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Nicaragua: Chiesa perseguitata, la repressione unisce il popolo

Mons. Carlos Avilés Cantón, vicario generale dell’arcidiocesi di Managua e consigliere della Commissione per il dialogo nazionale: la Chiesa è perseguitata, ma i sacerdoti pregano per i loro persecutori. Dal governo una dura repressione, ma le violenze uniscono le persone

Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano

In Nicaragua si ripete, come avvenuto nel 1980, la pagina della persecuzione contro la Chiesa e i sacerdoti. Adesso non c’è una guerra ma il governo cerca, come in quel periodo, di strumentalizzare la Chiesa. I preti, invece, pregano per coloro che li perseguitano, senza dimenticare la ricerca della verità e della giustizia. E’ quanto sottolinea in una intervista rilasciata ieri al “Canal Católico de Nicaragua” mons. Carlos Avilés Cantón, vicario generale dell’arcidiocesi di Managua e consigliere della Commissione per il dialogo nazionale.

Dal governo calunnie contro la Chiesa

La Chiesa - dichiara mons. Avilés - non fomenta la violenza. Non nasconde armi, come sostenuto dal presidente Ortega. Si tratta di calunnie. La Chiesa nicaraguense aiuta quanti hanno bisogno di protezione. E indica alcune priorità per porre fine alla crisi che ha colpito il Nicaragua. Tra queste, la cessazione di ogni violenza e il disarmo dei gruppi paramilitari. Ma il processo di pace si è fermato - osserva mons. Avilés - perché non c’è la volontà, da parte del governo, di intraprendere questa strada.

Chiesa accanto ai sofferenti

Il presidente del Nicaragua Daniel Ortega - ricorda il vicario generale di Managua - ha definito i vescovi e i sacerdoti nicaraguensi golpisti e cospiratori. Sono state lanciate queste accuse - spiega - perché la Chiesa è vicina alla gente che soffre. La Chiesa soccorre quanti, partecipando ad esempio ad una manifestazione di protesta, restano feriti e aiuta chi fugge dalle violenze compiute da gruppi paramilitari. Ad innescare  le proteste ad aprile è stato l’annuncio, da parte del governo, di una controversa riforma previdenziale, poi ritirata, che avrebbe portato ad un aumento dei contributi richiesti a lavoratori e datori di lavoro.

La via del dialogo

La dura reazione delle proteste, condotta da forze di polizia e da gruppi paramilitari, ha provocato finora 450 morti. Le persone scomparse sono quasi 600. Adesso - ricorda mons. Avilés – la situazione resta critica ma la repressione governativa unisce le persone. La Chiesa promuove la via del dialogo e in questo suo sforzo è sostenuta da Papa Francesco. E dal popolo è incoraggiata a proseguire in questo cammino. Ma senza volontà da parte del governo - aggiunge mons. Avilés - non c’è dialogo. Il governo - spiega - non vuole affrontare la questione politica, non vuole vedere che la gente desidera un cambiamento, un nuovo esecutivo.

Un popolo in preghiera

Nel mese di maggio si è aperto il dialogo nazionale e la Chiesa ha partecipato con il ruolo di mediatrice e testimone. Ma questo canale aperto per promuovere la pace, ora è sospeso. In questa situazione di crisi, la maggioranza della popolazione nicaraguense - aggiunge il vicario generale dell’arcidiocesi di Managua - cerca giustizia, verità e pace e spera che cessino le violenze. I cattolici, ma non solo, vivono questi giorni affidando alla preghiera le loro speranze di riconciliazione.

Lettera dei vescovi ad Ortega

I vescovi del Nicaragua hanno scritto una lettera al presidente del Nicaragua Daniel Ortega. Nella missiva si chiede in particolare al governo se la Conferenza episcopale nicaraguense è ancora ritenuta dall’esecutivo una mediatrice per la promozione del dialogo nazionale. Intanto, il popolo e la Chiesa continuano a sperare nella pace.

Iniziata la fase più dura della repressione

Nel Paese, secondo il segretario della Commissione interamericana per i diritti umani, Paulo Abrão, la campagna di repressione si è declinata finora attraverso tre fasi. La prima è stata quella del ricorso alla forza da parte della polizia. La seconda fase è stata avviata dal presidente Ortega con l’obiettivo di rimuovere le barricate innalzate dai manifestanti. Ora, attraverso l’uso delle istituzioni per criminalizzare chi è protesta, si si è aperta la “terza fase”, la più dura, della campagna di repressione. E’ stata avviata, ricorda Paulo Abrão, con  la recente approvazione da parte del parlamento nicaraguense di una legge anti-terrorismo.

La legge anti-terrorismo

La norma anti-terrorismo punisce chiunque danneggi beni pubblici o privati nell’ambito delle proteste contro il governo. Con questa legge – osserva il presidente di Caritas Nicaragua, mons. Carlos Herrera – tutti coloro che protestano possono essere considerati terroristi. Ma chi protesta, sottolinea mons. Herrera, non è armato e non è un terrorista. Alcuni medici e operatori sanitari statali denunciano infine di essere stati licenziati per aver trasgredito l’ordine di non curare gli oppositori feriti durante le manifestazioni.

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28 luglio 2018, 11:48