· Città del Vaticano ·

PER LA CURA DELLA CASA COMUNE
Conversazione con Andrea Acutis

Nessuno può essere felice se isolato dagli altri

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21 maggio 2020

L’azienda è una comunità di persone
prima di essere una macchina produttiva


In questo periodo così provato dalla pandemia e dal conseguente blocco forzato di gran parte delle attività economiche globali, si rende più che mai urgente pensare come, una volta superata la crisi, si possa ripartire dirigendoci verso un’economia più sostenibile e a misura d’uomo. Ma le aride esigenze dell’economia sembrano spesso inconciliabili con quelle della fede e ci si trova a volte di fronte a sterili contrapposizioni ideologiche; è come se mancasse un quadro di ragionamento condiviso, alla base delle realtà economiche, che aiuti a dialogare su questo tema così complesso. Forse le persone che hanno al contempo un legame con la fede e con l’economia ci possono aiutare. Abbiamo voluto sentire a questo proposito il punto di vista di Andrea Acutis, Presidente di Vittoria Assicurazioni e padre del venerabile Carlo Acutis di cui è in corso la causa di beatificazione.

Come si inserisce l’economia nelle relazioni umane?

Nessuna persona, al di fuori di Dio, può essere felice come entità solitaria isolata da tutti. D’altra parte, Dio è Trinità, non solitudine.

Anche dal punto di vista materiale per vivere bene abbiamo bisogno di collaborare con gli altri. Infatti, se ognuno di noi dovesse provvedere autonomamente a tutte le proprie necessità, vivremmo isolati dagli altri e nella completa indigenza. In tutte le società si può constatare il bisogno di dividere i compiti, secondo le diverse capacità e attitudini. Ognuno ha bisogno dell’altro.

Gran parte delle relazioni sono legate alla sfera dell’amore e non richiedono nulla in cambio, come nel caso della madre che accudisce i figli o di qualsiasi altra prestazione gratuita e disinteressata. In questa sfera possono rientrare anche le attività del cosiddetto terzo settore. Queste sono le relazioni che rendono la vita degna di essere vissuta.

Ma generalmente i rapporti che riguardano la produzione, la distribuzione e il consumo delle merci e dei servizi, quindi i rapporti economici, non fanno parte di queste relazioni disinteressate: questa parte dell’economia non è guidata dalla carità.

L’economia quindi, se limitiamo la sua sfera a ciò che confluisce nel prodotto interno lordo, è regolata da altri principi.

Qual è il principio che dovrebbe regolare una buona economia?

Il motore dell’economia è lo stato di bisogno in cui si trovano le persone. Per soddisfare i nostri bisogni abbiamo tre possibilità: o convinciamo qualcuno a regalarci quello che ci serve, oppure lo rubiamo o, infine, proponiamo uno scambio di pari valore.

Restando alla nostra definizione circoscritta di economia, essa riguarda allora degli scambi interessati, non gratuiti, ma non per questo negativi. Siamo nella sfera della giustizia che richiede che ad ognuno sia dato ciò che gli spetta, facendo sempre fronte ai propri impegni.

Il principio della giustizia non viene ad esempio rispettato se il prodotto o il servizio dato non corrisponde a quanto promesso, oppure se non si riconoscono delle condizioni dignitose ai lavoratori, magari prendendo come scusa che le leggi o le condizioni di mercato lo consentono, o ancora quando si danneggia tutta la comunità a causa dell’omissione delle cautele necessarie per contenere i danni ambientali. Allo stesso modo il principio non è rispettato se il lavoratore non si impegna a fare bene il proprio lavoro. In tutti questi casi si è implicitamente deciso di scegliere la scorciatoia del furto.

Occorre tuttavia tenere presente che il solo criterio della giustizia non è sufficiente a rendere un’attività economica umana e quindi vivibile, insomma non basta la giustizia per fare una buona economia. Applicare rigidamente e meccanicamente un criterio di giustizia senza un minimo di misericordia che aiuti quando opportuno a chiudere un occhio di fronte a debolezze veniali, porterebbe ad un clima infernale. Ciò che rende un luogo di lavoro positivo è il rispetto della dignità di ogni essere umano, che non significa tollerare i comportamenti di chi non si impegna a raggiungere gli scopi sociali o di chi addirittura li vuole attivamente danneggiare, ma significa saper riconoscere in ogni persona la presenza di un mistero che ci trascende e che noi cristiani sappiamo essere Dio. Presenza di Dio, nella debolezza umana. Bisogna allora sottolineare che ogni azienda non va considerata solo come una macchina produttiva, ma anzitutto come una comunità di persone. In fin dei conti si tratta di rispettare le persone.

È poi lo stesso rispetto che, sempre guidato dalla misericordia, ci porta a sostenere tutti coloro che non possono partecipare alle attività produttive e non sono in grado di provvedere a sé stessi.

Possiamo allora affermare che il primo e fondamentale pilastro alla base di una buona economia è costituito dalla somma di tutte le attività di uomini e donne che fanno bene il loro lavoro rispettando le persone che incontrano. Se poi estendiamo questo principio del fare bene a tutte le attività umane possiamo constatare che in generale una buona società non è altro che la somma di buoni individui.

Che posto ha il profitto in una economia virtuosa?

Il profitto è la differenza fra i ricavi e i costi sostenuti da un’attività economica. Quando è guadagnato onestamente, facendo qualcosa di utile per il bene della società, nel rispetto delle persone, è naturalmente una cosa buona. Un’azienda sana, sostenibile, genera utili che possono essere reinvestiti nella stessa attività economica o distribuiti ai soci che a loro volta dovranno rendere conto del loro utilizzo.

Come possiamo migliorare l’economia e di conseguenza il nostro mondo?

L’economia non è un fine ma un mezzo per il bene dell’uomo. Cioè l’economia deve essere al servizio dell’uomo, di tutti gli uomini. Ma se ho una responsabilità nella conduzione di un’attività economica e non rispetto l’altro, sto inquinando tutta l’economia. C’è solo un modo di migliorare l’economia, ed è che le singole persone inizino a fare una scelta di rispetto per l’altro. Se gli altri non lo fanno io lo devo fare lo stesso. Forse qualcuno pensa che, come per magia, la somma di comportamenti malvagi possa produrre dei frutti positivi, grazie al miglioramento dell’efficienza del sistema e l’eliminazione dei più deboli. Ma, grazie a Dio, non esiste una forza naturale che, tramite la libera concorrenza di persone egoiste che si disinteressano delle sorti del prossimo, porti ad un bene maggiore, così come l’umanità non progredisce automaticamente verso un mondo migliore attraverso le guerre e le rivoluzioni. D’altronde anche gli economisti classici, a partire da Adam Smith, non hanno mai sostenuto che una buona economia potesse prescindere dal rispetto di regole morali.

Questa scelta per il bene è la croce che devono portare gli imprenditori onesti, attaccati da quei concorrenti che invece non si fanno scrupoli e grazie a comportamenti scorretti riescono per esempio ad ottenere costi inferiori e quindi la capacità di vendere a prezzi più bassi. Quando gli stati operano per agevolare la libera concorrenza dovrebbero sempre prevedere adeguati vincoli, tenendo presente che un asettico obiettivo di massima efficienza non può che portare ad una situazione invivibile e di sfruttamento del prossimo. Il miglioramento dell’efficienza, che è necessario al progresso economico, deve avvenire nel rispetto delle persone.

Non trascuriamo poi il grande potere di influenzare in bene l’economia che hanno coloro che possiedono un sufficiente benessere materiale tale da poter fare delle scelte in quello che comprano. Questa è la condizione della gran parte dei cittadini dei paesi più ricchi. Dobbiamo essere consapevoli che non basta dire che le aziende non devono sfruttare i lavoratori e che devono rispettare la natura; infatti questo sfruttamento porta spesso ad un prezzo più basso del quale siamo beneficiari come consumatori. La conseguenza immediata e pratica è che dobbiamo essere pronti a pagare prezzi più alti e conseguentemente ad avere meno beni. Consideriamo poi che come consumatore, ognuno di noi ha anche una responsabilità su come vengono allocate le risorse disponibili. Ad esempio, anche se verosimilmente non possiamo fare nulla per ridurre la produzione e il commercio di armi, siamo invece perfettamente in grado di scegliere quanto dedicare delle nostre risorse ad aiutare il prossimo e quanto invece, per esempio, alla cura del nostro corpo. Siamo disponibili a rinunciare a qualcosa? O preferiamo vivere al di sopra delle nostre possibilità a spese dei più deboli, della natura e della nostra anima che rischiamo di soffocare nel cestino della spesa?

A cinque anni dalla pubblicazione della «Laudato si’», ritiene possibile uno sviluppo economico sostenibile che non depauperi le risorse naturali della terra?

È un problema molto complesso e la soluzione può solo essere di tendere gradualmente verso un’economia circolare. A questo scopo mi sembra di aiuto la proposta che ho letto di un passaggio graduale ad un’economia di servizi in cui le aziende, a fronte di un canone, offrono la disponibilità e la manutenzione di beni dei quali rimangono proprietarie. In questo modo le imprese avrebbero interesse a prolungare il ciclo di vita dei beni e ci potremmo almeno parzialmente liberare dall’opprimente ciclo del “compra-butta”. Resta il fatto che, allo stato attuale della tecnologia, non siamo in grado di non consumare risorse non rinnovabili. Una soluzione possibile è quella prospettata dall’economista Dieter Helm il quale propone che gli operatori economici si diano l’obiettivo di conservare il valore totale del capitale naturale disponibile, non eliminandone l’utilizzo, ma impegnandosi a compensare i danni arrecati con il depauperamento di alcune risorse, mediante investimenti in altri settori che portino un beneficio al nostro capitale naturale, per esempio con la riforestazione.

È un percorso non facile, ma abbiamo il dovere di iniziarlo, ognuno impegnandosi per la propria parte. La rivoluzione inizia con il nostro cambiamento interiore. Tutto è connesso, nessuno può essere felice se isolato dagli altri

di Andrea Monda