· Città del Vaticano ·

La «cura» delle parole

Per guarire i ciliegi

Katsushika Hokusai, «Cardellino e ciliegio piangente» (1832 circa, particolare)
18 aprile 2020

Scrivere ai tempi del covid-19


Cara Giulia, a tutto avremmo pensato ma non a una pandemia! Non è roba per noi, è roba vecchia! Il progresso ci ha resi immuni da questi mali antichi. Noi abbiamo sperimentato altri modi per morire. Abbiamo addirittura inventato il nucleare e la bomba atomica. I nostri eserciti sono passati dai pugnali ai fucili, non sanno neanche cosa siano i bisturi e i respiratori.

Eppure eccoci qua! A combattere una guerra surreale che ha costretto il mondo a fermarsi, a tornare indietro, a interrompere la corsa. Cosa è accaduto all’umanità? Cosa accadrà alla nostra umanità? Siamo diventati l’età che abbiamo, l’emergenza impone questa regola, brutale ma necessaria. Eppure, mi sono detta, qualcosa di positivo deve esserci. Forse rivaluteremo cose trascurate, ritroveremo il valore della fede, ci sentiremo davvero Enea che porta Anchise sulle spalle. Siamo rimasti a casa (chi almeno ha la fortuna di averla una casa...), l’abbiamo trasformata in un cenacolo e abbiamo trovato il punto di incontro tra un passato che non è mai passato e un presente che è già futuro.

Cara Flaminia, hai usato un termine importante: “cenacolo”, che il mio parroco, Andrea Celli, durante l’omelia della domenica di Pasqua ha usato per indicare le nostre case. Eravamo in tanti affacciati ai balconi e alle finestre, a seguire il rito della messa celebrata sul terrazzo della chiesa. Ho pensato che i nostri appartamenti, grandi o piccoli, sono diventati da settimane delle domus ecclesiae. Erano case private infatti, almeno nel primo secolo dopo Cristo, quelle che ospitavano i cristiani. Una riunione di famiglia, aperta a vicini e fedeli. Non esistevano luoghi di culto. Quelli vennero dopo. Ma, all’inizio, furono semplici case private, dove la famiglia che lì abitava metteva a disposizione una stanza, quella che oggi chiameremmo la “sala da pranzo”. Mi ha fatto tenerezza questo ritorno alle origini.

Flaminia: Nell’immensa catena di solidarietà che si è formata in modo spontaneo e capillare in tutta Italia, alcune iniziative in ambito culturale hanno sperimentato dei progetti innovativi e interessanti. Non ci si può incontrare fisicamente ma si possono usare le parole che, grazie alla tecnologia, ci permettono di tessere una rete di comunicazioni. Antonella Sotira, avvocato e ideatrice dell’associazione Iusgustando Simposi Giuridici ha coinvolto delle penne di grande qualità professionale e letteraria al fine di raccogliere fondi destinati all’emergenza virus, interamente donati alla Croce Rossa. Con una prefazione in versi di Dante Maffia, una raccolta di racconti che devono essere brevissimi, editi da Bastogi libri, dove la parola si fa protagonista, dove ognuno è chiamato a scrivere la propria storia di ordinaria o meglio di straordinaria detenzione in questa paradossale quotidianità. Parole intense quelle di Giacomo Ebner, Giovanna Corrias Lucente, Andrea Bocconi, solo per citarne alcuni. Raccolta dal titolo eroico Co-Veni, Co-vid, Cov-ici (Roma, pagine 154, euro 15) che richiama l’insperata e fulminea vittoria di Giulio Cesare contro Farnace, re del Ponto e che rimanda alla speranza di vittoria sulla malattia. «Nel pieno della battaglia i poeti si devono zittire (…) ma contro un nemico invisibile che si dispieghi il canto, che lo innalzino le sirene» recita Maffia, e conclude la raccolta un richiamo a Fabrizio De André quando cantava Un medico per guarire i ciliegi.

Giulia: Una iniziativa interessante (scadenza 15 maggio) è partita da Isabella Madia, vicesindaco di Crotone, un invito a scrivere a mano una lettera. Non a caso il progetto si chiama «Caro amico ti scrivo». Al destinatario, che può essere scelto in totale libertà, si affidano pensieri, emozioni, paure e speranze legate a questo tempo del coronavirus. Anche in questa iniziativa viene dato un limite di parole da usare. Ed è giusto che sia così. La parola è tornata, penso, a essere richiesta di pregnanza, di forza. Di essenzialità. Credo che mai come in questo tempo sia utile e salvifico (nel privato, nel giornalismo, nella letteratura, nella comunicazione in generale) eliminare le chiacchiere e ritrovare la forza della parola che dice, che battezza le cose. Va usata con la leggerezza di una piuma e la precisione del bisturi.

Flaminia: Irene Bevilacqua, insieme a un’amica, ha ideato un altro progetto che merita attenzione. Si tratta di italiaealtredestinazioni@gmail.com. Hanno creato un database, segreto, custodito da loro al quale raccontare le proprie emozioni e i propri pensieri sotto forma epistolare. Cercheranno di formare una memoria collettiva che sia in grado di raccontare un periodo, forse un’epoca che resista al passare del tempo. Scrittura come memoria, scrittura come terapia, scrittura come passione per tutto quello che svanisce e per quello che resta.

Giulia: Molte le iniziative da Nord a Sud che spingono a trovare «le parole per dirlo» (parafrasando un fortunato libro di tanti anni fa). Numerosi sono i siti che accolgono l’invito a esprimersi in versi. Poesia al tempo del coronavirus. Hanno risposto all’appello poeti noti come Mariangela Gualtieri, con 9 marzo 2020, altri sono sconosciuti che pure hanno postato parole di lucente bellezza. Scrivere, farlo con intensità, può servire ad addomesticare la pena di questi giorni, a parlare del “tu” invisibile. Può essere quasi una preghiera.

di Giulia Alberico
e Flaminia Marinaro