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Beata Benedetta Bianchi Porro

Benedetta e il primo incontro con la malattia

Ancora bambina Benedetta lascia Dovadola con tutta la sua famiglia che si trasferisce a Sirmione sul Garda, dove il padre lavorava presso lo stabilimento termale. Nel 1957 subisce il primo di una lunga serie di interventi alla testa. Di questi interventi e in particolare degli stati d’animo che vive troviamo testimonianza nel Diario e ancor più nelle Lettere, grazie alle quali resta in contatto con gli amici. Scrive all’amica Maria Grazia, compagna all’università: “Alla fine di giugno mi sono operata d’urgenza: non ti spaventare, neurofibroma all’acustico… vorrei dirti come sono conciata, ma temo di non riuscirci. In occasione dell’operazione mi tagliarono i capelli a zero e ora la mia testa assomiglia molto a una spazzola per abiti; inoltre, in seguito all’intervento mi si è paralizzato il facciale di sinistra (per un errore del medico!) e così a fine settembre dovrò rientrare in clinica per rimettermi a posto la faccia. Ti confesso che a volte mi sento terribilmente depressa”. Un anno dopo, sempre all’amica Maria Grazia, scrive: “… io penso che cosa meravigliosa è la vita (anche nei suoi aspetti più terribili), e la mia anima è piena di gratitudine e amore verso Dio, per questo… Faccio la vita di sempre; pure, a me sembra così completa! La vita in sé e per sé mi sembra un miracolo e vorrei poter innalzare sempre l’inno di lode a Chi me l’ha data”.

Una rete di amicizie spirituali

Intorno al 1960, conosce Nicoletta Padovani, anche lei studentessa universitaria, parte del movimento Gioventù Studentesca (GS) di Azione Cattolica, guidato allora da don Luigi Giussani. Grazie a Nicoletta, Benedetta riuscirà a prendere consapevolezza della fede che già viveva ma alla quale ancora non sapeva dare volto e nome: “Cara Nicoletta, capisco che prima di tutto devo accettarmi così come sono, miserella e mediocre e impotente, affidandomi a Lui…”.

Lourdes 1962: desiderio di normalità

Nel 1962 partecipa al suo primo pellegrinaggio a Lourdes, confidando agli amici di aver fatto voto: “Ho fatto voto: desiderio guarire per farmi suora”. Una confidenza che suggerisce quanto ancora non comprenda fino in fondo il suo stato, come invece emergerà in tutta la sua chiarezza rientrando dal suo secondo pellegrinaggio a Lourdes, nel 1963: “Cara Paola, dalla città della Madonna si ritorna capaci di lottare, con più dolcezza, pazienza e serenità. Ed io mi sono accorta più che mai della ricchezza del mio stato, e non desidero altro che conservarlo. Questo è stato per me il miracolo di Lourdes”.

Lourdes 1963: il miracolo di Lourdes

Nel 1963 la marcia inarrestabile del male ha ormai bloccato tutti i centri vitali, provocando cecità, perdita della mobilità degli arti, del senso del gusto, dell’olfatto. La sensibilità rimasta nella mano destra e un filo di voce fanno da ponte di comunicazione con il mondo esterno. Attraverso un alfabeto di segni e tocchi convenzionali – da studentessa universitaria li imparò da sola, quando, nel 1956, capì la sua malattia! –, Benedetta “legge” i messaggi degli amici e risponde servendosi ordinariamente della madre. Di tutto questo ne parla rispondendo a Natalino, con una lettera divenuta ormai il suo manifesto: “Caro Natalino, in «Epoca» è stata riportata una tua lettera che la mamma mi ha trasmessa per mezzo delle mani. Sono sorda e cieca, perciò le cose per me diventano abbastanza difficoltose. Anch’io, come te, ho ventisette anni, e sono inferma da tempo. Un morbo mi ha atrofizzata, quando stavo per coronare i miei lunghi anni di studio.... Fino a tre mesi fa godevo ancora della vista: ora è notte. Però nel mio Calvario non sono disperata. Io so che in fondo alla via Gesù mi aspetta. Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora, ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è Amore, Fedeltà, Gioia, Fortezza, fino alla consumazione dei secoli”.

E in un’altra lettera scritta al rientro dal secondo pellegrinaggio a Lourdes (1963) emerge in tutta la sua forza l’ormai chiara missione ricevuta e accolta: “Caro padre Gabriele,  due volte mi son fatta rileggere la Sua lettera dalla mamma… Io penso che il Signore vuole da Lei, da tutti noi che Lo conosciamo, che si diventi grandi, sempre più̀ grandi, disposti fino in fondo a seguire la sua volontà̀ e lo Spirito che «non sappiamo donde venga e dove vada». Ecco proprio perciò il motivo delle prove: vero? Vivere lasciando che il senso della nostra vita lo sappia e lo conosca Lui solo, e ce lo faccia a volte intravedere, se così a Lui piace. Per questo solo, io trovo sincerità̀, umiltà̀, e mi sento docile nelle Sue mani. Ed ho la certezza che se anche Lei ha scelto la via del sacerdozio, io quella dell’apostolato, e altri altre ancora, è perché́ Lo abbiamo capito, incontrato per un attimo sulla nostra strada: «Dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» È per questo che, anche se sono sorda, cieca, forse fra poco più̀ mutilata ancora, io sento che in Lui devo essere serena: perché́ Lui è luce, è promessa più̀ eloquente, più̀ vibrante che la parola umana. Io so che lo seguo, anche se Lui si nasconde, e io non riesco, per attimi, a capire più̀ il senso esatto di quello che ancora vuole da me. Sono attimi, se tutto fosse facile, non ci sarebbe salvezza. E nelle prove mi raccomando alla Madre che ha vissuto prove e durezze le più̀ forti, mi raccomando, anche se sono così miseramente piccola, che Lei riesca a scuotermi e a generare dentro il mio cuore il suo Figlio, così vivo e vero come lo è stato per Lei. Ecco, allora, il dono più̀ grosso, più̀ grande: quasi per incanto ritrovo in Lui tutta la mia serenità̀; appoggiata alla sua spalla, non più̀ misera, incerta, povera ma ricca nello spirito perché́, pregandolo, Lui non mi ha cacciata. Nulla è saldo in noi, e tutto quello che è saldo in noi è perché́ Dio ci tiene stretti con la sua mano momento per momento. Tutto questo è il motivo per cui, anche se le mie giornate sono eternamente lunghe e buie, sono pur dolci di un'attesa infinitamente più̀ grande del dolore. Il cielo è la nostra patria vera, e là dobbiamo mirare, all'Incontro”.

L’incontro con lo Sposo

Il 20 gennaio 1964, chiede di ricevere la Santa Comunione e l’Unzione degli infermi dal suo parroco, e il 23 gennaio muore, rivolgendo a Dio un’ultima parola: “Grazie”. Il 23 dicembre 1993 sono state riconosciute le virtù eroiche e il 14 settembre 2019 è stata proclamata beata.