Via Crucis, per il Papa la voce e le matite dei ragazzi dell'Ardeatino

Visitiamo la parrocchia romana dei santi Martiri d’Uganda, dove i 500 bambini e ragazzi del catechismo per la comunione e la cresima hanno contribuito alle meditazioni per la celebrazione del Venerdì Santo in Piazza San Pietro. Il parroco don D’Errico: “Francesco così ha voluto portare l’attenzione sulla sofferenza dei bambini in questa pandemia”

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Dentro il recinto della prima chiesa di Roma consacrata da san Giovanni Paolo II, il 26 aprile 1980, dieci anni dopo la costruzione, nel quartiere Ardeatino, pulsa l’attività educativa e di catechesi che il parroco don Luigi D'Errico, arrivato nel 2007, ha voluto fosse condivisa anche con giovani di 15 e 16 anni. Insignito pochi mesi fa, a fine 2020, dal presidente Mattarella, del titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica italiana "per il suo quotidiano impegno a favore di una politica di reale inclusione delle persone con disabilità e per il contrasto alla povertà e alla marginalità sociale", don Luigi, finita l’intervista, prepara con Rita e Dustin, che vivono con lui e il giovane sacerdote indiano don Matteo Abilasch nella canonica della parrocchia Santi Martiri d'Uganda, un carrello della spesa per una famiglia in difficoltà che sarebbe passata nel giro di un’ora.

In San Pietro venerdì saranno in 15, in rappresentanza di 500 

In questa chiesa che sembra una pagoda cinese, stanno preparandosi alla prima comunione o alla cresima, oggi soprattutto online a causa della pandemia, circa 500 bambini e ragazzi che venerdì, nella Via Crucis di Papa Francesco in Piazza San Pietro, sentiranno risuonare meditazioni e preghiere nate in questi loro incontri di catechismo su “Zoom”. E vedranno 15 dei loro giovanissimi catechisti leggere il frutto del loro impegno, e portare la croce o la fiaccola in alcune delle 14 stazioni.

Don Luigi e i suoi collaboratori mettono anche verdura fresca nel carrello per la famiglia in difficoltà
Don Luigi e i suoi collaboratori mettono anche verdura fresca nel carrello per la famiglia in difficoltà

Don Luigi: tanti disegni sulla crocifissione di Gesù

Don Luigi, che è anche referente del Vicariato di Roma della pastorale per le persone con disabilità, ci spiega che quella di illustrare con disegni dei ragazzi e meditare con le riflessioni dei più piccoli il rito della Via Dolorosa, è un idea che gli era venuta prima della chiamata dal Vaticano.

Ascolta l'intervista a don Luigi D'Errico

R. - Noi abbiamo pensato all'inizio di fare un'attività che potesse coinvolgere anche quelli che sono a casa, perché prevedevamo che ci sarebbe stata la “zona rossa”, e non ci si sarebbe potuti muovere più di tanto. Per cui per aiutarli, come abbiamo fatto lo scorso anno disegnando Le Palme, quest'anno si era detto con i catechisti: disegniamo o commentiamo una delle stazioni della Via Crucis a piacere. Lo hanno proposto e stanno continuando a proporlo ai ragazzi in questi giorni, perché era nata come un'attività catechistica, poi è arrivata la proposta della Segreteria di Stato di provare ad aiutare il Papa nel commentare la Via Crucis del Venerdì Santo in Vaticano. E noi allora abbiamo consegnato un po' del lavoro che i ragazzi avevano già fatto.

Concretamente come si è svolta la stesura delle meditazioni? E’ stato un lavoro individuale dei ragazzi o di gruppo, in base alle stazioni?

R. – E’ stato un lavoro dei singoli, che con i catechisti abbiamo raccolto cercando di mantenere la riservatezza sulla destinazione finale. Dai loro brevi testi e dai disegni, spesso, commentati, e da altri brevi discorsi, abbiamo cercato di interpretare il loro stato d'animo, in questo tempo, di fronte alla Via Crucis, di fronte al mistero della passione di Gesù. Alcuni ragazzi hanno fatto delle vere e proprie preghiere, in cui si sono rivolti al Signore, così come a volte abbiamo potuto fare negli anni scorsi in parrocchia, celebrando la via della Croce.

Don Luigi D'Errico, parroco della chiesa dei santi Martiri d'Uganda all Ardeatino
Don Luigi D'Errico, parroco della chiesa dei santi Martiri d'Uganda all Ardeatino

Però, quando hanno preparato i loro contributi, non sapevano ancora che poi sarebbero stati utilizzati nella Via Crucis del Papa?

R. – No, l'abbiamo spiegato quando la cosa è divenuta di dominio pubblico, ed è stato annunciato dal Vaticano. Allora ho spiegato che il loro lavoro, in gran parte, è servito per questa iniziativa, così bella e così importante.

Visto che i ragazzi coinvolti sono stati tanti, quasi 500, quale stazione è stata la più commentata e disegnata?

R. - Sicuramente gli incontri di Gesù con le varie persone, e quella che naturalmente domina nei disegni è la crocifissione. E’ il momento che colpisce di più: lo hanno visto nei quadri naturalmente, ma soprattutto in qualche film che di solito viene trasmesso in televisione nel periodo che precede la Pasqua. La crocifissione è il momento tragico, è quello che anche fa pensare all'abbandono di Gesù, alla sua sofferenza, che non meritava certo di soffrire.

Quindi come hanno rappresentato, sia nelle meditazioni che nei disegni, la Via Crucis? C’è la storia di Gesù, ma penso ci sia un po’ anche la loro storia, magari alcune loro difficoltà e sofferenze…

R. – Per esempio, nel momento in cui si racconta nella Via Crucis, che Gesù muore e c'è una reazione dell'universo, con il terremoto raccontato nella Via della Croce, loro lo hanno immaginato con un cielo pieno di fulmini, quasi a esprimere il disappunto di Dio Padre di fronte alla stupidità degli uomini e delle donne. “Perché uccidere Gesù?” Si sono chiesti. In molti questa rimane una domanda grande: perché Gesù muore? Naturalmente in questo periodo, nei loro commenti è presente quello che sta accadendo. Sentono continuamente informazioni, sentono anche più vicine le angosce dei parenti e dei genitori. Sentono, per esempio, la lontananza dei nonni. In moltissimi casi non incontrano più da tempo gli anziani, per difenderli. Tutto questo gli manca, gli manca fare le feste di compleanno insieme agli altri compagni, gli manca a volte andare a scuola in tranquillità, giocare nei parchi. Tutto questo è stato per il momento limitato e quindi emerge anche nei loro commenti.

La chiesa dei Santi Martiri dell'Uganda all'Ardeatino
La chiesa dei Santi Martiri dell'Uganda all'Ardeatino

La vostra parrocchia dei Santi Martiri dell'Uganda è nota come comunità che accoglie: il “Rifugio per Agar”, la “Casa Betlemme”. Queste espressioni della carità della vostra parrocchia, sono entrate in qualche modo nelle riflessioni dei ragazzi?

R. - Noi raccontiamo sempre ai ragazzi quello che facciamo: abbiamo sempre raccontato sia dei viaggi in Uganda, dove fino a quando non è arrivato il Covid si andava due volte all'anno e molti nostri giovani sono andati, sia quello che facciamo qui, nella comunità parrocchiale. Raccontiamo che, per esempio, una delle due case, la casa Betlemme, non è opera solo di questa comunità, ma di otto parrocchie, e quindi di come insieme si possano affrontare le difficoltà e si possano fare dei veri e propri piccoli miracoli. Quindi loro sentono che c'è un’ingiustizia in questa sofferenza, e che molti soffrono e in alcune situazioni soffrono anche di più. Sicuramente certe immagini li hanno sconvolti e alcuni si domandano anche: “Nei Paesi poveri come l’Uganda che succede? Ci saranno i vaccini? Si potrà stare meglio?”. Naturalmente il loro vissuto quotidiano è quello che li coinvolge maggiormente, per cui quando vedono i genitori stanchi, nervosi o preoccupati, oppure hanno vissuto in parecchi casi il Covid in famiglia, e questo ha costretto l'intero nucleo familiare a rimanere isolato dagli altri e da tutto, questo ha avuto degli effetti. Ed emerge spesso nelle preghiere, quando chiedono a Dio di far smettere la pandemia: è la richiesta più ricorrente. Spesso negli anni passati era la pace, e ora è che Dio faccia finire questa guerra, che sembra dipendere dal virus.

Che dono è stata la partecipazione alle meditazioni dei ragazzi con disabilità?

R.- Ormai li conosciamo per nome, fanno parte della vita di tutti. Ho raccontato altre volte il commento di una ragazza più grande, in preparazione per la cresima, Chiara, che diceva: “Ho capito con loro cosa significa amare, cosa significa voler bene. L'ho capito vedendo altri ragazzi poco più grandi di me che stanno insieme e altri ragazzi e ragazze che aiutano, che non si allontanano, che quando c'è qualcosa, invitano e fanno partecipare”. Quindi loro in realtà hanno partecipato come tutti e come tutti vivono il disagio di questa pandemia. Anzi, forse il loro è ancora più grande. Faccio un esempio concreto: se gli altri ragazzi non vanno a scuola, permettono di andare a scuola ai ragazzi con disabilità, ma da soli. Laddove c’è bisogno di maggiore relazione essere soli in questo periodo è ancora più complicato e drammatico.

Alcuni ragazzi e giovani della parrocchia dei santi Martiri dell'Uganda, nell'estate 2020.
Alcuni ragazzi e giovani della parrocchia dei santi Martiri dell'Uganda, nell'estate 2020.

Come avete scelto i 15 fortunati che saranno in Piazza San Pietro venerdì con il Papa?

R. – Andranno i ragazzi più grandi, che spesso sono anche catechisti o aiuto catechisti, ma anche loro, grazie a Dio, sono circa 70. Chi andrà rappresenterà gli altri, come quando facciamo i viaggi in Uganda: chi va diventa anche il cuore, gli occhi e la mente delle persone che non possono andare.

Secondo lei, perché il Papa ha scelto di far scrivere ai bambini e ai ragazzi le meditazioni di quest'anno della Via Crucis, e non ad un cardinale o ad un teologo?

R. - Papa Francesco ha questa capacità di essere legato alle situazioni umane, al vissuto della gente. Sembra proprio l'attenzione di un padre, di un pastore, di un papà o di una mamma, che guardano a ciò che vivono le persone che compongono la famiglia. Penso che il Papa abbia voluto aprire uno squarcio di attenzione sui più giovani, quelli che in un primo periodo si è detto che “sono lontani dalla possibilità di essere contagiati e quindi di morire, allora dobbiamo preoccuparci di meno”. Invece col tempo sta emergendo che questa distanza per fortuna è in parte vera, ma ci sono delle conseguenze anche della solitudine, nel non essere con gli altri, nella naturale tendenza dei giovani ad essere insieme ad altri giovani e a passare così il loro tempo e a crescere. Si cresce in un mondo relazionale, con gli altri, da soli è veramente più difficile. Credo che Papa Francesco abbia sentito questo a livello mondiale: tutte le società e tutti i giovani, i bambini e le bambine di questo mondo stanno soffrendo tanto. La sua attenzione è nel cercare così di essere loro accanto.

Rita porterà la croce e Roberto sarà tra il pubblico

Venerdì in Piazza San Pietro ci saranno sicuramente Rita Minischetti, 39 anni e tanta vitalità in tutte le attività della parrocchia, a dispetto della sindrome di Down, e il catechista 17enne Roberto. Rita, che vive nella canonica della parrocchia con la sorella Teresa, insieme al 14 enne Dustin Lopez e alla madre Leonor, originari dell'Ecuador, i rumeni Florin e Roman, don Matteo e frate Francesco, frate Roberto e suor Veronica, oltre al pastore tedesco Rex, porterà la croce in alcune stazioni, la quarta e la quinta. "Mi sento un pò come Simone il Cireneo che aiuta Gesù a portare quella croce pesante" ci dice. Roberto sarà tra il pubblico, sul sagrato della basilica, ed è contento che il Papa abbia scelto la sua parrocchia per la meditazioni della Via Crucis. "E' anche un riconoscimento per l'impegno di don Luigi e di tutta la nostra comunità a servizio degli ultimi - spiega - qui io mi sono sempre sentito accolto, come tutti coloro che bussano alla nostra porta".

 La catechista Irene Intoppa davanti alla chiesa dei Santi martiri dell'Uganda
La catechista Irene Intoppa davanti alla chiesa dei Santi martiri dell'Uganda

La catechista Irene: quelle mani con un pane o con un cuore

Tra i giovani che hanno fatto esperienza di missione, anche se solo temporanea, in Uganda, c'è anche Irene Intoppa, oggi 25enne maestra elementare e catechista, che racconta così il percorso avviato con i ragazzi dei suoi gruppi accanto a Gesù nella Via Crucis:

Ascolta l'intervista alla catechista Irene Intoppa

R. - Durante gli incontri, con le altre ragazze catechiste e aiuto catechiste, proponiamo tutto come un viaggio. In questo caso il viaggio era quello della Quaresima, che abbiamo presentato come anche paura di cadere per poi rialzarsi e proprio per questo ci è venuto spontaneo, al di là della richiesta di Don Luigi di fare questi disegni come attività, proprio affrontare piano piano il percorso della Via Crucis con Gesù. Ed è stato un percorso anche molto sentito sia per noi catechiste che per i ragazzi del nostro gruppo, perché abbiamo presentato ciascuna stazione non fermandoci tanto sul fatto quanto sul contenuto. La cosa su cui io poi ho puntato tanto é che non rappresentassero la stazione stessa, cioè il fatto che Gesù magari fosse messo in croce o che portasse la croce o la figura della Veronica o l’abbraccio di Maria ma sono stati spesso disegni di quello che loro vedevano attraverso il racconto della stazione.

Quindi sia nelle loro parole, che nei loro disegni, c'è la storia di Gesù, ma dietro c'è anche la loro storia…

R. – Sì, soprattutto c'è una stazione che mi ha colpito particolarmente, una delle ultime, in cui si parla delle mani, queste mani che devono essere usate per fare qualcosa che non sono money messa in tasca. Ed è stato bello perché hanno rappresentato per esempio una persona povera, in ginocchio e loro disegnavano la loro mano con del pane o un oggetto che poteva in quel momento saziare quell'uomo, anche un cuore per saziare la sua anima e quell’immagine mi ha fatto capire quanto loro avessero compreso il dare e anche ricevere di quell'uomo.

Irene in un selfie con tre ragazzi ugandesi in un villaggio della diocesi di Lira
Irene in un selfie con tre ragazzi ugandesi in un villaggio della diocesi di Lira

Altre cose che ti hanno colpito, nelle loro riflessioni, oltre che nei disegni?

R. - Sicuramente si sono fermati molto sulla stazione in cui Gesù incontra Maria che lo abbraccia. Quello per loro è stata toccante, perché hanno sentito l'affetto di un genitore. Quindi hanno rappresentato spesso la madre, hanno scritto anche una poesia per la mamma. Veniamo da un periodo in cui i genitori sono stati molto presenti nella nostra vita e continuano ad esserlo, soprattutto per loro nell'aiutarli nella didattica, nella scuola.

C'è stato in queste loro riflessioni, anche nelle preghiere, il sentirsi parte di questa comunità particolare come quella della parrocchia dei Santi Martiri d’ Uganda, questa comunità che accoglie, in tante espressioni?

R. - Noi abbiamo sempre presentato questa parrocchia come portatrice di “un sano bene”, non solo per i poveri ma anche per noi stessi, per tutta la comunità. Quindi io credo che abbiano percepito questo amore che cerchiamo di donare, e che loro stessi donano a noi e i bambini sono la parte più importante questa comunità. Penso che abbiano percepito anche quanto questa parrocchia sia amata da tante persone che si mettono in fila non solo per ricevere quello che noi doniamo, ma in generale attenzione e affetto. Ma mangiate male vogliono proprio ricevere attenzione e affetto.

Secondo te perché il Papa quest'anno ha scelto proprio i bambini e i ragazzi per queste meditazioni da proporre al mondo e non magari un cardinale o un teologo?

R. - Io penso che in tutto quest'anno i bambini sono stati la categoria più penalizzata e credo che il Papa, che è tanto vicino alle famiglie le persone abbia scelto proprio i bambini perché loro occhi sono diversi dei nostri. Sicuramente c’è un'attenzione più pura, percepiscono maggiormente i dettagli, rispetto a noi che tendiamo appunto a tenere le mani in tasca e non volere vedere più nulla. I bambini sanno e capiscono quello che c'è dietro e cosa c’è soprattutto dentro.

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Santi Martiri dell'Uganda, una comunità che accoglie
30 marzo 2021, 19:21