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San Omobono

Omobono

Il padre era sarto e, battezzandolo, gli diede il nome che significa “uomo buono”. Egli si dedicò alla stessa attività di sartoria del padre, conducendola con diligenza e onestà, ispirato dai valori del vangelo. Riteneva che il lavoro fosse prolungamento dell’attività di Dio – come indicato in Genesi – e quindi un mezzo per servire la sua famiglia e soccorrere i poveri. Era solito far visita ai poveri, sostenerli nelle loro necessità e invitandoli a condurre una vita cristiana. Accanto ai poveri, s’interessava dei ragazzi abbandonati, dando loro istruzione ed educazione, e delle famiglie dove spesso si consumavano litigi, dove cercava di portarvi ragionevolezza e pace.

Il suo agire suscitò in città molta ammirazione per il modo discreto e autentico che aveva. Partecipava quotidianamente alla santa Messa presso la chiesa di sant’Egidio, dove il 13 novembre 1197 morì durante il canto del Gloria. I fedeli presenti non colsero la gravità, pensando che si stava raccogliendo in preghiera, ma solo al momento del Vangelo, non vedendolo alzarsi, compresero che era morto.

Una santità ordinaria

La notizia della sua morte si diffuse velocemente in città accompagnata dalla consapevolezza che era morto un “santo”. Il Vescovo di Cremona, Siccardo, si recò a Roma per presentare la causa di canonizzazione: “A quel tempo a Cremona – scrive negli atti – viveva un uomo semplice, molto fedele e devoto che si chiamava Omobono; alla sua morte, per sua intercessione, Dio fece molti miracoli”. Papa Innocenzo III lo canonizzò appena due anni dopo, nel 1199. La sua canonizzazione era una rarità, dato che si trattava di un laico, sposato e impegnato nell’attività di commerciante, senza alcuna discendenza regale.