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Chiesa in uscita al tempo della pandemia

Da Reggio Emilia alla Campania passando per Venezia e Bibione, esempi di una realtà ecclesiale che si fa vicina al prossimo. Senza trascurare poveri e bisognosi. Il prete che porta in processione la statua di Maria in Apecar e l'esposizione del Crocefisso di don Camillo a Brescello, atti concreti d'amore per non lasciare solo nessuno

Federico Piana - Città del Vaticano

Il simbolo della ‘Chiesa in uscita’ al tempo del coronavirus è una foto a dir poco emblematica: un parroco a bordo di una vecchia Apecar che sfreccia nelle vie del suo paese sorreggendo una bellissima statua della Madonna e benedicendo a distanza i pochi fedeli nelle strade deserte e le loro case ricolme d’angoscia e paura. La cittadella in questione è quella di Bibione, piccola frazione del comune di San Michele al Tagliamento, provincia di Venezia, d’inverno poche anime, d’estate presa d’assalto da orde di turisti per la sua spiaggia, che ogni anno batte il record con milioni di presenze.

A Bibione la Chiesa si fa prossima con l’Apecar

L’uomo ritratto nella foto che ha fatto il giro del web è don Andrea Vena, parroco della chiesa di Santa Maria. A chi gli chiede come gli sia venuta in mente l’idea di portare in processione la statua della Vergine, risponde facendo capire con chiarezza che, in questa drammatica emergenza, la priorità è far sentire vicina la Chiesa a chi sta soffrendo come mai prima d’ora, fedeli scossi anche dalla cancellazione delle messe e dalle chiese chiuse: “Ho ascoltato la mia gente – racconta con una punta d’emozione-. Ho ascoltato gli anziani. E visto che non si può andare a trovarli per motivi precauzionali mio sono domandato: perché non posso andare io da loro per portare quel segno di speranza di cui loro hanno nostalgia?”. Ecco allora che il solerte prete di periferia scova un’Apecar e l’addobba con solennità per ospitare a bordo la Madonna, patrona di Bibione: “Ho incominciato a percorrere le strade dove sapevo di incrociare le case dei miei malati ed i luoghi di lavoro. La cosa bella è stato vedere che la gente si affacciava dalle proprie abitazioni per salutare la Madonna. Gli anziani piangevano per la commozione”.

Il crocifisso di don Camillo, simbolo della Chiesa reggiana 

Un altro simbolo della Chiesa che in questo drammatico frangente si fa vicina alla gente spaesata, impaurita e confusa si trova davanti alla parrocchia di Brescello, comune nel profondo della bassa reggiana teatro delle contese di Don Camillo e Peppone narrate dalla penna di Giovannino Guareschi. Davanti alla chiesa del paese, il parroco, don Evandro Gherardi, ha issato il celebre crocifisso con il quale Don Camillo-Fernandel intratteneva teneri discorsi d’amore nella versione cinematografica del celebre racconto. Lo sguardo del crocifisso è il medesimo che milioni di spettatori hanno imparato ad amare: tenero, comprensivo, compassionevole. Ed è forse per questo che in molti si soffermano lì per una preghiera fugace, un’implorazione. “In tutte le situazioni d’emergenza come quella che stiamo sopportando – racconta il parroco – tiro fuori questo ‘pezzo da novanta’, come lo chiamava don Camillo. E’ un segno tangibile di speranza per tutto il mondo, di concreta vicinanza alle sofferenze. Durante l’ultima piena del Po sono entrato addirittura in acqua col crocifisso”. Anche questa è la Chiesa che si fa prossima.

A Bologna campane a distesa per sentirsi uniti

Se è vero che il virus ha imposto la cancellazione di messe e celebrazioni non ha certamente potuto fermare il suono vivo e gioioso delle campane. Nella diocesi di Bologna, l’arcivescovo, il cardinale Matteo Zuppi , ha stabilito che, per essere ancora più vicini ai fedeli privati dell’Eucaristia, alle 19 di ogni giorno vengano suonate a distesa per annunciare la recita di una novena. “Maria è la Chiesa, madre che non cessa di pregare per i suoi figli” ha scritto il cardinale in un messaggio, invitando tutti anche a pregare, in comunione spirituale, il Santo Rosario. Tutto è in streaming, una formula tecnologica che la Chiesa sta utilizzando sempre di più in tempo di pandemia per non abbandonare nessuno.

A Venezia chiese aperte per essere prossimi

Tenere aperte tutte le chiese alla devozione dei fedeli, ovviamente senza alcuna messa o celebrazione, è il modo con il quale la Chiesa veneziana esprime il proprio modo di essere ‘chiesa in uscita’. Il patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, spera in cuor suo che “ogni chiesa venga visitata alla spicciolata per un saluto al Santissimo Sacramento o una breve preghiera”: “Possono essere momenti in cui la comunità riscopre l’essenziale”. Ma la vicinanza, soprattutto ai malati ed agli anziani, la chiesa veneziana la pratica anche inviando i propri sacerdoti a visitare chi sta attraversando particolari momenti di dolore causati dalla malattia. “E’ una di quelle forme – spiega monsignor Moraglia – in cui, al di là del digitale, ci si rende presenti come comunità dando anche l’Eucaristia, la cosa più importante che un prete o una comunità cristiana possano dare”. Ogni domenica anche tutte le chiese veneziane suoneranno all’unisono. Anche questo un modo per dire: nessuno viene abbandonato. La Chiesa c’è, è presente.

I social, nella diocesi di Nola, per farsi vicini a chi soffre

“Un’esperienza straordinaria”. Il vescovo di Nola, monsignor Francesco Marino, è entusiasta quando spiega che la sua Chiesa sta utilizzando ogni mezzo tecnologico per accompagnare i suoi fedeli in quest’ora buia e disperata. Racconta che soprattutto i giovani preti hanno messo mano al computer e dato vita “ad un’esperienza di preghiera e un senso di fraternità” uniche nel loro genere. A dominare è la speranza per un cammino condiviso: “ Ci sono tante preghiere comunitarie, l’Azione Cattolica ha inventato una piattaforma che coinvolge anche i giovanissimi e gli anziani”. Per dare il senso dell’unità ecclesiale il vescovo celebrerà ogni giorno la messa in tv. “Ma non è una stranezza, qui quasi tutti i preti dicono messa usando i social”. La Chiesa tenta di farsi prossima con ogni mezzo.

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13 marzo 2020, 17:47