Sud Sudan verso la pace
Andrea Gangi - Città del Vaticano
Il governo del Sud Sudan, diretto dal Presidente Salva Kir, e il leader dell’opposizione armata Riek Machar, ex vice-Presidente, hanno concordato di condividere il potere in un governo di transizione. Il patto è stato firmato a Karthoum, capitale del Sudan. In queste settimane, Kiir dirigerà il governo e Machar riotterrà il ruolo di vice-Presidente.
Le ragioni di una guerra
Il Sudan del Sud, lo Stato più giovane del Mondo, ottenne l’indipendenza nel 2011, dopo vent’anni di guerra civile con il Sudan a causa di divergenze religiose: musulmani a nord, cristiani e animisti a sud. Nella nuova nazione, 64 etnie e 11 milioni di abitanti convivono in uno stato di miseria e povertà diffuso su tutto il territorio. Nel 2011 è stato eletto Presidente kiir. Nel 2013 il vice-Presidente Machar ha ordito un colpo di stato, poi fallito, a danno di Kiir. Si costituirono due fazioni: quella di Machar, che appartiene al gruppo etnico Nuer, e quella di Kiir, che fa parte dei Dinka. La guerra civile, che inizialmente ha coinvolto solo questi due gruppi, nel tempo è dilagato tra tutte le altre etnie. Anche perché il conflitto non si combatte solo per questioni etniche, ma anche per le risorse del sottosuolo: il Sudan è uno dei Paesi più ricchi di petrolio (che costituisce il 95% delle esportazioni). Dal 2013 a oggi la guerra ha causato 300 mila morti e più di 2 milioni di sfollati.
Un accordo già fallito
Un tentativo di accordo come quello di ieri era già stato proposto, senza risultato, nel 2016, quando erano scoppiati dei combattimenti nella capitale Juba. In ogni caso, nonostante l’opposizione di piccoli gruppi, questa volta pare che si possa trovare una soluzione più stabile. Manasseh Zindo, coinvolto direttamente con i negoziati per il gruppo Machar, ha riferito all’Associated Press che “l’opposizione può convivere con l'accordo, ma fallirà se nelle fasi iniziali non saranno introdotte misure di sicurezza”.
Le conseguenze per la popolazione
Nonostante le promesse, i vincoli di pace sono stati violati in poche ore. Entrambe le parti che hanno firmato l’accordo sono state accusate di abusi. Il nuovo accordo giunge ora che i leader del Sud Sudan subiscono la pressione della comunità internazionale, impaziente di porre fine al conflitto. Sotto la minaccia di un embargo delle armi, Kiir e Machar hanno accettato di riprendere i colloqui a giugno, quando è avvenuta la loro prima discussione faccia a faccia. La Casa Bianca ha affermato che “un accordo tra Kiir e Machar può essere il seme di un nuovo ciclo di conflitti”. Gli Stati Uniti non finanzieranno il governo del Sud Sudan a meno che il processo di pace non includa la società civile, la Chiesa, le donne e i gruppi emarginati. Secondo Wol Geng Atak, direttore di un giornale che è stato forzatamente chiuso e che ora è in esilio, “I rapporti tra Kiir e Machar, in questo momento, sono al minimo livello di sempre e l’eventuale accordo potrebbe causare un’altra ondata di violenza”.
La vicinanza del Papa per il Sud Sudan
Il 21 giugno dello scorso anno, il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ha annunciato che il Papa «non potendo recarsi in Sud Sudan di persona, ha voluto rendere tangibile la presenza e la vicinanza della Chiesa con la popolazione afflitta attraverso l’iniziativa “Il Papa per il Sud Sudan”» con la quale consegnava al Paese circa mezzo milione di dollari (frutto anche di donazioni della Segreteria di Stato vaticana, del Dicastero per lo sviluppo integrale e di Caritas internationalis). La somma andrà "ad affiancare, sostenere ed incoraggiare l’opera delle diverse congregazioni religiose e organismi di aiuto internazionale che sono presenti sul territorio e che si prodigano instancabilmente a soccorrere la popolazione e a promuovere il processo di sviluppo e di pace". “Questa donazione sarà molto utile – ha scritto al Papa mons. Kussala, vescovo di Tombura-Yambio e presidente della Conferenza episcopale cattolica del Sud Sudan - per fornire aiuti alimentari agli sfollati nei Campi profughi, per creare una larga consapevolezza sulla costruzione della pace e per promuovere la dignità degli emarginati allo scopo di realizzare uno sviluppo e una pace durevoli”.
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