Progettare il futuro in Africa: la Class Rouge per il Niger in mostra a Venezia

Il Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli (CISP) ha ideato il prototipo, in terra cruda, di un'aula sostenibile e bioclimatica per un Paese dove ogni anno nascono 750 mila bambini e gli edifici scolastici sono carenti. Alla Biennale di Architettura sta riscuotendo attenzione, così come apprezzamento stanno riscontrando i "Carnival", panel organizzati dalla direttrice della mostra Lesley Lokko: rivalutare le energie africane, oltre gli stereotipi

Antonella Palermo - Città del Vaticano

Un continente con stratificazioni culturali che all'Occidente risultano per lo più ancora sconosciute e con esperienze laboratoriali in cui si condividono energie, idee, buone pratiche. Soprattutto, in cui si mettono in campo le attitudini progettuali giovanili, si dà vita ad un associazionismo di promozione imprenditoriale femminile, si manifesta sempre più la voglia di creare connessioni tra le varie realtà geografiche africane e oltre, nella consapevolezza che proprio da questo movimento intellettuale e di esperienze si può e si dovrebbe ripartire per scardinare stereotipi di vario genere, a partire da quelli del linguaggio. Sono alcuni dei temi che la Biennale di Architettura, ancora in corso a Venezia fino al 26 novembre, fa affiorare non solo attraverso i suoi allestimenti diffusi ma anche attraverso i dibattiti fortemente voluti dalla direttrice Lesley Lokko (Carnivals) per confrontarsi sul futuro della ricerca architettonica africana in Africa e nella diaspora. 

Edifici bioclimatici, con materiali e manodopera locale

Oltre ai progetti di studi in Africa presenti nel padiglione centrale dei Giardini e all'Arsenale, sono tutt'ora visibili alcuni progetti della Mostra in altri spazi della città lagunare, come quello proposto dal Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli (CISP): Class Rouge. Realizzato da Acta (Action through architecture) in Niger, è un propotito inserito nella esposizione “Time Space Existence”, organizzata a Palazzo Mora dallo European Cultural Center in concomitanza con la Biennale. "Ci interessava portare ciò di cui ci stiamo occupando come organizzazione, sia in termini di accesso al diritto all’educazione sia, più in generale, di valorizzazione dell’architettura in terra", spiega Laura Carraro, direttrice CISP per l’area geografica Africa:

Ascolta l'intervista a Laura Carraro

La costruzione combina l'adozione di materiali disponibili localmente e l'efficienza della geometria a parabola, per creare un'aula sostenibile, bioclimatica e durevole. La terra cruda, molto disponibile nell’area saheliana e che offre la possibilità di creare soluzioni con performance molto adattive ai cambiamenti climatici, dà modo di realizzare gli edifici velocemente, facilmente e a un costo inferiore rispetto alle aule standard in muratura costruite fino ad oggi in Niger. "C'è un'ottima ventilazione e illuminazione all'interno", precisa Carraro, che parla di un Paese con un'enorme necessità di strutture per fare scuola (il numero di bambini qui aumenta di circa 750 mila ogni anno). "Abbiamo provato a calarci nei panni di chi deve usare questi spazi - sottolinea - avvalendoci di competenze locali per dar modo di far acquisire una sempre maggiore autonomia nelle costruzioni. C’è in ballo il tema di creazione di impiego e quindi di sostenere i redditi familiari. Ottimi i riscontri sia da agenti del settore sia da aziende che si occupano di materiali, nonché da università e centri di ricerca". 

Il CISP e l'edilizia sociale per rifugiati e sfollati

Negli anni, il CISP ha realizzato interventi di edilizia sociale in architettura in terra, anche per rifugiati, rimpatriati e sfollati; ha mappato edifici storici e architettonici in contesti di crisi e promosso la riabilitazione di edifici storici pubblici e privati, tra cui il centro storico di Agadez, sempre in Niger. In uno scenario politico che si è notevolmente complicato negli ultimi mesi, "noi continuiamo le nostre attività in modo abbastanza regolare, con un team sia in capitale che in altre località del Paese. Siamo preoccupati dell’evoluzione della situazione regionale - conclude Carraro - rispetto al confine molto delicato con Mali e Burkina e rispetto a quello con Nigeria e Ciad. Speriamo di poter proseguire nel nostro lavoro e che dalla crisi non siano i più vulnerabili a farne le spese".

L'arte e l'architettura africane, volano di inclusività 

Dell'enorme novità e differenza che questa 18ma Biennale sta portando è convinto l'ingegnere strutturale Hanif Kar, nato in Africa orientale da genitori indiani di terza generazione. "Il continente offre così tanta varietà, così tanto potenziale e così tanta inclusività", spiega a Vatican News. "L'arte, l'architettura e la creatività hanno la capacità di erodere le differenze e di unire", aggiunge parlando di una architettura "molto importante" e del fatto che "il mondo globale deve smettere di svuotare l'economia del Sud e permettere a questa creatività di espandersi". 

L'ingegnere Hanif Kara

La valorizzazione di un'arte perduta o decostestualizzata è alla base dell'African Art in Digital, un progetto della keniana Hoya. Vive tra Parigi e New York, dove attualmente lavora, e ha ideato una modalità che consentisse di avere accesso all'estetica dei manufatti africani, la maggior parte dei quali è stata portata via dal continente. La collaborazione con il gruppo Sarava projects, specializzato sulle tecniche di riproduzione digitale, ha consetito di restituire gli oggetti alle culture africane e alla visione di chi voglia conoscerle: si tratta di una mappatura video in 3D con filmati d'archivio in cui ci si immerge in maniera strabiliante. Ci si è concentrati su oggetti provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e alcuni dal Camerun: "Spero che molte persone possano ricordare, recuperare la memoria, il senso della restituzione", spiega Hoya a Vatican News

Ascolta l'ideatrice di African Art in Digital

L'urbanizzazione africana e le sfide progettuali

Lo studio di progettazione Aziza Chaouni Projects è un esempio avanzato di come si riesce a sviluppare la conservazione e il riutilizzo adattivo di tre edifici modernisti di proprietà pubblica risalenti all’era post-indipendenza dell’Africa occidentale: The Sidi Harazem Thermal Bath Station (Marocco, 1960-1965), La Maison du Peuple (Burkina Faso, 1965) e il Centre International du Commerce Extérieur du Sénégal (1974). La complessità di ogni sito ha richiesto una metodologia basata sull’ascolto e sullo scambio, oltre a un impegno per la progettazione in collaborazione con proprietari, operatori e comunità. Modern West Africa: Recorded tiene conto anche del fatto che movimenti internazionali per la conservazione hanno decentrato il Modernismo africano, senza inserire alcuna opera nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco e lasciandole quindi senza protezione e sottofinanziate. "Riconoscere queste storie è fondamentale in un momento in cui l’Africa deve affrontare il cambiamento", spiega l'architetto. L'abbiamo incontrata a Venezia:

Aziza Chaouni

In effetti, gli edifici plasmano la politica, articolando relazioni di potere nei modi in cui sono progettati, costruiti e utilizzati. Proprio di come gli edifici pubblici dell'Africa (parlamenti, ministeri, palazzi presidenziali, tribunali, uffici dei registri pubblici, stazioni di polizia) riflettono la complessità e l’ambiguità della politica dei vari Stati, hanno parlato ricercatori e studiosi in una delle tavole rotonde estive alla Biennale: Costa d'Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Ghana, Sudafrica e Zimbabwe, i Paesi presi in esami. E sul futuro dello spazio urbano in Africa si sono ritrovati a discutere gli esperti proprio in virtù della accelerazione dell'urbanizzazione nel continente. 

Donne architette africane: non solo portavoci di una 'periferia'

Ma cosa vuol dire essere un architetto “africano”, al di là di una definizione geografica o "razziale"? Sette importanti architetti, ma anche film-maker e imprenditori del campo, nonché rappresentanti di donne che hanno fondato l'organizzazione Black Females in Architecture, hanno riflettuto alla Biennale sulla figura di architetto che è stata definita il 'mago' dello spazio, il creatore di situazioni ed emozioni. È emerso che oggi l’Africa può essere ritenuta un aggregante di diverse attitudini: lavorare nelle difficoltà, tenere ai legami comunitari, capacità di trovare risorse, desiderio di essere agenti di cambiamento. "Per la prima volta non mi sono sentita in periferia - afferma Chauni dal palco del Teatro Piccolo Arsenale - grazie a questa Biennale la cui formula ha reso possibile la più ampia condivisione dei contenuti; mi sono sentita per la prima volta me stessa, non necessariamente una portavoce del Sul del mondo". Dalla direttrice Lokko, che è anche acuta scrittrice, la sottolineatura anche di un altro fattore, non abbastanza considerato: l’Africano, osserva, deve continuamente 'spiegare' la propria esistenza, giustificarla in qualche modo, e questa fatica lo rende tuttavia forte in una peculiarità, quella di raccontarsi (con le proprie idee, la propria creatività, il proprio progetto) mentre esplora uno spazio, spesso uno spazio altro, mentre si allontana dal luogo di origine e prende consapevolezza di se stesso. Nelle crisi in cui la diaspora è forzata, essa diventa una opportunità.

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Photogallery

Immagini dal panel "Carnival: African Space Magicians"
10 ottobre 2023, 10:15