Aiuto ai più bisognosi nella parrocchia di San Fransesco ad Aleppo Aiuto ai più bisognosi nella parrocchia di San Fransesco ad Aleppo 

Siria, Audo: una crisi senza fine, ma la Chiesa è testimone di carità e dialogo

Il vescovo di Aleppo dei Caldei parla della drammatica situazione della sua città e di tutto il Paese, dopo quasi 13 anni di guerra, oltre alla pandemia e al terremoto del febbraio scorso: la tristezza più grande è vedere partire giovani e famiglie cristiane. Offriamo aiuti con medicine, spese ospedaliere, affitto e ricostruzione delle case

Tiziana Campisi e Alessandro Di Bussolo - Città del Vaticano

La guerra che non finisce mai, dopo quasi 13 anni, poi il coronavirus e il terremoto del febbraio di quest’anno. La Siria e Aleppo vivono un dramma infinito, con un chilo di carne che costa come un mese di stipendio e i giovani e le famiglie cristiane che emigrano. Ma il vescovo di Aleppo dei Caldei, monsignor Antoine Audo, è convinto che una presenza cristiana resterà nel Paese mediorientale, che ha bisogno “del nostro atteggiamento di solidarietà”, di cristiani “che parlano arabo in mezzo ad un mondo musulmano”. E possono testimoniare che si può essere “credenti in Dio senza essere fanatici o violenti”. Lo abbiamo incontrato nel giorno dell’udienza con Papa Francesco, rimandata per l’influenza e gli accertamenti sanitari del Pontefice.

Ascolta l'intervista ad Antoine Audo (vescovo di Aleppo)

Tredici anni di guerra, poi il terremoto. Come vive adesso la città di Aleppo?

Oltre alla guerra abbiamo avuto il coronavirus: abbiamo avuto tanti morti giovani perché le cure sono molto costose e nell’ospedale non ci sono medici di livello, è stata una cosa nuova. E poi abbiamo avuto il terremoto e Aleppo era distrutta. Nella mia casa del vescovo e poi in cattedrale abbiamo avuto danni e anche paura. Oggi c’è una povertà generale, tutto è costoso. Comprare un chilo di carne ad Aleppo è una cosa straordinaria oggi, perché si deve pagare qualcosa come 150 mila lire siriane e il salario mensile medio di una persona. E’ una cosa terribile. Ma malgrado questa situazione, rimane un senso di solidarietà. Questo viene dalla storia, dalla nostra cultura e la Chiesa ha avuto un ruolo veramente straordinario. Tutti riconoscono, anche il governo, i musulmani, l’atteggiamento dei cristiani di solidarietà, di carità, di accoglienza e questo aiuta molto. Ma non possiamo più vivere così. Ci dev’essere un cambiamento politico, che la gente possa lavorare, che l'industria possa produrre e poi viaggiare senza questo embargo su di noi.  Ma la tristezza più grande è la partenza delle famiglie, soprattutto le nostre famiglie cristiane. I giovani partono a causa del servizio militare, non c'è lavoro per loro. Migliaia di giovani emigrano soprattutto in Germania, dove una legge aiuta chi vuole studiare e lavorare e c'è una accoglienza organizzata. Al primo anno di università, adesso, gli studenti cominciano a studiare tedesco, ci sono corsi, fanno esami. Ci sono facilitazioni, in Germania, soprattutto per chi vuole studiare medicina e ingegneria. E’ una politica utile ai suoi interessi economici.

 

I suoi fedeli che cosa le chiedono in particolare? Di quali aiuti hanno più bisogno?

Vorrei dire di tutto, soprattutto per i prezzi del cibo sempre più alti. Cosa facciamo per aiutare? Soprattutto distribuiamo medicine, abbiamo un comitato che paga le operazioni all'ospedale. Sono somme enormi soprattutto per i grandi interventi come quello al cuore. Aiutiamo poi le famiglie a pagare le rette delle scuole e per ricostruire le loro case dopo il terremoto. Organizziamo una grande solidarietà, perchè abbiamo tanta gente, ogni mese, che viene per chiedere aiuti per comprare medicine, come quelle contro il cancro, o per pagare l’affitto della casa. Ogni settimana c'è un programma per sostenere le famiglie, e il nostro lavoro pastorale è oggi soprattutto umanitario. Per questo ho deciso, quando ho visto tutte le richieste di aiuto - visto che siamo solo io, il vicario generale e due sacerdoti - di creare un gruppo di dodici persone, giovani e ben organizzate, con esperienza di lavoro comunitario, che gestiscono ogni settimana gli aiuti con rispetto, dignità e discrezione.

Secondo lei, a livello nazionale e internazionale, cosa si può fare perché la Siria torni a crescere economicamente e anche ad offrire un futuro ai suoi cittadini?

Ho detto una volta che la guerra in Ucraina è la guerra siriana che è andata in Ucraina. E poi adesso è partita a Gaza, in Israele, eccetera. E’ una crisi internazionale,e la Siria si trova in mezzo a questi interessi. Penso che vada trovato un accordo soprattutto tra americani, russi e cinesi, anche per tutti questi interessi geopolitici e militari. Ogni potenza internazionale cerca di avere delle basi nella regione in Siria, in Turchia, in tutta l'area. Mi sembra che per mettere fine alla guerra si deve prendere una decisione di dialogo seria e onesta. La paura fa perdere la fiducia, e se non c'è fiducia c'è odio. Quando c'è odio c'è violenza e così non si riuscirà mai a uscirne.

 

Lei nutre delle speranze?

Sì, sì, io e penso tutti vescovi, abbiamo la coscienza di una responsabilità, di una presenza cristiana storica, che ha un significato importante per noi e per la regione, con la testimonianza del Vangelo. Io ripeto sempre: siamo una comunità cristiana che parla arabo, questo è molto importante, che pensa arabo, ed è capace di capire il mondo arabo e musulmano. C'è una solidarietà di cultura, di storia, di amicizie, malgrado tutte le difficoltà, e la mia convinzione di cristiano è che il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a fare passi in avanti nel dialogo col mondo. Mi sembra che l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e poi la libertà religiosa siano tre elementi molto importanti per la visione della Chiesa cattolica inserita oggi del mondo. E credo che dobbiamo dare questa testimonianza nel mondo arabo e musulmano: dire che possiamo essere credenti in Dio senza essere fanatici e violenti.

Povertà, difficoltà, sfiducia. Ma la gente e i cristiani come vedono il loro futuro?

Tanti dicono, ma io non ci voglio credere, che fra poco non saranno più cristiani in Siria, per i numeri di quelli che partono. Dopo il terremoto, il Canada ha aperto le porte a tutti quelli che hanno parenti già nel Paese e che possono fare domanda di accoglienza. E in tanti vanno Beirut per fare questa richiesta.

C'è qualcuno che condivide il pensiero della Chiesa e la vostra volontà di restare, di testimoniare con la propria vita una presenza millenaria?

Sì c'è una minoranza. La mia convinzione è che malgrado tutte queste partenze, ci sarà sempre una minoranza di fede, il “piccolo resto”, come si dice nella Bibbia. Resteranno qui e chissà come sarà.

Ci avviciniamo all'Avvento. Quale messaggio vuole far giungere dalla Siria al mondo cristiano?

Dobbiamo ritrovare la gioia di essere cristiani, la gioia di essere amati di Dio, salvati da lui, la gioia della pace e del rispetto degli altri. Di essere gente che accoglie gli altri. Il nostro mondo arabo e musulmano ha bisogno di questa gioia di Dio, che è possibile nella nostra umanità.

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26 novembre 2023, 10:44