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Il processo nell'Aula dei Musei Vaticani per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Santa Sede Il processo nell'Aula dei Musei Vaticani per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Santa Sede 

Respinto il rinvio del processo vaticano. Chiesto confronto Ciferri-Chaouqui

Oggi la quarantesima udienza nell’Aula dei Musei Vaticani. Concluso l’interrogatorio a monsignor Perlasca che ha riferito dei messaggi “minatori” ricevuti da Chaouqui che, nelle vesti di un “anziano magistrato”, controllava i suoi movimenti facendogli credere di essere in contatto con gli inquirenti. Interrogati il cardinale Cantoni e il direttore dello Ior Mammì

Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano

Un “anziano magistrato”, in realtà una donna, che manovrava indirettamente un monsignore e seguiva passo passo le indagini. Un confronto pubblico in aula tra due donne. Cene intercettate, email ricevute di notte, messaggi dal sapore minatorio come: “Non bloccarmi, altrimenti mi senti dalle pagine dei giornali”. Ha aperto nuovi scenari nel processo vaticano per la gestione dei fondi della Santa Sede la serie di chat tra la pr Francesca Immacolata Chaouqui, già tra i protagonisti del processo Vatileaks 2, e Genoveffa Ciferri, amica del "supertestimone” monsignor Alberto Perlasca. Le chat sono state depositate ieri dal Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi.

La solidarietà al Promotore di Giustizia

Proprio il Promotore, è stato fatto notare oggi nella quarantesima udienza nell’Aula dei Musei vaticani – durante la quale hanno testimoniato il cardinale Cantoni e il direttore dello Ior Mammì -, è stato “travolto” dai 126 messaggi (dei quali 119 contenenti omissis). In alcuni passaggi della chat si lasciava quasi intendere un “ascendente” che Chaouqui avrebbe millantato, come lei stessa afferma in un messaggio, tale da garantire a Perlasca la “salvezza processuale”.

L’ipotesi di un legame tra la pr e la magistratura vaticana è stata rigettata da ognuno degli avvocati della difesa che hanno espresso tutti solidarietà “vera, non di facciata” a Diddi, ribadendone stima e piena fiducia. Lo stesso Promotore ha dichiarato in aula di non aver mai passato nulla alla Chaouqui, conosciuta in un’unica occasione nel luglio scorso: “Potete prendere anche il mio cellulare, se il Tribunale vuole può sequestrarlo e fare analisi forense”.

Ipotesi di reato 

Al di là di questo, sono tante le dichiarazioni forti e le rivelazioni emerse dagli scambi WhatsApp che hanno dato il via infatti a un nuovo fascicolo, come annunciato ieri da Diddi, senza tuttavia specificare ipotesi di reato. Anche se oggi in aula si è parlato di “depistaggio, frode, minacce”.

Richiesta la sospensione del processo

Proprio per “consentire accertamenti sui fatti illustrati” l’avvocato Cataldo Intrieri, difensore dell’ex funzionario vaticano Fabrizio Tirabassi, ha chiesto di sospendere il dibattimento a data da destinarsi e di rinviare gli atti alla Procura di Roma a fronte di “fatti criminosi su territorio italiano”. Tra questi, anche la presunta intercettazione durante la cena al ristorante Lo Scarpone tra Perlasca e il cardinale Angelo Becciu. Cena organizzata in tutto e per tutto (anche la prenotazione del tavolo) dall’“anziano magistrato”, che venerdì Perlasca ha scoperto essere Chaouqui. In quella cena aveva “il compito di far parlare il cardinale” e possibilmente registrarlo, facendo una relazione scritta che – gli era stato detto - sarebbe poi servita ai magistrati vaticani.

Ordinanza di Pignatone

Alla richiesta di Intrieri si sono associati alcuni avvocati. Altri hanno invece proposto di andare avanti nel processo chiedendo però che le chat tra Ciferri, e Chaouqui, “di cui conosciamo solo il 3%”, siano rese “ostensibili” senza omissis, così da “ricostruire tutto il percorso” dal 29 aprile al 31 agosto 2020, data del memoriale di Perlasca. Memoriale che, secondo quanto emerso, sarebbe stato in qualche modo “imbeccato” da Ciferri, sedicente agente dei servizi segreti, e dall’“anziano magistrato” che suggeriva temi e domande da inserire e che controllava addirittura gli spostamenti del monsignore in territorio vaticano. Inclusi i percorsi da Porta Sant’Anna alla sua residenza a Santa Marta.

Face-to-face 

Prima che il Tribunale, presieduto da Giuseppe Pignatone, si riunisse per un’ora e venti in camera di consiglio, il promotore Diddi ha ribadito che “l’interesse leso è avvenuto all’interno dello Stato” e che quindi non c’è alcun “obbligo di presentare denuncia all’autorità giudiziaria italiana”. Sugli omissis, Diddi ha detto che dovrebbero rimanere “nel segreto” le indagini in corso e ha proposto di ascoltare prima possibile Ciferri e Chaouqui in aula “per evitare che ulteriori meccanismi di condizionamento si possano generare dopo”. E magari “su ciò che non è convergente, fare un confronto in pubblica udienza”. Un face-to-face che Pignatone – dopo aver rigettato con un’ordinanza la richiesta di sospensione e la rimozione degli omissis – ha annunciato che sarà possibile nella prima udienza del 2023. 

I messaggi di Chaouqui a Perlasca

In attesa del confronto, monsignor Perlasca è stato interrogato su quelle che ha definito pressioni e minacce da Francesca Immacolata Chaouqui via WhatsApp. Circa una quindicina i messaggi ricevuti, sin dal primo del 12 maggio 2022 e proseguiti “con tono diverso” a indagini iniziate. La pr, ha riferito il teste, accusava l’ex responsabile dell’Ufficio Amministrativo di aver contribuito al suo arresto nel 2015 prima del processo Vatileaks 2. “L’omertà ti ha portato a fare la figura del ladro dei soldi dei poveri”, scriveva in un’occasione Chaouqui al prelato, incitandolo a denunciare i suoi superiori. Perlasca ha detto di non aver mai risposto né di aver informato gli inquirenti, ma ha spiegato di averne parlato solo a Becciu che però lo ha tranquillizzato: “È fuori da tutti i giri, anche dalla stampa. È innocua”. “Ho lasciato cadere la cosa”, ha spiegato Perlasca che però il 1° marzo 2022 ha depositato una lettera nella Gendarmeria vaticana: “Per mia cautela e tranquillità, ho voluto informare”.

Interrogatorio al cardinale Cantoni

Prima di Perlasca, per 14 minuti si è svolto l’esame al cardinale Oscar Cantoni, vescovo di Como. Al porporato è stato chiesto conto del presunto reato di subornazione da parte del cardinale Becciu, cioè quello di fare pressione su Perlasca tramite il suo vescovo per fargli ritrattare le accuse. Cantoni ha spiegato che il 14 ottobre 2020, in occasione di un viaggio a Roma con i genitori di don Roberto Malgesini, il prete ucciso a Como da un senzatetto, è stato contattato da Becciu: “Mi ha invitato a casa sua per parlare in fraternità episcopale di una situazione creata tra lui e Perlasca. Mi ha consegnato il suo dispiacere. Me l’ha confidato non in quanto responsabile vescovo di Perlasca, ma perché sono stato padre spirituale dai tempi della formazione di Alberto”.

“Il cardinale – ha aggiunto Cantoni - mi ha raccontato che è venuto a scoprire molte bugie che poteva aver scritto, secondo lui, il Perlasca. Bugie scritte e annunciate nei mezzi stampa. Davanti a questa realtà il cardinale mi ha riferito che era pronto a perdonare nel caso che Perlasca avesse ritrattato, altrimenti sarebbe stato costretto a fare denuncia date le informazioni erronee. Nell’incontro ero davanti a una persona molto amareggiata, mi sono sentito coinvolto, dicendo che appena avrei incontrato a Perlasca avrei riferito”. Cantoni però non è riuscito a incontrare il monsignore e non ha voluto parlare di questi argomenti “così personali” al telefono. Con Perlasca parlò a voce nel febbraio 2021, tornato a Roma: “Riferii dell’incontro con Becciu non come superiore a inferiore, fu un incontro confidenziale”.

Mammì e la denuncia dello Ior

L’interrogatorio della mattina a Mammì si è concentrato, invece, sulla denuncia presentata dallo Ior all’Ufficio del Promotore di Giustizia il 2 luglio 2019, dalla quale partì l’inchiesta che ha portato al processo. Mammì ha ripercorso la vicenda sin dalle prime “interlocuzioni” con l’allora nuovo sostituto della Segreteria di Stato, Edgar Peña Parra, che appena arrivato in Vaticano si era trovato a dover gestire la delicata questione sulla base degli elementi forniti dai suoi collaboratori dell’ufficio amministrativo. Il sostituto esprimeva al direttore dello Ior l’urgenza di “rifinanziare una posizione della Segreteria di Stato”. Si trattava del mutuo “oneroso” che gravava sul Palazzo di Londra e che la Santa Sede voleva rinegoziare ottenendo condizioni più vantaggiose attraverso un finanziamento dell’Istituto per le Opere di Religione pari a 180 milioni di euro. “Era un problema molto serio dal punto di vista economico-finanziario e reputazionale. Si chiedeva la collaborazione dell’Istituto”, ha ricordato Mammì: “Data la complessità dei temi e l’importo elevato, c’era la necessità di una verifica rafforzata”. Il direttore aveva affidato tutto agli uffici tecnici competenti: “Sono sorte problematiche notevoli, dubbi, perplessità su tutta la vicenda, col rischio che ci fossero una serie di reati. Questo ha imposto la necessità di rivolgersi alla magistratura perché verificasse coi propri strumenti le nostre perplessità”.

Interlocuzioni con i vertici di Aif

Numerose le interlocuzioni avute da Mammì con i vertici Aif (ora Asif), René Brüllhart e Tommaso Di Ruzza, rispettivamente presidente e direttore dell’Authority di Informazione finanziaria (entrambi imputati). Dopo una prima fase di collaborazione con lo Ior, i due cambiarono atteggiamento: “Ebbi l’impressione che l’atteggiamento non era quello di istituzione terza che collaborava, ma di una istituzione di parte che invece di tutelare l’ente vigilato, parteggiava più per una parte”, ha detto Mammì. In particolare questo atteggiamento di “forzature garbate” lo aveva riscontrato in Brüllhart che in un’occasione lo esortò pure a “dare il mutuo alla Credit Suisse che ci dà il 2%”. “Feci una battuta: ‘René hai perso l’occasione giusta per stare zitto. Non è tra le tue competenze dire quello che fa l’Istituto’. Vogliamo considerarle pressioni? Perché no!”.  

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01 dicembre 2022, 20:00