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Pasqua in carcere. Il Calvario e la detenzione non sono la fine

Una riflessione con fra’ Beppe Giunti, dei Conventuali della Madonna della Guardia di Torino, da anni volontario nella sezione dei collaboratori di giustizia nella casa di reclusione San Michele di Alessandria, in Piemonte

Roberta Barbi – Città del Vaticano

È una grazia, per fra’ Beppe, poter passare un po’ del suo tempo tra i reclusi e quelli, poi, sui quali pendono le pene più lunghe perché hanno commesso le colpe più gravi, ma dalle quali hanno anche iniziato a distaccarsi. Sono i collaboratori di giustizia, storie di vita che spesso subiscono anche l’interruzione dei rapporti con i familiari, che non capiscono e non condividono. “Fratelli briganti”, li chiama fra’ Beppe, proprio come faceva il Poverello d’Assisi, e come sempre anche quest’anno li ha accompagnati per mano verso la Pasqua di Resurrezione, il momento più importante per noi cristiani: “Ho detto subito che l’ultimo appuntamento della vita terrena di Gesù è stato con un peccatore, anzi con due: i ladroni sulla croce – mette le cose in chiaro – e poi abbiamo scomposto la narrazione della Passione nel Vangelo di San Luca in tante scene, come fosse un film, ma attenzione, non è un film, è vita vera, un documentario crudo e terribile come quello che ci arriva ogni giorno dall’Ucraina”.  

Ascolta l'intervista con Fra' Beppe Giunti

Il carcere come esperienza di Calvario

A un certo punto del racconto c’è la scena più terribile, quella sul Calvario: “È una scena che va guardata con gli occhi ben aperti e con tanto coraggio”, spiega ancora fra’ Beppe ai suoi ragazzi, i quali l’esperienza del Calvario la fanno ora dopo ora, vivendo il tempo rallentato e spesso vuoto della detenzione, chiedendosi con quale forza riuscire ad arrivare al giorno dopo. “Ma poi c’è la promessa che Gesù fa al ladrone: se prendi consapevolezza dei tuoi peccati, se chiedi perdono per i tuoi reati, Lui ti porta via da lì”. “Ed ecco che arriva il finale del film, la scena più bella, la più libera, la più luminosa: quella della Resurrezione, che è il vero finale”, così come la redenzione è la vera fine della vita dei detenuti che passano attraverso il pentimento e per i quali la colpa il carcere sono solo una parentesi, seppure lunga e privativa, della vita.  

La festa per i detenuti ha due facce

Il frate da tanti anni trascorre le feste assieme ai suoi fratelli briganti, abbastanza per dire che “la festa in carcere ha sempre due facce: c’è l’elemento positivo, di festa appunto, per chi sta facendo un percorso di riscoperta della propria fede o almeno della propria umanità, ma c’è anche la nostalgia del ricordo, del non poter abbracciare i propri parenti”. “Tra i collaboratori di giustizia questo sentimento è prevalente – precisa fra’ Beppe – perché c’è la distanza da una famiglia che spesso non ha voluto rinnegare il proprio passato e il proprio vissuto di mafia, ha invece rinnegato il recluso, il quale vive perciò un doppio abbandono”. Lo stesso abbandono che Gesù sperimenta nella Passione.

Lo sguardo del Papa verso i ristretti

Anche quest’anno, come spesso è accaduto, Papa Francesco ha scelto di trascorrere il Giovedì Santo con i detenuti, gli ultimi tra gli ultimi. Fra’ Beppe ricorda di aver accompagnato, per un po’ della sua strada, un recluso che aveva ricevuto la visita di Francesco nel carcere dove era rinchiuso e che in quell’occasione gli aveva lavato i piedi: “Raccontava sempre che poi il Papa lo ha guardato, senza pronunciare una parola, e in quello sguardo lui ha sentito lo sguardo buono, misericordioso e fraterno di Cristo che gli ha dato il coraggio di proseguire nel suo percorso di recupero, nel cambiamento della sua vita”, è la testimonianza di fra’ Beppe. E proprio lui, assieme ai fratelli briganti, vuole lanciare un augurio speciale a tutti: “Che la Pasqua sia sempre speranza nel futuro, che per i detenuti è soprattutto rieducazione e reinserimento: questo è il vero significato della Pasqua, in carcere e nel mondo esterno”.    

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18 aprile 2022, 08:00