Marocco, l’antica casa dei Francescani

Uno degli eventi collaterali che sottolinea l’importanza della visita del Papa in Marocco, è la mostra organizzata a Rabat dai Francescani del Marocco per ricordare gli 800 anni della loro presenza in queste terre

Alessandro De Carolis - Rabat

Un anno chiave il 1219 per Francesco e i suoi frati. Il Povero di Assisi guida una comunità ormai strutturata e in espansione, ma al suo cuore “in uscita” – come amerebbe dire il Papa che porta il suo nome – non bastano i confini rassicuranti di un’esperienza ecclesiale riconosciuta e stimata. Oltre l’orizzonte c’è una Crociata che da due anni insanguina la Terra Santa e l’uomo che ha ricostruito San Damiano sente un richiamo verso le macerie umane, prima che belliche, causate dal conflitto che si combatte in Nord Africa e Palestina. Per questo, in quel 1219, Francesco supera il Mediterraneo fino ad arrivare al “ground zero” della Crociata che si combatte a Damietta e quindi al celebre faccia a faccia col Sultano Al-Malik Al-Kamel nel campo saraceno. Un incontro che non incide sulle sorti dello scontro ma segna uno spartiacque nel modo di intendere il dialogo con l’islam.

I cinque Protomartiri

Storia meno celebre, ma datata sempre 1219, è quella dei martiri francescani del Marocco. Al califfo di quel territorio non piacciono quei cinque uomini in tonaca grezza che parlano di Cristo alla gente, incuranti delle minacce e delle maniere forti. L’epilogo per questi indesiderati è diverso da quello di Francesco e nel 1220 Berardo, Ottone, Pietro, Accursio e Adiuto vengono decapitati. Una storia dolorosa che fa da fermento all’altra che ne costituisce l’eredità. Perché i cinque protomartiri francescani sono i primi semi della pianta della Chiesa che germoglierà in Marocco.

Una mostra per ricordare

Sono entrambe storie che “si fanno concorrenza”, dice ai microfoni di Vatican News il custode dei francescani del Marocco, padre Manuel Corullόn, incontrato a Rabat alla vigilia dell’arrivo del Papa. Anche se talvolta l’annuncio del Vangelo comporta un prezzo del sangue, l’incontro di Francesco col Sultano egiziano è diventato “un modello di dialogo interreligioso”. E quel modello trova uno spazio della memoria nella mostra “Presenza cristiana in Marocco: vivere insieme” che i Francescani locali hanno allestito nei locali dell’Archivio storico a Rabat fino al 30 marzo. Tra teche di cristallo ricche di documenti antichi, videoproiezioni e manifesti si offre uno sguardo d’insieme a una missione iniziata col sacrificio di cinque frati e proseguita tra pagine di luce e di tenebra per otto secoli.

L’arma dell’incontro

Francesco di Assisi e Papa Francesco sembrano avere in comune la convinzione, per dirla ancora con le parole del Vescovo di Roma, che sia meglio iniziare processi piuttosto che occupare spazi. Il primo lo fece col Sultano del 1200 – una visita storicamente senza risultato diventata però il vertice di un metodo e uno stile di incontro tra credi differenti. Il secondo condividendo un documento ricco di valori con un grande imam contemporaneo, la Dichiarazione sulla “Fratellanza umana” siglata ad Abu Dhabi a inizio febbraio. Analogie fra due apostoli itineranti del Vangelo per i quali può valere la chiosa del custode francescano del Marocco secondo la quale, lo insegna il Santo di Assisi, è sempre possibile “fare le cose non con la guerra e le armi, ma con il dialogo e l’incontro”.
 

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31 marzo 2019, 07:30