Sri Lanka, viaggio nelle ferite della guerra civile
Antonella Palermo - Mannar (Sri Lanka)
Restare sull'isola oppure emigrare? È l'interrogativo cruciale con cui devono fare i conti i giovani srilankesi che maggiormente soffrono le conseguenze di un'economia crollata priva di grandi prospettive per loro. Nelle aree più remote la Fondazione MAGIS (Movimento e Azione dei Gesuiti Insieme per lo Sviluppo) fa arrivare l'aiuto, soprattutto educativo, come opportunità per consentire alle nuove generazioni di scegliere il proprio futuro con più consapevolezza e più competenze.
Mannar, luogo del primo martirio nell'Asia del Sud
Dal Centro Satyodaya per la ricerca sociale e l'incontro, a Kandy, fondato 53 anni fa quando ad essere primo ministro nel Paese era una donna (la prima donna al mondo a ricoprire questo ruolo istituzionale) e situato in una vera e propria oasi di pace che ospita chiunque voglia vivere un tempo per ristorare lo spirito e approfondire anche la storia delle missioni dei gesuiti, l'itinerario al seguito del presidente del MAGIS Ambrogio Bongiovanni prosegue per conoscere le realtà supportate nell'ex-Ceylon. La meta è Mannar, al Nord. Qui, il villaggio di Tottaveli è luogo ricordato per l'uccisione, nel 1544, per volere dell'allora re Cankili, di seicento hindu che si erano convertiti al cattolicesimo. Viene annoverato come il primo martirio nell'Asia meridionale. Tuttora, c'è la più alta concentrazione di cristiani nel Paese. La Chiesa della Regina dei Martiri, sorta sul luogo del massacro, ha un complesso dove ci sono due fosse comuni ed è diventata un popolare sito di pellegrinaggio.
Le palme, risorsa inattingibile
Il paesaggio verso il lembo settentrionale dello Sri Lanka è un continuo trionfo di palmeti e risaie. Sono stati questi alberi autoctoni le fonti principali di sostentamento per la popolazione che dal frutto traeva liquori e sciroppi pregiati. Il governo però ha cominciato a vietare questa attività, mettendo ulteriormente in ginocchio gli abitanti dei villaggi. Anche la lavorazione del legno di palma per fare recinzioni, capanne, suppellettili, si è notevolmente ridotta. Resta la possibilità di usare le foglie di palma per la creazione artigianale di vari tipi di utensili ma il mercato è ridotto al minimo. Questa gente ha pertanto dovuto reinvetarsi dei lavori nei campi alla giornata per approvigionarsi del necessario per vivere, che è sempre molto poco. Ecco le contraddizioni già messe in luce dalla Laudato si': la povertà e l'ingiustizia sociale si acuiscono quando la gestione delle risorse non va a vantaggio dei locali che non trovano alternative sufficienti ad una vita dignitosa.
Le contraddizioni socio-economiche in agricoltura
È un momento particolarmente critico per l'agricoltura del Paese: i contadini si trovano ad affrontare una minaccia reale per la loro sussistenza. Un elemento di novità sembra essere sopraggiunto con il programma governativo “Urumaya (eredità) del presidente”: dal 5 febbraio scorso viene infatti concessa la piena proprietà ai contadini dei campi. Questo atto però non è concesso per implementare l'agricoltura, ma solo per la coltivazione commerciale destinata all'esportazione. "È un tentativo di far vendere ai contadini quei terreni a basso costo”, dicono dal Movimento per le riforme fondiarie e agricole. Significa che le colture di mais e banane, principalmente, si devono poter estendere su migliaia di acri, così come i “campi” di pannelli solari o le cave di pietra. Occorrono investimenti enormi, quindi in realtà la circolare presidenziale si rivela paradossale per i contadini, si denuncia in loco, che di fatto si vedono gradualmente rimossi da questa attività. “Urumaya” a livello nazionale raggiungerà comunque 2 milioni di famiglie di agricoltori e ha un budget stanziato per il 2024 di 2 miliardi di rupie per l’attuazione del programma.
I paradossi ambientali
Ogni volta che si attraversa l'istmo di Mannar ci si deve sottoporre ai controlli della polizia posizionata qui per impedire che carichi di droga dall'India entrino in Sri Lanka. I gesuiti lavorano in 48 villaggi in Sri Lanka, una ventina dei quali non è raggiunto da nessuna Ong. La visita a uno dei villaggi più distanti dalla città di Mannar, con 85 famiglie, significa esplorare un territorio privo delle infrastrutture di base, dove si è rimasti alla condizione post-guerra civile, cioè a quella di trent'anni fa. L'aiuto da parte della parrocchia è garantito ma le case sono in stato fatiscente, solo alcuni bagni pubblici suppliscono alla mancanza di servizi igienici nelle abitazioni. Distese di pale eoliche gigantesche sul lembo di terra che si protende al di sotto della parte meridionale dell'India sono da un lato il simbolo di una produzione di energia sostenibile proiettata al futuro, dall'altro una sorta di paradosso anche questo, considerato il contesto socio-ambientale che è di fatto privato di un credibile sguardo al futuro.
I sogni di bambini e giovani
In genere in una famiglia di quattro figli, solo uno riesce a continuare gli studi. Insegnante, manager di banca, infermiere, prete. Sono i sogni espressi dai più piccoli nelle classi sobrie ma sature di colore. Una ragazza, tra i più grandi che frequentano il Centro, dice di voler lasciare il Paese fatto di troppi sacrifici: ogni giorno trenta chilometri per andare a scuola e quando rientra a casa, l'aspetta un villaggio di 42 persone che tira a vivere con un piccolo pozzo per tutti. "Magari riuscirò poi a tornare in Sri Lanka con più maturità", spiega. Un'altra giovane ha promesso alla sua famiglia di restare qui proprio per promuovere la cultura Tamil.
Le tracce della guerra civile
"Ho visto con i miei occhi, nei cinque anni in cui ero superiore dei gesuiti a Mannar, i danni della guerra civile ancora persistenti tra la gente molto scossa", racconta padre Roy, il socio dell'attuale provinciale. Una guerra durata 25 anni che si stima abbia causato la morte quasi 100mila persone. Il conflitto che ha insanguinato lo Sri Lanka ha avuto origine nella mancanza di riconoscimento di parità di status con i singalesi ad una vasta comunità tamil insediatasi nel nordest del Paese. Il risentimento monta sempre più finché nel 1976 si costituiscono le Tigri della Liberazione dell’Eelam Tamil (LTTE), gruppo che sceglie la secessione e la lotta armata. A poco serve un intervento dell’esercito indiano che nel 1990 si ritira mentre migliaia di musulmani vengono espulsi dalle aree settentrionali sotto controllo del LTTE che nel 1991 si macchia dell’assassinio del premier indiano Gandhi e nel 1993 dell’omicidio del presidente Premadasa. Nel 2002 governo e ribelli delle Tigri tamil firmano un cessate il fuoco mediato dalla Norvegia ma l'anno seguente gli scontri ricominciano. Si dovrà attendere il 2009, dopo un bagno di sangue, per la sconfitta delle Tigri, ma la questione tamil è tutto fuorché risolta.
Nel 2012 l’Onu esorta lo Sri Lanka a indagare sui crimini di guerra presumibilmente commessi durante la fase finale del conflitto con le Tigri ma Colombo non si muove. Nel 2016 Colombo riconosce per la prima volta che circa 65.000 persone sono scomparse. Tra il 2021 e il 2022 la crisi economica si inasprisce fino alle rivolte in strada e al default totale: l'ex eroe della guerra è messo in fuga dal Paese dalla protesta popolare.
L'opera del Jesuit Reconciliation Solidarity Sri Lanka
Padre Robert SJ, direttore del Jesuit Reconciliation Solidarity Sri Lanka, sostenuto dal MAGIS, illustra le attività di questo presidio educativo che soprattutto offre l'insegnamento dell'inglese alla gente tamil: "Le richieste sono tante ma ne possiamo accogliere solo fino a un centinaio. Noi offriamo una sorta di pre-college integrando anche con alcuni elementi di informatica e grafica. All'origine la struttura era del JRS che qui distribuiva beni primari per i rifugiati tamil; è stata in qualche modo adattata a questa nuova funzione". La generosità delle maestre e delle mamme dei bambini è sbalorditiva anche qui. Nella parrocchia, l'intraprendenza e spiccata capacità di animare i gruppi giovanili di un sacerdote è elemento trainante per la comunità cattolica che proprio nei riti e negli incontri periodici trova un senso di appartenenza e una ragione importante di vita, di riscatto sociale, di autocoscientizzazione dei propri diritti. "Vogliamo far arrivare a Papa Francesco il nostro grido di gioia", dice mentre esorta i piccoli a cantare inni per il Pontefice amato.
La prossima puntata di questo reportage, l'ultima, ritornerà da dove si è partiti, a Negombo, nei pressi della capitale, in quella chiesa di San Sebastiano dove cinque anni fa i famigerati attentati di Pasqua causarono la morte di 269 vittime. Quale giustizia? Quale cammino di dialogo si sta costruendo nel Paese?
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui