· Città del Vaticano ·

Piazza San Pietro non è mai stata così piena

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28 marzo 2020

Forse piazza San Pietro non è mai stata così piena come in questo venerdì di Quaresima. Con Roma a far da sfondo a un’umanità impaurita che guarda, persino aldilà delle convinzioni religiose, alla potenza umile di Dio che Papa Francesco ha mostrato urbi et orbi, orientando il gesto eucaristico benedicente dell’ostensorio verso i quattro punti cardinali. E anche attraverso una nuova formulazione per la concessione dell’indulgenza plenaria, la benedizione del successore di Pietro ha davvero raggiunto, attraverso i diversi mezzi di comunicazione, persino chi non ha potuto essere “presente”. Non ha potuto perché malato. Perché impegnato in prima linea a servire chi ha bisogno. Non ha potuto perché povero. Magari perché stanco, preoccupato, deluso, impaurito, forse anche “arrabbiato” con Dio. Basta unirsi «anche solo spiritualmente, con il desiderio» — ha assicurato il cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica Vaticana — alla benedizione eucaristica silenziosa che ha raggiunto ogni donna e ogni uomo, ovunque stesse vivendo quell’ora. Il momento straordinario di preghiera voluto dal vescovo di Roma ha avuto inizio con un’immagine squarciante nella sua essenzialità: in piena pandemia e sotto la pioggia, Papa Francesco è salito sul sagrato della basilica Vaticana. A piedi. Da solo. E non è cedere alla retorica — tentazione in queste ore molto forte ma che farebbe perdere di vista quel che conta, e cioè la preghiera — affermare che il successore di Pietro non era solo, affatto. Forse mai come stavolta tante donne e tanti uomini erano con lui. E per davvero. Dal centro del sagrato, con il segno della croce il Pontefice ha subito invitato alla preghiera. La lettura del Vangelo di Marco (4, 35-41), che racconta l’episodio della tempesta sedata da Gesù, ha orientato poi la meditazione del Papa scaturita proprio dall’ascolto della Parola di Dio. La seconda parte di questo momento di preghiera davvero universale è avvenuta nell’atrio della basilica di San Pietro. Accompagnato da monsignor Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, Francesco ha però prima “salutato” i suoi “compagni di viaggio” — suoi e di tutti — in questa “avventura”, incontrandoli, a tu per tu, ai lati del cancello centrale della basilica: il crocifisso di San Marcello al Corso e l’icona di Maria Salus populi Romani, «salvezza del popolo romano». Il Papa era andato personalmente a “trovarli” quei due segni domenica 15 marzo, nel pellegrinaggio silenzioso per le strade di Roma. Ma per questa straordinaria preghiera li ha voluti accanto a sé. Accanto a tutti. Accompagnato dall’antico canto Sub tuum praesidium il Papa si è raccolto, anzitutto, in preghiera davanti all’immagine mariana, particolarmente cara ai romani e a lui stesso, tanto da farne meta spirituale di innumerevoli pellegrinaggi nella basilica di Santa Maria Maggiore, dove è venerata. Toccante l’atteggiamento con cui Francesco ha pregato davanti al crocifisso di San Marcello — dai tratti molto realistici — emblema di speranza perché legato alla memoria della fine della peste di cinquecento anni fa. Il Papa lo ha contemplato, poi ha baciato i piedi e con la mano con cui ha accarezzato il legno ha tracciato su di sé il segno della croce. Gesti accompagnati dal canto dell’antifona alla Croce, espressione delle processioni penitenziali.

Sull’altare “mobile” di Leone XIII, al centro dell’atrio della basilica, è stato esposto il Santissimo Sacramento per l’adorazione, in un ostensorio, risalente al XIX secolo, che fa parte della sagrestia pontificia ed è utilizzato anche per la solennità del Corpus Domini. È stato un momento di forte intensità, sostenuto dal canto Adoro te devote. Francesco ha voluto indossare vesti semplici, austere: il piviale tessuto a San Giovanni Rotondo, con un velo omerale del XIX secolo.

Nell’intensa e incalzante supplica litanica sono stati, quindi, presentati a Dio «tutti i mali che affliggono l’umanità»: la fame, la carestia, l’egoismo, le malattie, le epidemie, la paura del fratello, la follia devastatrice, gli interessi spietati, la violenza, gli inganni. Anche la cattiva informazione e la manipolazione delle coscienze. Con umile forza è stato chiesto al Signore di guardare «la Chiesa che attraversa il deserto; l’umanità atterrita dalla paura e dall’angoscia; gli ammalati e i moribondi oppressi dalla solitudine; i medici e gli operatori sanitari, stremati dalla fatica; i politici e gli amministratori che portano il peso delle scelte». Non è mancata l'invocazione di donare il suo Spirito in questa «ora di prova e smarrimento; nella tentazione e nella fragilità; nel combattimento contro il male e il peccato; nella ricerca del vero bene e della vera gioia; nella decisione di rimanere in Lui e nella sua amicizia». E si è concluso con l’accorata richiesta a Dio di aprire tutti alla speranza «se il peccato ci opprime; se l’odio ci chiude il cuore; se il dolore ci visita; se l’indifferenza ci angoscia; se la morte ci annienta».

Mentre risuonavano le note del Tantum ergo, Papa Francesco ha afferrato l’ostensorio e lo ha mostrato al mondo. Veramente urbi et orbi. Per una benedizione in cui non ha dovuto pronunciare una sola parola. Non c’era bisogno. Cristo basta: il Papa lo ha mostrato dal cancello centrale della basilica di San Pietro ed è come se «le braccia» del colonnato fossero state il tramite per portare quella benedizione a ciascuno. Nessuno escluso. Ma tutti inclusi nell’abbraccio. Tra il rintocco delle campane di San Pietro e la sirena di un’ambulanza che correva sulle strade di Roma. (giampaolo mattei)

 

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