoco che voglio comunicare a tutti”.

Le voci nuove

Corina ci regala l’evento che le ha ribaltato la vita con la stessa spiccia disinvoltura con cui va all’arrembaggio della giornalista e del cameraman in attesa. Manca poco alle 4 del pomeriggio e dietro la grande parete a vetri che introduce all’atrio dell’Aula Paolo VI entrano mischiati vescovi e ragazzi, talari e zaini, misurati saluti protocollari e allegre pacche sulle spalle, in quell’inedito impasto che il Sinodo ha creato all’ombra della Cupola. Francesco li guarda dalla sua poltrona bianca, sono raggruppati in alto a sinistra, in 36, ma non si sentono all’ultimo banco. Parlando con loro, la parola-ritornello è “gratitudine”. Sono riconoscenti al Papa di poter stare e parlare nell’aula dove si studia e ri-comprende la loro stessa esistenza di giovani, di giovani cristiani. Un’aula in cui siedono come uditori ma con tante cose da dire a una Chiesa che – lo ha riconosciuto Francesco – “è in debito di ascolto” ma che ora ha nel Sinodo l’occasione per cogliere da vicino i loro sogni e intrecciarli con la profezia del Vangelo.

Insieme in prima linea

Qualcuno come Safa Al Abbia è già tornato dalla mamma malata in Iraq, col regalo di una speciale benedizione di Francesco e la foto di un abbraccio che ha commosso tanti. Qualcun’altra come Nicole, 23.enne di Manila, conserva ancora nello sguardo da ragazzina un lampo di incredulità. Non aveva mai preso l’aereo, mai viaggiato fuori delle Filippine, la prima volta l’ha fatto per venire a stare col Papa e i vertici della Chiesa. “Mi piace il calore con cui ci hanno accolto”, dice col pudore tipico delle sue parti, mentre sbircia da due passi il viso di qualche “big” visto solo in tv. “Noi giovani lavoriamo per una Chiesa migliore, il Sinodo ci fa camminare insieme e non ci sentiamo messi da parte”, soggiunge Yithzak, giovane panamense, che ha rubato l’attenzione dei media quando ha regalato a Francesco la croce multicolore della prossima Gmg in uno di quei tanti momenti di festa spontanea nati nell’atrio dell’Aula Paolo VI, una sorta di terra di nessuno dove c’è un Papa che gira in mezzo agli altri e dove codici e riverenze rituali sembrano tacitamente annullati.


Il Sinodo “fuori”

Dopo venti giorni la stanchezza si fa sentire. Sessioni ordinarie, circoli minori, relazioni, documenti. Il Sinodo è una maratona che sfida anche le loro energie di ventenni. Per questo la pausa pranzo e la sera diventano per i giovani del Sinodo finestre per un po’ di svago. Un giro per la città, un’escursione tra i Gardini Vaticani ma anche una serata pizza e birra e una partita allo Stadio Olimpico diventano altre aule in cui la sinodalità si sperimenta in altri modi. Un pomeriggio accompagniamo un gruppetto di loro all’Università Urbaniana, prima su nella terrazza a fare selfie sotto il sole a picco e sullo sfondo di Roma e poi giù a curiosare nella stanza di uno dei religiosi, perché il Papa vuole che i ragazzi vedano dove vive un prete. L’epilogo è in cappella, un istante in ginocchio a recitare il Padre Nostro in tre, quattro lingue tutti insieme, perché quello che più conta per noi “è l’unità della Chiesa”. Ad affermarlo è Gioele, italiano, un “quasi giornalista” di 27 anni, che ha lo stesso nome del profeta citato al Papa nel discorso di apertura del 3 ottobre: “I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”.

“Faccia a faccia”

Dopo venti giorni un primo sogno è già una realtà. I giovani qui al Sinodo sono diventati amici. “Mai visti prima ma ci vogliamo bene, adesso e quando torneremo a casa”, assicurano un po’ tutti. Un sentimento bello e soprattutto una rete nuova su cui è possibile “far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni” auspicati da Francesco. Corina, che lo vive con entusiasmo contagioso, a un certo punto ce lo canta, come in quel giorno “cara a cara” in cui per lei tutto è cambiato: “Lascia che ti guardi/Faccia a faccia/Lascia che la mia memoria anneghi/Nel tuo aspetto/Voglio amarti in silenzio/E senza parole…”.
 

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24 ottobre 2018, 20:01