Il bambino di 11 anni ritrovato in Siria arriva all'aeroporto di Fiumicino Il bambino di 11 anni ritrovato in Siria arriva all'aeroporto di Fiumicino 

È tornato in Italia il bambino rapito dalla madre che aveva aderito all’Is

Il piccolo Alvin, nato a Lecco ma di origini albanesi, è sbarcato oggi a Fiumicino dove ha riabbracciato il padre e le sorelle, dopo aver passato cinque anni in Siria. Dopo la morte della madre aveva vissuto in un campo profughi

Federico Francesconi – Città del Vaticano

La madre di Alvin aveva lasciato l’Italia nel 2014 per unirsi al sedicente Stato Islamico, portando via il suo bambino di sei anni. La donna è poi deceduta in un’esplosione e le tracce di Alvin sono state ritrovate in un orfanotrofio nel grande campo profughi di Al Hol, in Siria, dove le forze curde hanno concentrato i familiari dei militanti di Is. Per il rimpatrio del bambino è stata fondamentale la collaborazione tra il governo italiano e la Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, che sono riusciti a instaurare un dialogo con le autorità curde, e a portare il bambino via dal campo velocemente, senza esporlo a rappresaglie da parte delle sacche radicali presenti all’interno di esso.

L’iter per il rimpatrio e il problema della sicurezza

Secondo quanto riportato dalla Croce Rossa italiana, il percorso materiale per il rimpatrio non è estremamente complesso: consiste sostanzialmente nel presentare una documentazione identificativa precisa alle autorità curde che gestiscono il campo; tuttavia – non solo in Italia – si sono riscontrate una serie di reticenze da parte dei Paesi di provenienza dei rifugiati, dovute al timore che alcuni dei familiari dei foreign fighters che si trovano ad Al Hol siano stati radicalizzati e rappresentino una minaccia per la sicurezza interna. Un caso esemplare è quello dell’australiana Mariam Dabboussy, costretta dal marito, con l’inganno, a recarsi nel territorio siriano controllato dal sedicente Stato Islamico nel 2015. Dal 2017 suo padre, dopo averla ritrovata proprio ad Al Hol, sta portando avanti una campagna per convincere il governo australiano a rimpatriarla insieme a 65 altre donne; tuttavia i timori relativi alle sacche di radicali ancora fedeli all’Is, ancora presenti ad Al Hol, finora hanno frenato i suoi sforzi.

Uno sguardo sul campo di Al Hol

Al Hol si trova nel nordest della Siria, nel territorio controllato dalle Sdf, le forze democratiche dello stato curdo. Ospita circa 70mila persone, molte delle quali sono familiari di combattenti di Daesh deceduti o detenuti nelle carceri curde. Come riportano Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, il campo non è una prigione: le forze curde si assicurano che nessuno fugga dall’area, ma al suo interno funziona come una sorta di città, le cui regole sono decise dagli abitanti. Sprovvisto di acqua corrente e di elettricità, la sopravvivenza degli abitanti nel campo è affidata quasi completamente agli aiuti umanitari che vengono forniti da diverse Ong. Al suo interno si trovano tre orfanotrofi e 28mila bambini – la maggior parte sotto i 12 anni - di cui nel 2019 ne sono morti 340, molti per patologie come la dissenteria e la malnutrizione, che sarebbero curabili in un ambiente diverso.

Il ritorno a casa di Alvin è un segnale importante

Il campo di Al Hol è diviso in due macro-aree: la prima, molto grande, accoglie le mogli e i figli dei combattenti iracheni e siriani; nell’altra si trovano i circa 11mila familiari dei foreign fighters, provenienti da più di 50 Paesi diversi. Sono queste le persone interessate dai rimpatri, ma per il momento ne sono tornate a casa pochissime. “Con il caso di Alvin - racconta ai microfoni di Radio Vaticana Italia Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa italiana - ,.abbiamo dimostrato che i rimpatri sono invece possibili, e con un dialogo pacifico. Nessuno vuole sottovalutare la questione della sicurezza, che è centrale, ma essa non può diventare un motivo per non aiutare i più fragili, che non hanno colpa e subiscono essi stessi la minaccia della violenza e del terrore in Siria. Ora le responsabilità sono chiare e chi sente la  il dovere morale di aiutare i più deboli sa cosa fare. Non ci sono più alibi per nessuno.” 

Ascolta l’intervista a Francesco Rocca

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08 novembre 2019, 15:04