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Migranti: accordo di Malta un traguardo, non una soluzione

L’intesa di Malta è una svolta: il capo del governo italiano Giuseppe Conte ha appoggiato così l’accordo sui migranti raggiunto a La Valletta da alcuni Paesi europei, e che ora viene indicato come una vera azione di politica comune europea. L’intervista a Maurizio Ambrosini del Cnel esperto di integrazione sociale degli stranieri

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Non è ancora una soluzione definitiva, ha spiegato la notte scorsa il capo del governo italiano Conte, ma segna un significativo passo avanti. La soddisfazione è generale, il nuovo meccanismo di ridistribuzione dei richiedenti asilo, tratteggiato da Francia, Germania Italia e Malta, riconosce questi ultimi due Paesi, e la Grecia, sofferenti per la maggiore pressione migratoria, perché porta d’Europa.

La messa in discussione di Dublino non fuga i dubbi

L’intesa è senz’altro un passo avanti, per la prima volta vengono messi in discussione, in modo chiaro, gli accordi di Dublino. Dunque, chi arriva in Italia, arriva in Europa. Ci sono però alcuni aspetti che devono spingere alla cautela, e ad evidenziarli è Maurizio Ambrosini, sociologo, docente all’Università di Milano, responsabile dell’organismo del Cnel di coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri. Per ciò che si sa dell’intesa, spiega Ambrosini, “la redistribuzione vale per i richiedenti asilo che arrivano con navi delle Ong o navi militari, ma non vale per gli arrivi spontanei che sono quelli più numerosi negli ultimi tempi”. Questo segnerebbe una vittoria parziale, prosegue Ambrosini, che specifica con forza: non è un accordo sulla gestione dell’immigrazione, ma su quella degli arrivi dal mare, “che sono una piccola parte del totale degli immigrati”.

I richiedenti asilo non sono 'pacchi postali'

Non sono poche le incognite, anche quella dei numero dei Paesi che effettivamente aderiranno, l’interrogativo che il docente pone è: se molti rifiuteranno, quelli che si sono fatti avanti manterranno la parola? C’è poi un altro importante aspetto: “I richiedenti asilo sanno benissimo quali sono i Paesi che offrono di più in termini di opportunità di lavoro o di sistemi di welfare, come la Germania o la Svezia”. La domanda che Ambrosini pone è quanto in realtà sia giusto trattare queste persone come pacchi postali, spedendoli dove non vogliono andare. Insomma, gli accordi per la redistribuzione “sono un traguardo sì, ma intermedio”. La soluzione eventualmente starebbe nella compensazione da parte dell’Ue dei costi di quei Paesi che maggiormente accolgono, grazie al pagamento di conti e spese da parte di chi non accoglie.

Rivedere gli accordi con Niger Turchia e Libia

“Dobbiamo mettere al primo posto l’interesse delle persone che arrivano qui per costruire la loro vita”, è la raccomandazione di Ambrosini, che chiede all’Unione europea anche di rivedere gli accordi con i Paesi di transito, come il Niger, la Libia o la Turchia perché, spiega, “stiamo finanziando Paesi che fanno da guardie di confine dell’Ue che, in un certo senso, esternalizza il lavoro sporco, senza guardare a come vengono trattate le persone che vogliono transitare per raggiungere l’Ue”. La Libia, conclude Ambrosini, è il caso estremo, ma “anche gli altri non sono certo dei campioni della tutela dei diritti umani”, a questo punto quindi l’Unione europea “dovrebbe farsi carico di smontare i centri di detenzione in Libia e di trasferire quelle migliaia di persone chiuse nei centri ufficiali di detenzione per dare loro asilo più sicuro in Europa”.

Ascolta l'intervista a Maurizio Ambrosini

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24 settembre 2019, 14:44